Professione e Mercato

Sull'accertamento del nesso di causalità nella responsabilità medica

Una ordinanza della Cassazione <em>ha</em> ricostruito la ripartizione dell’onere probatorio nelle fattispecie di responsabilità medica

di di Patrizia Cianni

CIVILE/ RESPONSABILITA’ CIVILE – RESPONSABILITA’

MEDICA E NESSO DI CAUSALITA’   

 

TITOLO

Sull’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità medica

di Patrizia Cianni

 

IL QUESITO

Tizia, ricoverata in ospedale per essere sottoposta ad un’operazione al cuore, nello specifico di sostituzione di valvola mitrale, il giorno precedente all’intervento, veniva sottoposta ad intervento di toracotomia resosi necessario dall’insorgenza di un emotorace massivo a destra (ossia la presenza di un versamento di sangue all’interno dello spazio pleurico) e successivamente decedeva a causa di un violento shock  emorragico. 

I figli e il marito decidevano di agire in giudizio contro il nosocomio per accertare la responsabilità dell’azienda ospedaliera nella morte della loro congiunta sostenendo che, dopo la manovra effettuata, i medici avevano omesso di effettuare i controlli necessari che avrebbero permesso di diagnosticare tempestivamente l’emotorace massivo (ossia l’accumulo di sangue nella cavità pleurica) che aveva condotto alla morte della donna.

Il giudice di primo grado accoglieva la domanda risarcitoria degli eredi, mentre in appello la sentenza veniva riformata. La CTU aveva rilevato ritardi e inadempimenti nella condotta dei sanitari, ma aveva escluso la certezza della presenza di un nesso eziologico tra l’operazione (toracotomia) e il successivo decesso (per emotorace) specificando che non vi era alcuna certezza scientifica che un eventuale esame radiologico avrebbe evidenziato elementi tali dal far supporre un’emorragia e poi la perizia autoptica non era d’aiuto, in quanto si fondava su un errore di fondo: ossia che l’operazione al cuore fosse avvenuta.

Il candidato, assunte le vesti del difensore dei congiunti delinei la difesa per il ricorso in Cassazione.

 

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Gli strumenti per lo svolgimento

 

LO SCHEMA PER LA DISCUSSIONE DEL QUESITO

 

1) Inquadramento generale

La Corte di Cassazione con l’ordinanza 6 luglio 2020, n. 13872, attraverso un articolato percorso deliberativo ha statuito che “L’accertamento del nesso eziologico avviene combinando la regola del "più probabile che non" con la regola della "prevalenza relativa della probabilità"”ed haricostruito la ripartizione dell’onere probatorio nelle fattispecie di responsabilità medica.

In particolare la Corte ha chiarito come deve operare la regula iuris della “preponderanza dell’evidenza” che si compone di due criteri:

la regola del più probabile che non, che postula che per uno stesso fatto possano esservi un’ipotesi positiva ed una negativa ed il giudice deve scegliere quella che, sulla base delle prove allegate, è dotata di un “grado di conferma logica superiore all’altra” per cui devono essere preponderanti le prove a sostegno dell’ipotesi scelta dal giudice;

la regola della prevalenza relativa, che si applica quando sullo stesso fatto vi siano diverse ipotesi che lo raccontano in modo diverso (la cosiddetta multifattorialità nella produzione dell’evento di danno) e alcune tra le molteplici ipotesi abbiano avuto conferma dalle prove allegate. In tal caso, ossia se vi sono più enunciati sullo stesso fatto che hanno ricevuto conferma probatoria, il giudice deve scegliere come “vero” l’enunciato che ha ricevuto il grado relativamente maggiore di conferma sulla base delle prove disponibili.

In tal modo, si delinea il modello di certezza probabilistica, in cui per ricostruire il nesso causale, occorre che l’ipotesi formulata vada verificata sulla base degli elementi disponibili nel caso concreto e la ragionevole probabilità non va intesa in senso statistico (probabilità quantitativa o pascaliana), ma logico (probabilità logica o baconiana), ossia considerando tutte le circostanze del caso concreto (Corte Cass., n. 3390/2015; n. 4024/2018).

