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Società ed enti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia: la figura del sostituto d'imposta "volontario"

Agenzia delle Entrate, risposta n. 297/2021: in assenza di stabile organizzazione in Italia, i soggetti non residenti non possono rivestire la qualifica di sostituti d'imposta

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di Daniela Bainotti ,Valentina Stecca*

In assenza di stabile organizzazione, società ed enti non residenti non rivestono il ruolo di sostituto d'imposta e non sono quindi tenuti a operare ritenute sui corrispettivi erogati a propri dipendenti presenti in Italia. È questo l'orientamento da ultimo fornito dall' Agenzia delle Entrate con la Risposta 27 aprile 2021, n. 297 (nel seguito "Risposta n. 297/2021") che, tuttavia, solleva ancora in capo agli operatori non poche perplessità legate a quella che sembra l'introduzione di una nuova figura, ovvero quella del sostituto d'imposta "volontario".

Il caso esaminato dall'Agenzia delle Entrate è sottoposto da una società estera con ufficio di rappresentanza in Italia utilizzato per la mera promozione, sul territorio nazionale, di prodotti fabbricati all'estero. Con l'intento di pianificare l'introduzione dei propri prodotti sul mercato italiano, la società estera sta valutando l'assunzione di un lavoratore dipendente che risiederà e lavorerà in Italia.

La società Istante chiede pertanto di conoscere se, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 23 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, essa sia tenuta ad applicare, in qualità di sostituto d'imposta, le ritenute alla fonte sulle somme corrisposte al lavoratore .

Il citato articolo 23, che nel primo comma individua in modo tassativo i soggetti obbligati a operare ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente, individua infatti tra detti soggetti anche quelli di cui all'art. 73, co. 1, lett. d) del Tuir, ossia «le società ed enti di ogni tipo (…) non residenti nel territorio dello Stato».

La normativa italiana non lascia quindi spazio a dubbi in merito alla qualifica di sostituto d'imposta anche per i soggetti non residenti.

L'Amministrazione finanziaria ha tuttavia da sempre espresso un orientamento differente; ad esempio, con la C.M. 23 dicembre 1997, n. 326 (par. 3.1) era stato affermato che gli enti e le società non residenti assumono la qualifica di sostituto d'imposta limitatamente ai redditi corrisposti da una loro stabile organizzazione in Italia.

La Risposta n. 297/2021, richiamando la Circolare del 1997, afferma quindi che le società non residenti, seppur ricomprese sotto il profilo soggettivo fra i soggetti indicati nell'articolo 23, ne sono in linea di principio "oggettivamente escluse in ragione della delimitazione territoriale della potestà tributaria dello Stato".

Ne consegue pertanto che, in assenza di stabile organizzazione in Italia, i soggetti non residenti non possono rivestire la qualifica di sostituti d'imposta.

L'Agenzia conclude però affermando che "qualora l'Istante, avendone la facoltà, intenda operare le ritenute alla fonte sui predetti corrispettivi ai sensi dell'articolo 23 del citato d.P.R. n. 600 del 1973, e di fatto le operi, sarà tenuto all'adempimento di tutti gli altri obblighi, formali e sostanziali, che ne conseguono".

Questa conclusione è fatta discendere dal Principio di diritto 12 febbraio 2019, n. 8, in cui si esaminava il caso di una società estera che, applicata una ritenuta d'acconto del 20% su compensi corrisposti a lavoratori autonomi situati in Italia, chiedeva di conoscere se fosse necessario procedere anche alla presentazione della dichiarazione dei sostituti d'imposta e degli intermediari.In tale sede l'Agenzia delle Entrate aveva affermato – nonostante fosse stata chiaramente esplicitata l'assenza di una stabile organizzazione in Italia – che la società estera "rientrando tra i soggetti di cui all'articolo 23, comma 1, d.P.R. 29 settembre, n. 600, ha legittimamente operato le ritenute sui corrispettivi pagati per le prestazioni ricevute da professionisti residenti", concludendo anche la necessaria gestione di tutti gli obblighi, formali e sostanziali conseguenti (pena l'applicazione di sanzioni).

Il quadro delineato dall'Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 297/2021 lascia ancora taluni profili di incertezza. Sebbene sia condivisibile la volontà di escludere dall'obbligo di ritenuta le società estere prive di un insediamento locale, si tratta in ogni caso di un'esclusione che non trova indicazione nel testo normativo.

Inoltre, nessun richiamo è stato operato, sempre nella Risposta che qui ci occupa, alla Risoluzione 8 luglio 1980 n. 649 in cui, pur affermando (nuovamente) l'insussistenza dell'obbligo di ritenuta, non si esonerava in ogni caso il datore di lavoro estero dal fornire alla competente amministrazione finanziaria italiana "le generalità dei soggetti nazionali beneficiari con l'indicazione degli emolumenti loro corrisposti e di ogni altro utile elemento ai fini della tassazione" (stante l'assenza di un supporto normativo, si tratta di comunicazioni di fatto mai adottate e, di conseguenza, operate).

Si precisa infine che nella Risposta n. 297/2021 si ricorda brevemente che ove il personale dipendente assunto in Italia disponga del potere di concludere contratti in nome della società estera, e di fatto lo eserciti, si dovrà valutare se la società medesima disponga, nel territorio dello Stato, di una stabile organizzazione.

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*A cura di Daniela Bainotti e Valentina Stecca – BGR tax and legal

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