Lavoro

Smart working, il rimborso dei costi sostenuti dal dipendente non costituisce reddito da lavoro

Solo quando sono da considerarsi come spese affrontate nell'esclusivo interesse del datore di lavoro e a patto che siano individuate sulla base di elementi oggettivi

di Lorenzo Rasetto , Fabio Carotenuto*

Le somme erogate dal datore di lavoro al proprio dipendente in smart working, al fine di rimborsare i costi dallo stesso sostenuti nello svolgimento della propria attività, non costituiscono reddito in capo al lavoratore, quando sono da considerarsi come spese affrontate nell'esclusivo interesse del datore di lavoro stesso e a patto che siano individuate sulla base di elementi oggettivi.

Questo è quanto affermato dall' Agenzia delle Entrate nella Risposta ad interpello n. 314 del 30 aprile 2021.

Nel caso esaminato dall'Agenzia delle Entrate, l'Istante intende sottoscrivere un accordo sindacale o adottare un regolamento aziendale avente ad oggetto il trattamento economico e normativo delle prestazioni fornite dai propri dipendenti che usufruiscono del lavoro agile (cosiddetto "smart working") come disciplinato dall'art. 18 e ss. della L. 81/2017; in particolare chiede all'Amministrazione Finanziaria il corretto trattamento da applicare alle somme corrisposte ai propri lavoratori a titolo di rimborso delle spese di cui questi ultimi devono farsi carico per poter svolgere la propria attività.

Più in dettaglio, nell'ipotesi prospettata, il contribuente rappresenta che il criterio utilizzato per determinare la quota dei costi da rimborsare ai dipendenti in smart working si basa su parametri diretti ad individuare i costi risparmiati dalla Società che, invece, sono stati sostenuti dal dipendente.

Pur partendo dal presupposto che, in base al principio di onnicomprensività del concetto di reddito da lavoro dipendente (di cui art. 51 c.1. del D.P.R. 917/1986), tutte le somme e i valori corrisposti dal datore di lavoro al lavoratore a qualunque titolo costituiscono, per quest'ultimo, reddito di lavoro dipendente, la Risposta 314/2021, in relazione alla rilevanza reddituale dei rimborsi spese, richiama quanto affermato in precedenti interventi di Prassi in merito alle possibili deroghe a detto principio.

In particolare, l'Agenzia, richiamando la Circolare 326/E/1997 e le Risoluzioni 178/E/2003 e 357/E/2007, esclude dalla base imponibile del reddito del lavoratore tutte quelle somme che, anche se corrisposte dal datore di lavoro, non generano un arricchimento in capo al beneficiario, ma si configurano quale mera reintegrazione patrimoniale di un costo sostenuto nell'esclusivo interesse del datore medesimo.

Circa la modalità di determinazione dell'ammontare delle spese rimborsate da escludere dal reddito imponibile, l'Amministrazione Finanziaria afferma che, in assenza di specifici criteri di quantificazione forfettaria dettati dal Legislatore, le stesse devono essere determinate in base ad elementi oggettivi e documentalmente accertabili.

Pertanto, con specifico riferimento al rimborso dei costi sostenuti dai dipendenti in smart working per lo svolgimento della propria attività, ove sia possibile quantificare gli stessi in base a parametri diretti ad individuare costi risparmiati dalla società (che sono stati invece sostenuti dal lavoratore), sarà possibile escluderli dal reddito di lavoro dipendente.

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*A cura di Lorenzo Rasetto e Fabio Carotenuto – BGR tax and legal


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