Con riguardo alla ripartizione dell’onere della prova sul nesso causale la Corte ricorda che nei giudizi risarcitori da responsabilità medica si presenta un “doppio ciclo causale” (Corte Cass. n. 18392/2017) in quanto il creditore-danneggiato deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza o l’aggravamento della patologia o la morte e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto) ed il debitore-danneggiante deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto); la causa incognita, poi, resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso e del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere.

Dunque, il debitore (l’ospedale nel caso di specie) è tenuto a provare che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile solo dopo che il creditore-danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della patologia o la morte sia eziologicamente riconducibile alla condotta del danneggiante (Corte Cass. n.  18392/2017; n.  2017/26824; n.  29315/2017; n.  3704/2018; n. 26700/2018; n. 28991/2019).

Quanto sopra esposto tiene conto della peculiarità della responsabilità sanitaria in quanto se nella responsabilità contrattuale lato sensu intesa, la causalità materiale in teoria si distingue dall’inadempimento per la differenza fra eziologia ed imputazione, nella pratica, invece, non è separabile dall’inadempimento che corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto e, dunque, al danno evento, viceversa, nella responsabilità sanitaria, la causalità materiale «torna a confluire nella dimensione del necessario accertamento della riconducibilità dell’evento alla condotta».

Invero, in materia di responsabilità sanitaria l’interesse primario del creditore corrisponde alla guarigione e l’oggetto della prestazione sanitaria consiste nel diligente svolgimento della prestazione professionale, ossia nel rispetto delle leges artis per cui «il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie attinge non l’interesse affidato all’adempimento della prestazione professionale, ma quello presupposto corrispondente al diritto alla salute».

Poiché l’eventuale aggravamento del malato o il suo decesso non derivano automaticamente dalla violazione delle  leges artis , in quanto l’evento infausto può avere anche una diversa eziologia, il creditore-danneggiato ha l’onere di allegare la connessione naturalistica fra la lesione della salute e la condotta del medico e di provare la suddetta connessione (Corte Cass., n. 28991/2019).

Non essendovi in ambito medico coincidenza tra inadempimento (inteso come violazione delle regole di diligenza professionale) e danno, occorre allora dimostrare la connessione tra l’inadempimento del sanitario e l’esito infausto per cui l’onere di provare il nesso tra la morte della donna e la condotta dei medici gravava sui suoi eredi e solo una volta assolto tale onere, scattava in capo al danneggiante (l’ospedale) l’onere di dimostrare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio, era stato determinato da causa non imputabile.

La Corte, rigettata la prima censura in quanto ha ribadito che gravava sugli eredi l’onere di dimostrare il nesso causale tra l’inadempimento dei sanitari e l’evento di danno (la morte della congiunta), ha invece ritenuto fondata la seconda doglianza della regola giuridica relativa al riscontro del nesso di causalità materiale tra la condotta dei medici e l’evento dannoso: il principio applicabile ai fini della ricostruzione dell’efficienza causale della condotta del medico sull’evento è quello del “più probabile che non”, mentre il giudice di merito ha applicato una regola probatoria che richiede la certezza nella causazione dell’evento.

La causalità assolve la duplice funzione (Corte Cass., n. 21619/2007) di criterio di imputazione del fatto illecito e regola operativa per l’accertamento dell’entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto.

Infatti, nella ricostruzione del nesso causale esistono due momenti: la causalità materiale tra la condotta e l’evento (o causalità fondativa) che fonda la responsabilità e ricorre quando il comportamento abbia generato o contribuito a generare l’evento ( art. 40 41 c.p. ) e la causalità giuridica, successiva all’accertamento della causalità materiale, consiste nella determinazione dell’intero danno cagionato che costituisce l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria ( artt. 1223 1225 1227 c. 2, c.c. ) edelimita i confini della responsabilità risarcitoria (già accertata mercé la causalità materiale) (Corte Cass.,  Sez. Un., n. 576/2008; n. 21619/2007; n. 15991/2011; n. 1164/2020).

