Civile

Società di capitali: indispensabile l'accettazione della nomina ad amministratore, anche tacita senza specifiche formalità

L'accettazione può desumersi anche da atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare la nomina e può essere anche tacita, né dipende, in sé, dall'adempimento degli oneri pubblicitari. Così la sezione I della Cassazione con l'ordinanza 9 maggio 2022 n. 14592

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di Mario Finocchiaro



Nelle società di capitali è indispensabile l'accettazione della nomina ad amministratore, atteso che la fonte dei poteri degli amministratori ha natura contrattuale, non potendosi ipotizzare che dalla sola nomina possa discendere doveri per il terzo. L'accettazione, peraltro, e in genere il contratto di amministrazione societario non richiede l'osservanza di specifiche formalità. L'accettazione, quindi, può desumersi anche da atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare la nomina e può essere anche tacita, né dipende, in sé, dall'adempimento degli oneri pubblicitari, previsti dall'articolo 2383, comma 4, del Cc. Così la sezione I della Cassazione con l'ordinanza 9 maggio 2022 n. 14592.

Gli altri orientamenti della Cassazione

Conforme a questo principio è la Cassazione, sentenza 22 maggio 2001, n. 6928, in Società, 2001, p, 1350, (con nota di Fabrizio A., Modalità di accettazione della nomina ad amministratore) ricordata in motivazione nella pronunzia in rassegna, secondo la quale l'accettazione della nomina ad amministratore di una società - necessaria, avendo i poteri degli amministratori, fonte contrattuale - non richiede l'osservanza di specifiche formalità e può essere anche tacita, prescindendo dall'adempimento degli oneri pubblicitari di cui all'art. 2383, quarto comma Cc; in tal caso, l'accettazione può essere desunta da atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare la nomina e il relativo accertamento, investendo una questione di fatto, è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.
Sempre in argomento, si è osservato, altresì, in diverse occasioni, che l' amministratore di una società, con l'accettazione della carica, acquisisce il diritto ad essere compensato per l'attività svolta in esecuzione dell'incarico affidatogli. Tale diritto, peraltro, è disponibile e può anche essere oggetto di rinuncia attraverso una remissione del debito anche tacita, la quale tuttavia può desumersi soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco una sua volontà abdicativa, non essendo sufficiente la mera inerzia o il silenzio, (si veda Cassazione, ordinanza 3 ottobre 2018, n. 24139 - in Notariato, 2018, p. 627, con nota di Casino M.A., La rinuncia al compenso dell'amministratore di una s.r.l. non può risultare da un comportamento meramente omissivo, nonché in Giurisprudenza commerciale, 2019, II, p. 1352, con nota di Farolfi F.
In tema di rinuncia tacita al compenso di amministratore di s.r.l- che ha cassato con rinvio la sentenza della corte d'appello, la quale aveva ritenuto che l'amministratore avesse tacitamente rinunciato al suo compenso, soltanto perché durante tutta la durata dell'incarico e anche nell'anno successivo alla cessazione dalla carica non ne aveva mai richiesto il pagamento).
Nello stesso senso:
- la rinuncia al compenso da parte dell'amministratore può trovare espressione in un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco una sua volontà dismissiva del relativo diritto; a tal fine è pertanto necessario che l'atto abdicativo si desuma non dalla semplice mancata richiesta dell'emolumento, quali che ne siano le motivazioni, ma da circostanze esteriori che conferiscano un preciso significato negoziale al contegno tenuto, (Cassazione, ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3657);
- l'amministratore di una società, con l'accettazione della carica, acquisisce il diritto ad essere compensato per l'attività svolta in esecuzione dell'incarico affidatogli. Tale diritto, peraltro, è disponibile e può anche essere derogato da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell'incarico, (Cassazione, sentenze 21 giugno 2017, n.. 15382, in Guida al lavoro, 2017, fasc. 36, p. 39, con nota di Bulgarini D'Elci G., Amministratore di società, qualificazione giuridica e gratuità della prestazione e 26 gennaio 1976, n. 245, in Foro it., 1976, I, c. 613).
Sulla rilevanza dell'accettazione della nomina, in altra occasione la Cassazione, sentenza 1° dicembre 2000, n. 15398, in Società, 2001, p. 597 (con nota di Salvato L. Prova del potere di rappresentanza della società) ha affermato, altresì che posto che il soggetto che contrae con una società di capitali ha l'onere di verificare che la persona fisica che assume di averne la rappresentanza sia effettivamente munita dei relativi poteri, tale onere deve ritenersi adempiuto con la semplice produzione dell'atto di accettazione della nomina, senza che sia necessaria altresì la copia del verbale della delibera assembleare con la quale detta nomina è stata conferita, mentre spetta alla società, ove intenda contestare la effettiva esistenza di poteri di rappresentanza in capo al soggetto che, dall'atto di accettazione, risulti amministratore, fornire adeguata dimostrazione del proprio assunto.
Nel senso, ancora, che il potere di rappresentanza degli amministratori deriva esclusivamente dall'atto di conferimento dei relativi poteri e non dalla pubblicità della nomina, avendo al riguardo l'iscrizione degli atti riguardanti la società, efficacia dichiarativa e non costitutiva, (Cassazione, sentenze 12 aprile 1995, n. 4173 e 7 marzo 1985, n.. 1813, in Vita notarile, 1985, p. 789).
Per l'affermazione, infine, che i poteri di rappresentanza dell'amministratore di società di capitale cessano per effetto di un valido atto di rinuncia, senza che si renda a tal fine necessaria, salvo specifico patto, la sussistenza di una giusta causa o l'accettazione di quell'atto da parte dei soci; l'art. 2385 Cc, infatti, a differenza dell'art. 2383, dettato per l'ipotesi di revoca dell'amministratore, non contempla fra i presupposti della rinuncia l'esistenza di una giusta causa e tale esclusione non prospetta nessuna violazione grave di principi generali, né alcuna ingiustificata carenza di tutela per la società, il cui interesse alla continuità dell'attività gestoria può facilmente essere soddisfatto con l'immediata sostituzione dell'amministratore; sicché deve escludersi la necessità di far ricorso all'applicazione analogica dell'art. 1720 Cc, (Cassazione, sentenza 13 agosto 2008, n. 2156)3.

