Famiglia

Stop all’assegno per l’ex che può contare su nuovi redditi

Per la Corte d’appello di Roma la moglie che perde il contributo paga anche le spese di giudizio

ADOBESTOCK

di Giorgio Vaccaro

Stop all’assegno e condanna a pagare le spese di giudizio per l’ex partner che non si trova in stato di necessità ma può contare su redditi, derivanti dal canone di affitto dell’ex casa coniugale, da una nuova relazione e dall’avvio di un’attività commerciale. Lo ha deciso la Corte d’appello di Roma che, con la sentenza 2806/21 del 19 aprile 2021 (presidente Pagliari, relatore Sordi), ha integralmente riformato la pronuncia del Tribunale che aveva riconosciuto a un’ex moglie il diritto a un assegno dell’importo mensile di 450 euro.

La Corte territoriale, nel rivedere la valutazione degli elementi probatori agli atti, ha osservato come già il provvedimento del presidente del Tribunale, emesso nel medesimo processo, fosse stato impugnato di fronte alla Corte d’appello, che l’aveva parzialmente riformato affermando che «all’assegno divorzile posto a carico del ricorrente non può aggiungersi anche la quota pari al 50% del canone di locazione della casa coniugale» spettante al marito in quanto «così operando, l’assegno divorzile diverrebbe eccessivo in relazione alla capacità reddituale delle parti».

Il Tribunale aveva poi comunque definito il processo ritenendo dovuto il contributo divorzile in favore della moglie.

Nel riformare la sentenza del Tribunale, negando alla ex moglie il diritto all’assegno divorzile, i giudici di secondo grado hanno osservato come risultassero agli atti documentate, oltre che ammesse dalla stessa ex moglie, le circostanze che dal 2013 lei avesse iniziato a percepire il 50% del canone di locazione dell’ex casa coniugale e avesse avviato un’attività commerciale; inoltre, sin dal 2009, l’ex moglie aveva intrapreso la relazione con il suo nuovo compagno, poi divenuto suo marito, titolare di un proprio reddito personale.

Ancora, nell’esaminare gli elementi legati al reddito della ex moglie, i giudici d’appello hanno osservato come sui due conti correnti intestati all’ex moglie risultassero versamenti in entrata molto frequentemente a mezzo di trasferimento da carta prepagata, strumento che si presta alla gestione in forma autonoma del contante utilizzato per le relative sue ricariche, senza il preventivo transito sui conti correnti.

Per la Corte d’appello, «tale nuovo e duraturo regime di vita more uxorio, formalizzato solo dopo l’emissione della sentenza di primo grado che ha contestualmente definito lo status e gli aspetti economici, la percezione della rendita» legata al canone di locazione dell’ex casa coniugale «e l’avvio dell’attività commerciale» sono elementi che avrebbero dovuto indurre a ritenere non più dovuto l’assegno divorzile.

Così, la Corte d’appello dichiara cessato, in via retroattiva, a far data dalla domanda del ricorso che risale all’ottobre del 2015, l’obbligo dell’ex marito di versare all’ex moglie l’assegno di mantenimento e respinge la domanda della donna per il riconoscimento dell’assegno divorzile. Si richiama, in questo modo, il delicato tema della ripetibilità degli importi pagati sino alla revoca che, per costante giurisprudenza della Cassazione, sono da considerarsi irripetibili laddove la somma versata sia facilmente riconducibile a un importo necessario per il sostentamento del beneficiario (Cassazione, ordinanza 3659 del 13 febbraio 2020).

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