Penale

Stalking e non molestie per il condomino che altera le abitudini di vita degli altri

Chi con ripetute minacce e molestie ingenera paura da cui deriva uno stato perdurante di ansia nelle vittime commette il delitto di atti persecutori, che è aggravato se lo stalker agisce con odio razziale

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di Paola Rossi

No alla derubricazione del delitto di stalking nella contravvenzione di molestie se la vittima entra in uno stato di perdurante ansia e modifica le proprie abitudini di vita a fronte delle condotte reiterate dell’imputato. Infatti, le molestie sono ravvisabili solo quando il risultato nella psiche della persona offesa è quello di essere infastidita. Dunque la linea di demarcazione tra i due reati è rappresentata dalle conseguenze psicologiche che la condotta ingenera nella persona presa di mira con comportamenti che vanno dall’insulto agli imbrattamenti o impedimenti a utilizzare cose di cui si ha la disponibilità. In sintesi le minacce o le molestie ripetute vanno punite come atti persecutori a norma dell’articolo 612 bis del Codice penale quando creano uno stato di ansia che pervade la vita della persona posta nel mirino del molestatore finanche arrivando al punto di modificarne le abitudini normali.

La Corte di cassazione - con la sentenza n. 21006/2024 - ha così annullato la sentenza del tribunale monocratico che aveva svalutato le precise prove raccolte in una vicenda tipica di “persecuzioni in ambito condominiale” in alcuni casi anche aggravata dall’odio razziale nei confronti di alcuni condomini extracomunitari ripetutamente appellati come “incivili” dall’imputato.

L’impugnazione della decisione che condannava l’imputato all’ammenda per il reato contravvenzionale di molestie ex articolo 660 del codice penale è stata riqualificata in ricorso per cassazione data l’inammissibilità dell’appello contro le condanne per contravvenzioni. In effetti la Cassazione nell’articolato atto impugnatorio del Procuratore della Repubblica ha rinvenuto l’illogica conclusione del giudice monocratico di primo grado perché a fronte di testimonianze di persone impaurite dal ricorrente e intimorite dalla possibilità di incontrarlo avevano mostrato il grave stato di perdurante ansia e la conseguente costrizione a dover modificare le proprie abitudini. In un caso che era comunque stato oggetto di rimessione di querela (di fatto non ritrattabile) due coniugi avevano addirittura cambiato casa. L’imputato infatti aveva apposto lucchetti a ingressi di spazi condominiali comuni atteggiandosi ad “amministratore” del palazzo, aveva più volte apposto cartelli e scritte sui muri con offese particolarmente mirate al discredito dei condomini stranieri e si vendicava delle sue ingiustificate e persecutorie lamentele verso gli altri condomini utilizzando arnesi particolarmente rumorosi in piena notte quali frese e martelli.

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