La giurisprudenza di merito

Sulla questione specifica, i giudici di merito - ad esempio il Tribunale di Napoli, sentenza 12 settembre 2011, in Società, 2012, p 1294, con nota di Meroni C., Sospensione della delibera assembleare di revoca degli amministratori, nonché in Giur. merito, 2012, p. 1838, con nota di Plasmati G.M., La revoca degli amministratori nelle srl - hanno detto che è valida la delibera assembleare di nomina degli amministratori anche se i soggetti nominati non abbiano preventivamente accettato la carica, accettazione che si rende necessaria solo successivamente per l'instaurazione del rapporto di amministrazione.
In altra occasione (Tribunale di Milano, sentenza 25 maggio 2010, in Società, 2011, 1405, con nota di Mina G., La clausola simul stabunt simul cadent e le relative problematiche; in Giur. it., 2011, p. 2088, con nota di Michieli N., La buona fede come limite «insuperabile» all'applicazione della clausola statutaria simul stabunt, simul cadent, e in Foro pad., 2010, I, p. 901, con nota di Casamassa F., L'uso strumentale della clausola simul stabunt simul cadent) si è affermato, altresì, che l'operatività della clausola simul stabunt simul cadent in assenza di una giusta causa determina, in via indiretta e di fatto, la «revoca anticipata» dell'amministratore con l'aggiramento, da parte della società, degli obblighi di motivazione e risarcitori prescritti dall'art. 2383, comma 3, Cc, anche qualora la medesima clausola preesistesse all'accettazione della carica da parte dell'amministratore.

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