La Corte rileva come nel caso di specie viene in rilievo l’accertamento della causalità materiale che presenta margini di contiguità con la causalità penale, sebbene i criteri a cui si ispirano siano diversi in quanto vige il principio della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non, in ambito civile, ed il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, in quello penale (Corte Cass. Pen., Sez. Un., n. 30328/2002, cosiddetta “sentenza Franzese”).

Tale differente regola probatoria trova la propria giustificazione nella circostanza che nel diritto civile v’è l’equivalenza dei valori in gioco tra le due parti contendenti (attore e convenuto) mentre nel penale, non v’è equivalenza tra accusa e difesa.

Le regole probatorie della causalità divergono nei due campi per la differente morfologia e funzione dei due sistemi in quanto sotto il profilo causale l’illecito penale ruota intorno al reo e l’illecito civile si concentra sul danneggiato; inoltre, il sistema penale si fonda sul principio di personalità della pena (art. 27, comma 1, Cost.), mentre quello civile, sulla patrimonialità del risarcimento.

 

2) Le questioni di diritto sostanziale

A) La responsabilità medica  

Il tema della responsabilità medica riconosce la centralità del delicato rapporto tra l’esercizio del diritto alla salute da parte del cittadino e l’espressione della professione medico-sanitaria in tutte le sue possibili declinazioni per cui si riferisce ad un sistema in cui il soggetto è destinatario di prestazioni mediche di ogni tipo (diagnostiche, preventive, ospedaliere, terapeutiche, chirurgiche, estetiche, assistenziali) svolte da medici e personale con diversificate qualificazioni (infermieri, assistenti sanitari, tecnici di radiologia medica, tecnici di riabilitazione) e si ha quando sussiste un nesso causale tra la lesione alla salute psicofisica del paziente e la condotta dell’operatore sanitario in concomitanza o meno con le inefficienze e carenze di una struttura sanitaria.

La casistica degli interventi medico-sanitari appare comprensibilmente ampia perché indirizzata anche a porre in essere tutte quelle metodiche finalizzate a lenire la condizione di un malato incurabile o, per ipotesi meno infauste, a prevenire l’insorgenza di possibili patologie attraverso pratiche di natura sanitaria dimostratesi efficaci nell'esperienza e osservazione quotidiana.

Tuttavia, quando gli effetti conseguiti non sono quelli sperati è possibile che ai sanitari possano essere attribuiti errori diagnostici, terapeutici o da omessa vigilanza e conseguentemente la sussistenza di una responsabilità penale o civile per l’aggravamento della situazione del paziente o addirittura per la sua morte.

 

B) Gli elementi della responsabilità medica

Nella responsabilità medica, forse più che per ogni altra professione intellettuale, l’incidenza della colpa e del nesso causale tra condotta posta in essere ed evento dannoso appare evidente.

Il concetto di responsabilità attiene all’obbligo di rispondere delle conseguenze derivanti dall’illecita condotta, commissiva od omissiva, posta in essere in violazione di una norma.

Se dalla condotta colposa del medico deriva una lesione personale o la morte della persona assistita il primo è chiamato a rispondere del suo comportamento professionale sulla base del concetto di colpa di cui all’art. 43 c. p. per cui deve ritenersi colposo (o contro l’intenzione) un evento che, anche se previsto, non è voluto dall’agente ma che si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia oppure per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

La colpa è generica se sussiste negligenza, ossia superficialità, trascuratezza, disattenzione; imprudenza, nel senso di condotta avventata o temeraria del medico che, pur consapevole dei rischi per il paziente, decide comunque di procedere con una determinata pratica; oppure imperizia, ossia scarsa preparazione professionale per incapacità proprie, insufficienti conoscenze tecniche o inesperienza specifica.

La colpa è, invece, specifica, se consiste nella violazione di norme che il medico non poteva ignorare e che era tenuto ad osservare quali espressioni di legge o di un’autorità pubblica/gerarchica, disciplinanti specifiche attività o il corretto svolgimento delle procedure sanitarie.

Inoltre, l’errore del medico può essere compiuto nella fase diagnostica, in quella prognostica e nella fase terapeutica.

