Amministrativo

Social network, proibito usare dati personali come merce di scambio per la gratuità del servizio

Il Consiglio di Stato ribadisce che va assicurata l'assoluta "consapevolezza" del consumatore

di Pietro Alessio Palumbo

A fronte del claim "Facebook ti aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita" rileva l'assenza di un adeguato alert che informi gli utenti, con immediatezza ed efficacia, in merito alla centralità del valore commerciale dei propri dati rispetto al servizio di social network offerto, limitandosi Fb a sottolineare come l'iscrizione sia gratis per sempre. Peraltro l'incompletezza dell'informazione fornita nella pagina di accesso a Facebook non viene meno neanche per la recente introduzione, da aprile 2018, del banner cookie, in quanto la sua visualizzazione è solo eventuale e non necessariamente collegata alla registrazione nella piattaforma. Il banner in questione infatti non compare in fase di creazione dell'account qualora l'utente abbia già cliccato e navigato sul sito. Inoltre esso è comunque generico e collocato in posizione non adiacente all'indicazione della gratuità del servizio. A ben vedere - ha quindi evidenziato il Consiglio di Stato con la recente sentenza 2631/2021 - la "minacciosità" delle conseguenze non è bilanciata dalla doverosa completezza delle informazioni circa l'utilizzo a fini commerciali dei dati personali messi a disposizione dall'utente nel momento dell'attivazione del servizio. Servizio che dunque non è affatto "gratuito", anzi.

Chiarezza cristallina fin dal primo contatto con l'utente
Il Codice del consumo riconosce ai consumatori e agli utenti, come fondamentali, il diritto ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, nonché all'esercizio da parte di professionisti di pratiche commerciali secondo buona fede, lealtà, correttezza, trasparenza ed equità. Inoltre, evidenzia il suddetto Codice, le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile. Le indicazioni devono essere "cristalline" tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto e delle caratteristiche del settore. Va in altri termini assicurata l'assoluta "consapevolezza" del consumatore. E tale obbligo di massima chiarezza deve essere assolto sin dal primo contatto con l'utente del servizio. Contatto attraverso il quale devono essere messi a disposizione dell'utente gli elementi essenziali per un'immediata percezione della offerta pubblicizzata. Orbene secondo il Giudice di palazzo Spada il descritto obbligo di chiarezza non risulta rispettato da parte di Fb, atteso che le informazioni rese all'utente al primo contatto, lasciano supporre che sia possibile ottenere immediatamente e facilmente, ma soprattutto "gratuitamente", il vantaggio dei servizi tipici di un social network senza oneri economici. Tutto ciò omettendo di comunicare che, invece, ciò avverrà e si manterrà, solo se e fino a quando i dati personali saranno resi disponibili a soggetti commerciali non definibili anticipatamente ed operanti in settori anch'essi non preindicati, per finalità di uso commerciale e di diffusione pubblicitaria.

Il benessere del sistema economico
Scopo della disciplina del Codice del Consumo è quello di ricondurre la generale attività commerciale entro i canoni della buona fede e della correttezza. Il fondamento legale è duplice: da un lato esso si ispira ad una rinnovata lettura della garanzia costituzionale della libertà contrattuale, la cui piena esplicazione presuppone un contesto di piena "bilateralità"; dall'altro in termini di analisi economica, la trasparenza del mercato deve essere idonea ad innescare un controllo decentrato sulle condotte degli operatori economici inefficienti. Le politiche di tutela della concorrenza e del consumatore sono dunque "sinergicamente" orientate a promuovere il benessere dell'intero sistema economico.

Pratica "scorretta" ancorché non "aggressiva"
Quanto ai criteri in applicazione dei quali deve stabilirsi se una determinata pratica commerciale sia o meno "scorretta", il Codice stabilisce che essa è tale se falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta. Va poi puntualizzato che una pratica commerciale è "aggressiva" quando mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto; e pertanto lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. La descritta pratica Fb ha ad oggetto la coercizione degli intendimenti dell'utente, attirandolo nel circuito apparentemente virtuoso e conveniente della gratuità dell'accesso ai servizi, celando le modalità di utilizzo a fini commerciali dei dati immessi in piattaforma. Tuttavia una pratica per essere "aggressiva" necessita di un requisito ulteriore che insomma provochi una sorta di manipolazione concreta, ossia "anestetizzi" abilmente la volontà dell'utente, non incidendo meramente e semplicemente sul suo diritto a conoscere le informazioni necessarie ad effettuare una libera e consapevole scelta, ma che si concretizzi in una condotta capace di "costringere" il comportamento dell'utente e quindi la sua libertà di scelta. Invero in tale prospettiva l'attivazione dell'account in piattaforma Facebook non solo non comporta alcuna trasmissione di dati in modo diretto ed immediato a soggetti terzi, ma è anzi seguita da una ulteriore serie di passaggi necessitati, in cui l'utente è chiamato a decidere se e quali dei suoi dati intende condividere al fine di consentire l'integrazione tra piattaforme.

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