Sport pericolosi, l'azione improvvida recide il nesso eziologico
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 25293/2020
Nell'esercizio di un'attività pericolosa la causa efficiente sopravvenuta, che abbia i requisiti del caso fortuito e sia idonea – secondo l'apprezzamento del giudice di merito – a causare da sola il danno, recide il nesso eziologico tra quest'ultimo e l'attività pericolosa, producendo effetti liberatori per l'esercente che abbia omesso di adottare tutte le misure idonee a evitare il danno; ciò anche quando la causa sopravvenuta sia attribuibile al fatto di un terzo o del danneggiato stesso.
È quanto stabilito dalla sentenza n. 25293 dell'11 novembre 2020 depositata dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione, che è tornata a ribadire alcuni principi di diritto consolidati in tema di responsabilità nell'esercizio di un'attività pericolosa.
La vicenda, presa in esame dalla Suprema Corte, riguarda il risarcimento del danno subito da un concorrente caduto dal proprio motociclo nel corso di una prova speciale di accelerazione, svoltasi nell'ambito del campionato regionale lombardo di enduro.
Il concorrente agì in giudizio contro gli organizzatori, sostenendo che non fosse riuscito a evitare la propria caduta perché il tracciato della corsa non prevedeva una congrua e adeguata via di fuga ovvero uno spazio finale di arresto dopo la conclusione del percorso. All'esito dell'istruttoria, il Tribunale accolse in parte la domanda, riconoscendo tuttavia anche all'attore una percentuale minoritaria di responsabilità.
La pronuncia fu quindi esaminata dalla Corte d'Appello che, in riforma della decisione di primo grado, ascrisse l'intera responsabilità della caduta al motociclista. Secondo la Corte il comportamento improvvido del pilota – consistito nell'aver arrestato repentinamente il mezzo con il solo freno anteriore, nonché nell'essersi voltato all'indietro mentre era ancora sul motociclo – integrava infatti gli estremi di un evento sopravvenuto dotato di efficacia causale esclusiva, idonea di per sé a produrre l'evento dannoso. Non sussisteva, quindi, un nesso causale tra la caduta del motociclista e lo spazio predisposto dagli organizzatori della gara, anche in considerazione del fatto che la caduta si era verificata ben prima della curva posta alla fine del tratto rettilineo del percorso, e che quindi il pilota avrebbe avuto la piena possibilità di rallentare prima della curva finale.
In particolare, la Corte territoriale spiegò che il danno si era verificato nell'ambito di un'attività agonistica, circostanza che da un lato implica l'accettazione del relativo rischio da parte dei concorrenti e, dall'altro, impone agli organizzatori di predisporre le cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, al fine di liberarsi da ogni responsabilità. Tuttavia – sottolineò la Corte – in presenza di una causa efficiente idonea ad assumere i connotati del caso fortuito, gli organizzatori sono liberati da responsabilità anche se non hanno adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
Il pilota propose dunque ricorso innanzi alla Suprema Corte con un atto affidato a sette motivi, nei quali deduceva perlopiù un'erronea applicazione da parte della Corte d'Appello delle regole sull'onere della prova in relazione all'esercizio di un'attività pericolosa. In particolare, il concorrente sosteneva che gli organizzatori non avessero fornito la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, unico elemento che invece li avrebbe potuti dispensare da responsabilità.
La Corte di Cassazione, confermando la pronuncia della Corte d'Appello, ha rigettato integralmente il ricorso e, in conformità con innumerevoli pronunce precedenti (ex plurimis, Cass. civ., 26 ottobre 2017, n. 25421; in senso conforme; Cass. civ., 23 febbraio 2016, n. 3502; e Cass. civ., 14 ottobre 2016, n. 20737), ha osservato che: "con riguardo all'esercizio di attività pericolosa, anche nell'ipotesi in cui l'esercente non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, in tal modo realizzando una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta, che abbia i requisiti del caso fortuito e sia idonea - secondo l'apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione - a causare da sola l'evento, recide il nesso eziologico tra quest'ultimo e l'attività pericolosa, producendo effetti liberatori; ciò anche quando sia attribuibile al fatto di un terzo o del danneggiato stesso (in tal senso v. le sentenze 10 marzo 2006, n. 5254, 5 gennaio 2010, n. 25 del 2010 e 22 luglio 2016, n. 15113)".
Ne consegue, secondo la Suprema Corte, che anche in presenza di un'attività sportiva pericolosa – come nel caso in esame, proprio in relazione al terreno di percorrenza – il comportamento del concorrente che integra gli estremi di un evento sopravvenuto dotato di efficacia causale esclusiva, interrompe il nesso di causalità, anche in presenza di un'eventuale responsabilità degli organizzatori, producendo un effetto liberatorio in favore di questi ultimi.