In particolare, l’errore diagnostico si realizza nel non corretto inquadramento diagnostico della patologia oppure nella sottostima o nel mancato rilievo di una certa allarmante sintomatologia (anche se grazie agli esami strumentali e di laboratorio a fini diagnostici e ai percorsi codificati in veri e propri protocolli, l’ipotesi di una diagnosi errata assume oggi una maggiore gravità); aspetto affine e non meno grave è quello del ritardo diagnostico che procrastina a danno del paziente l’esecuzione di terapie necessarie e indispensabili terapie.

L’errore prognostico deriva, invece, da un giudizio di previsione sul decorso e soprattutto sull’esito di un determinato quadro clinico che però si rivela errato magari perché correlato ad errore diagnostico, mentre l’errore in fase terapeutica attiene al momento della scelta del trattamento sanitario o a quello della sua esecuzione.

Infine, pur in presenza di una corretta diagnosi e di un percorso terapeutico congruamente definito, può essere errata l’esecuzione dell’intervento chirurgico per imperizia o negligenza

 

C) Il nesso di causalità

Per ricondurre la responsabilità in capo al sanitario non è autonomamente sufficiente l’accertamento di una condotta colposa o imperita ma occorre individuare un preciso legame ossia un nesso eziologico tra errore commesso e danno subito dal paziente, perché il secondo possa qualificarsi come diretta conseguenza del primo.

Su un piano strettamente tecnico la causalità tra condotta ed evento non è sempre pacificamente lineare per la complessità dei fenomeni clinici, spesso condizionati da fattori soggettivi o da un decorso atipico, senza contare che determinate patologie, pur opportunamente trattate, possono comunque presentare complicanze proprie e non dipendenti dalla condotta medica (terapie dai possibili effetti collaterali “iatrogeni” diretta­mente collegati alla terapia effettuata, ma non riconducibili ad errore medico).

Difficile, se non addirittura arduo, è spesso per il medico-legale pronunciarsi in termini di certezza assoluta per cui risulta opportuna l’applicazione del criterio statistico-probabilistico a cui comunque si richiede che, soprattutto in materia di colpa omissiva, consenta di indicare il legame tra condotta ed evento con un grado di probabilità molto elevato, se non assai prossimo alla certezza.

 

D) Natura giuridica della responsabilità medica

In ambito civilistico si distingue tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale con riferimento alla fonte da cui è sorta l’obbligazione e soprattutto in ordine alle conseguenze in tema di prescrizione ed onere probatorio.

La responsabilità contrattuale trova la sua fonte giuridica nel contratto ed è collocata nell’art. 1218 c. c. secondo cui «il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione da causa a lui non imputabile».

La responsabilità extracontrattuale, invece, affonda le radici nella commissione di un illecito ed è prevista dall’art. 2043 c. c. secondo cui viene «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».

La responsabilità del sanitario esercente la professione medica, stante un lacunoso impianto normativo ha portato spesso la giurisprudenza di merito e di legittimità ad  orientamenti contrastanti nel tentativo estremo di colmare i vuoti normativi.

Un primo orientamento giurisprudenziale ha effettuato una  summa divisio tra responsabilità della struttura medica e responsabilità del medico.

La responsabilità della struttura medica veniva connotata sempre come responsabilità contrattuale in forza dell’obbligazione sorta tra la struttura ed il paziente che stipulavano un contratto (detto anche “contratto di spedalità”) mentre il medico, scelto dalla struttura per effettuare la prestazione sanitaria al paziente, estraneo alla venuta in essere del contratto non poteva essere tenuto a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale ma solamente, ex art. 2043 c.c., di una responsabilità aquiliana ove non fosse intervenuta ab origine una pattuizione individuale tra paziente e sanitario (in tal caso anche questa responsabilità era da ricondurre a quella contrattuale come per la struttura medica).

