Lavoro

Sulla impugnabilità dei verbali di conciliazione sottoscritti in sede sindacale

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di Bonaventura Franchino - Avvocato in Napoli e Roma e di Angelo Ruggiero - Vice Presidente nazionale CEPI, esperto scientifico MIUR, docente SSM

La Corte di Cassazione, con ordinanza n.9006 del primo aprile 2019, si è pronunciata in merito alla impugnabilità dei verbali di conciliazione sottoscritti in sede sindacale e dei requisiti cui gli stessi debbono possedere ai fini della loro inoppugnabilità.
Con l'ordinanza, oggi in commento, la Corte ha chiarito che, in tema di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, “le rinunce e transazioni ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura”.


Nei fatti, obbligo primario ed ineludibile in capo al sindacalista è quello della effettiva assistenza del lavoratore che si concreta nell'illustrare compiutamente allo stesso ogni effetto e conseguenza discendente dalla sottoscrizione del verbale di conciliazione, di guisa che egli possa avere piena consapevolezza delle conseguenze cui va incontro con le rinunce e transazioni da sottoscrivere.


Dunque, il lavoratore, in via preliminare alla sottoscrizione del verbale, deve essere posto nelle condizioni di poter comprendere in modo esaustivo ogni effetto discendente dalla sottoscrizione del verbale di conciliazione.


IL provvedimento. oggi in commento, trae origine da un giudizio con cui un lavoratore formulava in sede giudiziale domanda di annullamento di un verbale di conciliazione sindacale; a sostegno di tale domanda assumeva di essere stato indotto alla sottoscrizione pena il recesso da parte datoriale dal rapporto di lavoro; deduceva, altresì, la non iscrizione alla organizzazione sindacale cui faceva riferimento il sindacalista.
Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo il verbale del tutto esente da vizi.


Analogo esito sortiva il giudizio in appello.


Si interponeva ricorso per cassazione e, quindi, al provvedimento oggi in commento.
In buona sostanza, l'ordinanza, con cui la Corte di legittimità ha respinto il ricorso, ha precisato espressamente che condizione necessaria, ai fini della validità ed efficacia dei verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, e, quindi della loro inoppugnabilità è che l'assistenza fornita dal rappresentante sindacale sia stata effettiva, ossia idonea a porre il lavoratore nella condizione di poter conoscere a quale diritto rinuncia e la misura della sua rinuncia; requisito necessario è, altresì, quello di rilevare nelle transazioni l'oggetto della “lite” e le reciproche concessioni, in cui si estrinseca il negozio transattivo; il tutto anche alla stregua di quanto disposto dall'art 1965 c.c. (Cfr anche Cassazione 24024/2013).


La Corte ha precisato ulteriormente che, se il rappresentante dei lavoratori dà lettura del verbale di conciliazione ed illustra i diritti e le rinunce del lavoratore, il verbale di conciliazione è da ritenere valido e le rinunce non possono essere più impugnate dal lavoratore.


Ad ulteriore conferma di quanto sopra, è bene precisare che l'art. 2113 c.c. 4 comma, esclude tutte le rinunce e transazioni stipulate dal lavoratore in “sedi protette “dal regime delle impugnazioni previsto dai commi 1 e 2 dell'art 2113 c.c.; difatti, la norma in parola fa riferimento alle rinunce e transazioni effettuate:
a) davanti al giudice (art.420 cpc);
b) davanti alle commissioni di conciliazione costituite presso la direzione territoriale del lavoro (art. 410 c.p.c c) con l'assistenza del sindacato ex art. 411, c. 3 c.p.c.;
d) nelle forme regolate dalla contrattazione collettiva ex art. 412 ter c.p.c.;
e) davanti alle commissioni di conciliazione costituite ex art. 412 quater c.p.c.


In ragione di quanto sopra, le rinunce e transazioni dei diritti effettuate nelle c.d. sedi protette. di cui abbiamo riferito sopra, sono da ritenere valide ed efficaci sin dal momento della loro sottoscrizione. La ratio di tale deroga è fondata sulla presunzione che nelle sedi protette le rinunzie e transazioni sono da ritenere valide al netto di eventuali conseguenze negative, discendenti da uno stato di soggezione del lavoratore, escludendo, così, ogni ed eventuale stato di coazione psicologica nei confronti del lavoratore.


Con lo scopo di meglio argomentare in merito al tema trattato, si precisa ulteriormente che, relativamente ai requisiti di validità degli accordi in sede protetta, la giurisprudenza formatasi nel tempo è rimasta costante e conforme all'orientamento sopra citato.
In particolare, si è ritenuto che gli accordi sindacali sono validi, se la facoltà di stipularli è prevista dal contratto collettivo che va rispettato in ogni sua parte; anche nella ipotesi in cui ciò non è previsto dal CCNL la inoppugnabilità del verbale è ritenuta esistente con la semplice presenza del sindacalista che svolge il proprio ruolo, provvedendo a leggere il verbale e spiegarne il contenuto e sottraendo il lavoratore da qualsivoglia forma di condizionamento che potrebbe nascere dalla presenza datoriale; ovviamente è necessario che il negozio transattivo risulti da atto scritto e sottoscritto contestualmente da tutte le parti.


Non è inutile sottolineare un recente orientamento giurisprudenziale (CFR Tribunale di Roma sentenza n. 4354/2019) che ritiene impugnabili, entro il termine di sei mesi dalla data di stipula, i verbali sottoscritti in sede sindacale nelle ipotesi in cui il CCNL di settore non disciplini l'istituto della conciliazione.


In buona sostanza, secondo tale convincimento, in base al combinato disposto dell'art 2113 ultimo comma c.c. e l'art 412 cpc, sono impugnabili solo i verbali di conciliazione nelle ipotesi in cui il relativo CCNL non prevede l'istituto della conciliazione ritenendo inoppugnabili solo le conciliazioni previste dai contratti colletti di settore.
Il Tribunale di Roma nell'affermare tale sua prospettazione, ribadisce, altresì, che la regola generale prevede la inoppugnabilità delle conciliazioni ritenendo la impugnabilità solo ipotesi residuale per cui non è consentita né l'interpretazione analogica né tantomeno quella estensiva della norma.


Infine lo stesso Tribunale di Roma ha precisato che le conciliazioni sono impugnabili anche se il rappresentante sindacale, che sottoscrive il verbale, non fornisce effettiva assistenza al lavoratore. Perché sia rispettato l'obbligo di effettiva assistenza, il sindacalista deve essere pienamente informato della vicenda e deve illustrare al dipendente gli effetti e le conseguenze della firma del verbale di conciliazione (costi e benefici). In questo modo il lavoratore ha la piena e completa consapevolezza delle conseguenze della rinuncia e può comprendere le conseguenze della firma del verbale di conciliazione.


Su questo aspetto, la sentenza del Tribunale di Roma risulta conforme all'orientamento espresso, poi, dalla sentenza della Corte di Cassazione in esame, in base alla quale, requisito essenziale della validità del verbale di conciliazione è la piena consapevolezza da parte del lavoratore di quanto previsto all'interno dell'accordo che andrà a sottoscrivere. In pratica, l'assistenza effettiva del rappresentante sindacale comporta la non impugnabilità delle rinunce del lavoratore firmate in sede sindacale.

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