Penale

Stretta della Cassazione sulle Pec degli Uffici, ricorsi a rischio inammissibilità

La protesta dell’Unione delle Camere penali: “Provvedimenti organizzativi interni, evidentemente sprovvisti di forza normativa”

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di Francesco Machina Grifeo

È inammissibile il ricorso per Cassazione inviato a un indirizzo Pec della Corte di appello compreso nell’elenco del Ministero della Giustizia ma riferito ad un diverso Ufficio, non deputato a ricevere atti di impugnazione. Lo ha affermato la Corte di cassazione, con la sentenza n. 47557/2024, respingendo il ricorso di un uomo contro l’ordinanza del Tribunale di Foggia che confermava l’esecuzione della sentenza della Corte di appello di Bari in quanto divenuta ormai irrevocabile.

In particolare, l’invio era stato fatto a: depositoattipenali.3.ca.bari@giustizia.it in luogo di: depositoattipenali.2.ca.bari@giustizia.it. Per i giudici “non vi è dubbio che il ricorso per cassazione è stato inviato alla Corte di appello competente, tramite il suo deposito presso l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato”, come previsto fino “all’entrata a regime del processo penale Telematico”. Tuttavia, prosegue la decisione, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, “l’indirizzo PEC utilizzato, pur compreso nell’elenco pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, non è riferibile all’ufficio della Corte di appello di Bari deputato a ricevere gli atti di impugnazione”. A tale ufficio, infatti, risulta assegnato l’indirizzo PEC depositoattipenali.3.ca.bari@giustizia.it, diverso, quindi, da quello utilizzato dal ricorrente. E allora entra in gioco l’articolo 87-bis, comma 7, lettera c), Dlgs n. 150/2022, secondo cui l’utilizzo di un indirizzo telematico diverso comporta l’inammissibilità dell’impugnazione.

Una decisione che ha suscitato la ferma protesta dell’Unione camere penali. “Desta incredulità - scrivono i penalisti - la sentenza con la quale la Prima sezione penale ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso affermando che lo stesso sarebbe stato inviato ad una casella di PEC sbagliata, supponendo erroneamente l’esistenza di un provvedimento in cui il DGSIA avrebbe specificato la destinazione di ogni singola casella di ‘depositoattipenali’ attribuita agli uffici”. In verità, argomentano le Camere penali il “provvedimento istitutivo (del 9/11/2020 con l’allegato n° 1 da ultimo modificato il 16/6/2021 con la sola aggiunta di una casella per il deposito presso la Corte di Cassazione), si limita ad attribuire ad ogni ufficio giudiziario una o più caselle, senza in alcun modo attribuire alle stesse una determinata funzione in relazione al tipo di atto da inviare”.

E allora, proseguono gli avvocati, sono stati i “capi degli uffici” ad adottare “provvedimenti organizzativi interni, evidentemente sprovvisti di forza normativa, con i quali si è inteso destinare le singole caselle a differenti attività o uffici interni, la cui inosservanza non può dunque rappresentare una violazione di Legge e non può dare luogo ad una conseguenza tanto grave quale è quella della declaratoria di inammissibilità di un’impugnazione”.

La Cassazione però chiude ad ogni diversa interpretazione in quanto la volontà del Legislatore è chiara: realizzare un “percorso telematico” con “finalità di semplificazione”. E allora legittimare la possibilità di “scrutinare, caso per caso, l’effettività dell’inoltro del ricorso presso indirizzi di posta non abilitati implicherebbe l’affidamento della legittimità della progressione processuale ad imprevedibili controlli della cancelleria su caselle di posta non abilitate al ricevimento delle impugnazioni”.

È vero però che esiste un diverso indirizzo giurisprudenziale (n. 4633/2023) che valorizza l’idoneità della notifica al “raggiungimento dello scopo”, ed a cui la Cassazione fa cenno affrettandosi a liquidarlo perché “non è convincente e si traduce in una disapplicazione, di fatto, della sanzione della inammissibilità stabilita dal legislatore”. Per tacere del fatto, prosegue la sentenza, che resta comunque «a carico del ricorrente il rischio che l’impugnazione, ove presentata ad un ufficio diverso, sia dichiarata inammissibile per tardività», in quanto la data rilevante resta quella in cui l’atto perviene all’ufficio competente.

Anche i penalisti ricordano come in altre decisioni “si è correttamente considerato valido l’invio verso casella destinata all’ufficio dal provvedimento del DGSIA” e denunciano che il diverso indirizzo “nega all’imputato l’accesso ad un intero grado di giudizio, compromettendone irreversibilmente il diritto di difesa”. E nell’augurarsi che “tale arresto rimanga isolato e che alle sue tragiche conseguenze sia trovata adeguata soluzione”, mettono ancora una volta in guardia sulla “difficile transizione al processo penale telematico” che “necessita inderogabilmente di una uniformità di applicazione delle norme, sia per gli uffici che per le parti”.

“I fondamentali diritti di libertà della persona ed il pieno esercizio della funzione difensiva – concludono -, non possono in nessun caso essere messi a repentaglio da indebiti formalismi procedurali o asserviti ad interessi estranei al processo penale, dando luogo ad inaccettabili rimedi sanzionatori del tutto sproporzionati rispetto alle mere finalità organizzative”.

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