Come accennato la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale è di fondamentale importanza per alcuni specifici aspetti di estrema rilevanza processuale: il periodo di prescrizione che è decennale per la responsabilità contrattuale e quinquennale per quella aquiliana ex art. 2043 c.c. mentre l’onere probatorio nella responsabilità contrattuale ricade sul soggetto inadempiente l’obbligazione, dovendo dimostrare, con maggior aggravio, che l’inadempimento non è dipeso da causa a lui imputabile ed il soggetto danneggiato dall’altrui inadempimento dovrà esclusivamente allegare il titolo da cui discende l’obbligazione inadempiuta o adempiuta malamente.

In caso di responsabilità extracontrattuale, invece, l’onere probatorio è maggiormente sbilanciato a sfavore del soggetto danneggiato essendo gravato della dimostrazione probatoria dell’esistenza dell’illecito, dell’evento dannoso, del nesso eziologico che lega l’illecito all’evento lesivo e dell’elemento soggettivo.

Dunque, la responsabilità contrattuale prevede una disciplina di maggior favore nei confronti della parte danneggiata (paziente) dall’altrui inadempimento, potendosi dimostrare con maggiore facilità il danno patito ed avendo un lasso di tempo più ampio per agire in giudizio.

Successivamente la distinzione tra responsabilità contrattuale della struttura medica e  responsabilità aquiliana del medico è stata radicalmente stravolta dalla storica sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 589/99 che ha ravvisato sia per la struttura sanitaria che per il medico esercente una responsabilità contrattuale attraverso la creazione del “contatto sociale”  quale sorta di contratto atipico non scritto sorto dal contatto tra il medico ed il paziente e dall’affidamento che quest’ultimo ripone nel primo e nella cura terapeutica predisposta; si tratta, dunque, di un espediente giuridico utile per ricondurre ed applicare alla responsabilità del medico le regole statuite ex art. 1218 c. c. per cui al paziente spetterà allegare in giudizio il mero inadempimento dell’obbligazione generata da contatto sociale mentre il medico, a suo discarico, dovrà provare il corretto adempimento della prestazione sanitaria oppure l’inadempimento come mero effetto di una causa ad esso non imputabile ed ascrivibile.

Questo appena esposto è l’orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità sino al Decreto-Legge Balduzzi (D. L. n. 158/12) convertito, con modificazioni, nella Legge 8 novembre 2021 n. 189 che nel nuovo art. 3, come modificato, prevedeva che «l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile».

Tale richiamo all’art. 2043 c. c., e quindi ad una natura aquiliana della responsabilità del sanitario, non fu tale da scalfire l’orientamento giurisprudenziale perché ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità un mero rinvio atecnico del tutto diverso dalla responsabilità extracontrattuale per cui la giurisprudenza lo ha inteso solo come un richiamo alla più generica responsabilità civile per cui il sanitario esercente la professione medica dovrà continuare ad essere assoggettato alla responsabilità contrattuale ex art. 1218 c. c. al pari della responsabilità della struttura medica.

Il tentativo, poco deciso, del legislatore di predisporre una responsabilità extracontrattuale del medico è dipeso dal provare ad arginare una eccessiva “medicina difensiva” che portava il sanitario a non esporsi incautamente in interventi medici con un medio-alto tasso di rischio o terapie innovative al fine di non essere gravato da una posizione, circa l’onere della prova e prescrizionale, più ardua e tipica della responsabilità contrattuale.

Successivamente la Legge n. 24/2017 , comunemente denominata Gelli-Bianco, il legislatore si è adoperato attivamente per superare la fenomenologia della medicina difensiva con la previsione contenuta nell’art. 7, comma 3, secondo cui «l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c. c., salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente» per cui in mancanza di obbligazione sorta da contratto tra paziente e medico, quest’ultimo risponderà sempre per responsabilità extracontrattuale.

Per quanto concerne la struttura sanitaria, il primo comma della citata legge Gelli-Bianco, prevede che «la struttura sanitaria o sociosanitaria che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose e colpose» sancendo una netta separazione tra responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e responsabilità aquiliana del medico, diradando ogni parvenza di dubbio sulla natura giuridica della responsabilità medica ed uniformando le interpretazioni giurisprudenziali sul tema con la conseguenza di una maggiore concentrazione di contenziosi in capo alle strutture mediche, dato il minor rigore dell’onere probatorio in capo al paziente danneggiato ed un lasso di tempo più lungo per la prescrizione (dieci anni) rispetto a quanto previsto per la responsabilità extracontrattuale (cinque anni).

