Lavoro

Spese processuali, la nota dell'avvocato costituisce un tetto per la liquidazione da parte del giudice

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 14198 depositata oggi, affermando due principi di diritto

di Francesco Machina Grifeo

Pronta la bussola della Cassazione per la liquidazione delle spese processuali. La II Sezione civile, sentenza n. 14198 depositata oggi, decidendo un contenzioso a valle di una causa milionaria, ha infatti dettato due principi di diritto, accogliendo un ricorso contro la condanna a pagare 150mila euro di spese alla parte vittoriosa, nonostante la nota presentata non arrivava a 55mila euro.

"In tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del Dm n. 55 del 2014 - afferma il primo principio -, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo, non è soggetto a sindacato di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo".

Mentre la seconda massima recita: "Quando la parte presenta la nota delle spese, secondo quanto è previsto dall'art. 75 disp. att. c.p.c., specificando la somma domandata, il giudice non può attribuire alta parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore".

L'articolo 6 del D.M.55/2014, ricostruisce la Corte, disciplina l'ipotesi in cui la causa abbia un valore di 520.000.000 euro e prevede un incremento fino al 30% dei parametri numerici contemplati dai relativi scaglioni di riferimento. Di tali aumenti, continua la Corte, il giudice è tenuto a dare indicazione in sede di liquidazione in modo da consentire alle parti un controllo in ordine all'esattezza della liquidazione e da consentire a questa Corte il sindacato di legittimità.

Il ricorrente ha dedotto che l'importo liquidato era superiore alla somma richiesta nella nota spese della controparte, da cui "risulta una richiesta di liquidazione della somma di € 54.724,00, inferiore all'importo liquidato pari ad 150.000.000,00". In tema di nota spese, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato ma ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all'inderogabilità dei relativi minimi.

Tale obbligo di motivazione, continua il ragionamento, "sussiste non solo nell'ipotesi di liquidazione inferiore a quanto indicato nella nota spese ma anche nell'ipotesi in cui venga liquidata una somma superiore a quella prevista nella nota spese dell'Avvocato". Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la nota spese funge anche da limite al potere del giudice di liquidazione dei compensi alla parte vittoriosa "sicché il giudice non può attribuire alla parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore".

E anche la giurisprudenza che si è formata in seguito all'emanazione del Dm 55/2014 è univoca nell'affermare che quando la parte presenta la nota spese, ex articolo 75 disp. att. c.p.c., il giudice non può attribuire alla parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore.

Nel caso di specie, invece, la Corte d'appello ha triplicato la liquidazione delle spese rispetto alla richiesta del difensore, che, nell'indicare il compenso, aveva evidentemente ponderato la natura delle attività svolte, senza alcuna motivazione.

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