Penale

Solo il recupero e il vaglio di conformità rendono i fanghi di dragaggio non più rifiuti

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di Paola Rossi

La mancata attivazione dell’intera procedura di recupero dei fanghi di dragaggio impedisce di farli uscire dall’impianto di trattamento come se fossero merci e non più rifiuti. Così la Corte di cassazione con la sentenza n. 29652 depositata ieri ha annullato con rinvio l’ordinanza che aveva confermato il diniego del Gip a procedere al sequestro preventivo dell’impianto di recupero. Infatti, secondo la Cassazione sussisterebbe il fumus commissi delicti che giustifica l’applicazione della misura cautelare reale per il reato previsto dall’articolo 256 del testo unico dell’Ambiente.

Non si può escludere la gestione illecita di rifiuti per l’imprenditore che fa uscire dal propio impianto i fanghi di dragaggio accompagnati da semplice documento di trasporto, invece che dal formulario di identificazione rifiuti senza prova dell’avvenuta procedura di recupero, in particolare le analisi che escludano il rischio di contaminazione. La cessazione dello stato di «rifiuto» è connessa non al fatto di averlo sottoposto a trattamento di recupero - che può consistere anche solo in un’attività di cernita dei diversi materiali che lo compongono - ma anche e soprattutto dall’effettuazione delle analisi previste dal testo unico dell’Ambiente che escludono rischi correlati alla reimmissione. Il Gip, come il Tribunale poi, avrebbe errato nel negare il sussistere di esigenze cautelari perché l’impianto era in regola e risultava autorizzato a norma dell’articolo 208 del testo unico.

La Cassazione mette in evidenza che ciò che consente di reimmettere sul mercato come merce, un rifiuto trattato e recuperato, e di trasportarlo al di fuori dell’impianto con semplice documento di trasporto Ddt è il rispetto della procedura che garantisce l’avvenuta effettuazione di esami e analisi atti a tutelare la salute pubblica. In particolare la Cassazione precisa che la norma specifica sui fanghi di dragaggio introdotta nel 2014 con l’articolo 184 quater del Dlgs 152/2006 è sicuramente in rapporto di specialità con le regole generali di end waste, ma non esclude che al di là della formale autorizzazione del gestore del sito vada dimostrato l’avvenuto rispetto dei requisiti di non pericolosità. Va quindi adempiuto l’iter che accerta il valore di concentrazione non oltre la soglia di contaminazione per la destinazione urbanistica del sito, la destinazione certa e in assenza di rischi di inquinamento delle falde acquifere o delle acque di superficie, infine l’espletamento degli specifici test per ottenere lo status di cessato rifiuto.

Nel caso specifico mancava la verifica che il gestore dell’impianto - effettuata la procedura di recupero - avesse redatto la dichiarazione di conformità sottoponendola al vaglio dell’Arpa e l’avvenuto decorso di 30 giorni entro i quali l’Agenzia regionale può vietare l’utilizzo dei materiali, che - in tal caso - rimangono assoggettati al regime rifiuti con la conseguenza che possono uscire dall’impianto solo con il documento Fir, indispensabile per la tracciabilità.

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