 

3) Le questioni di diritto processuale

A) La distribuzione dell’onere probatorio

Il debitore (la struttura sanitaria) è tenuta a provare che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile solo dopo che il creditore-danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della patologia o la morte sia eziologicamente riconducibile alla condotta del danneggiante (CorteCass., n. 18392/2017; n. 2017/26824;n. 29315/2017; Cass. 3704/2018; n. 28991/2019 ).

 

B) La condizione di procedibilità: ATP o procedimento di mediazione

L’art. 8 della Legge Gelli-Bianco ha introdotto una specifica condizione di procedibilità in capo al soggetto che intenda instaurare un contenzioso innanzi al giudice per cui preliminarmente dovrà esperire un accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c. p. c. (ATP) oppure un tentativo di mediazione.

La scelta tra ATP o mediazione spetta al soggetto sulla base della valutazione di quale tra i due procedimenti soddisfi maggiormente le sue esigenze; maggiore appare il ricorso all’ATP, anche se più lungo rispetto alla mediazione, per la possibilità di utilizzo, anche in caso di infruttuoso accordo tra le parti, dell’elaborato conclusivo redatto dal consulente d’ufficio nominato dal giudice su istanza di parte. Inoltre, scopo dell’ATP, tramite la nomina del CTU, è tentare la conciliazione tra le parti a seguito della redazione della perizia del consulente che stabilisce l’esistenza dell’an e del quantum del danno subito al fine di addivenire ad un accordo bonario per cui in caso di esito positivo viene redatto apposito processo verbale che conclude il procedimento.

Se la condizione di procedibilità non viene rispettata e il giudizio di merito innanzi al giudice viene introdotto senza aver esperito l’ATP o la mediazione, la domanda deve essere dichiarata improcedibile, su istanza del convenuto, o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza.

Tutte le parti hanno l’obbligo di partecipare al procedimento di ATP: paziente, struttura medica, sanitario e società di assicurazione la quale ultima ha l’obbligo di formulare l’offerta di risarcimento del danno ovvero comunicare i motivi per cui ritiene di non formularla; chi non partecipa alla consulenza tecnica preventiva è condannato alle spese di consulenza e di lite, indipendentemente dall’esito del giudizio, e a pagare a chi vi ha partecipato una pena pecuniaria determinata in via equitativa.

Se la conciliazione non riesce o il procedimento non si conclude entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato presso il giudice, che ha trattato il procedimento, il ricorso ex art. 702 bis c.p.c.

 

C) L’azione di rivalsa

La legge Gelli-Bianco, prevede che nei confronti del medico può essere azionata l`azione di rivalsa da parte della struttura medica e dell’impresa assicuratrice che abbiano dovuto risarcire il danno al paziente.

Tuttavia, va precisato che la struttura medica o l’impresa assicurativa possono rivalersi sul medico solo in caso di dolo o colpa grave e non invece in caso di colpa lieve e la struttura non può esercitare l’azione nel caso in cui l’evento lesivo si sia verificato a causa di disfunzioni o carenze ad essa direttamente imputabili.

Se il medico non ha partecipato alla procedura stragiudiziale o al giudizio di risarcimento, l’azione di rivalsa nei suoi confronti può essere instaurata, a pena di decadenza, entro un anno dall’avvenuto pagamento.

 

B – LA SOLUZIONE DEL CASO

A) La pronuncia in esame: Corte di Cassazione, Sez. III Civ., Ordinanza 6 luglio 2020, n. 13872.

 

B) Riferimenti normativi: artt. 1218, 1228, 2043c. c..

 

C) La questione di diritto:

L’accertamento del nesso eziologico avviene combinando la regola del “più probabile che non” con la regola della “prevalenza relativa della probabilità”.

La Suprema Corte ha ricostruito la ripartizione dell’onere probatorio nelle fattispecie di responsabilità medica chiarendo come deve operare la  regula iuris della preponderanza dell’evidenza che si compone della regola del “più probabile che non” e della regola della “prevalenza relativa” dal  momento che nei giudizi risarcitori da responsabilità medica si rinviene un “doppio ciclo causale” (Corte Cass., n. 18392/2017 poiché il creditore-danneggiato deve provare il fatto costitutivo del diritto ossia il nesso di causalità fra l’insorgenza o l’aggravamento della patologia o la morte e la condotta del sanitario mentre il debitore-danneggiante deve provare il fatto estintivo del diritto ossia che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione.

Nel caso della struttura sanitaria il debitore è tenuto a provare che l’inadempimento è  derivato da causa a lui non imputabile solo dopo che il creditore-danneggiato ha dimostrato che l’aggravamento della patologia o la morte è eziologicamente riconducibile alla condotta del danneggiante.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto fondata la doglianza dei ricorrenti in ordine all’errata applicazione della regula iuris sull’accertamento del nesso causale.

La CTU, svolta in sede di merito, aveva affermato che l’emotorace (da cui è dipesa la morte della donna) rappresentava un’evenienza rara a seguito della toracentesi (ossia dell’operazione compiuta dai sanitari sulla paziente) per cui il consulente aveva  escluso di poter affermare con certezza un rapporto di causa effetto tra il decesso e l’intervento medico.

La Corte d’appello, sulle risultanze della consulenza tecnica, ha ritenuto che la sentenza impugnata non ha rispettato la  regula iuris  che impone di accertare il nesso di causalità materiale secondo il criterio preponderanza dell’evidenza , nel suo duplice significato in quanto se nella responsabilità contrattuale lato sensu intesa, la causalità materiale si distingue dall’inadempimento per la differenza fra eziologia ed imputazione, in pratica, non è separabile dall’inadempimento che corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto e, dunque, al danno evento, invece, nella responsabilità sanitaria , la causalità materiale torna a confluire nella dimensione del necessario accertamento della riconducibilità dell’evento alla condotta.

Poiché l’interesse primario del creditore corrisponde alla guarigione, l’oggetto della prestazione sanitaria consiste nel diligente svolgimento della prestazione professionale, ossia nel rispetto delle leges artis e dunque «il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie attinge non l’interesse affidato all’adempimento della prestazione professionale, ma quello presupposto corrispondente al diritto alla salute».

L’eventuale aggravamento del malato o il suo decesso non derivano automaticamente dalla violazione delle  leges artis (poiché l’evento infausto può avere anche una diversa eziologia) per cui il creditore-danneggiato ha l’onere di allegare la connessione naturalistica fra la lesione della salute e la condotta del medico e di provare la suddetta connessione (Corte Cass,. n. 28991/2019).

Quindi, in ambito medico, non c’è coincidenza tra inadempimento quale violazione delle regole di diligenza professionale e danno, per cui occorre dimostrare la connessione tra l’inadempimento del sanitario e l’esito infausto: l’onere di provare il nesso tra la morte di un soggetto e la condotta dei medici grava sui suoi eredi ed una volta assolto tale onere, scatta in capo al danneggiante (l’ospedale) l’onere di dimostrare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio, sia stato determinato da causa non imputabile.

Sulla base di tali presupposti la Suprema Corte ha ravvisato la violazione della regula iuris del “più probabile che non” ed ha rigettato la prima censura dei ricorrenti ribadendo che gravava su di loro l’onere la dimostrazione del nesso causale tra inadempimento dei sanitari ed evento di danno (la morte della congiunta) ed ha ritenuto fondata la seconda doglianza sulla violazione della regola giuridica  relativa al riscontro del nesso di causalità materiale tra la condotta dei medici e l’evento dannoso.

Secondo la Corte il principio applicabile ai fini della ricostruzione dell’efficienza causale della condotta del medico sull’evento è quello del “più probabile che non”, mentre il giudice di merito ha applicato una regola probatoria che richiede la certezza nella causazione dell’evento.

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