Superbonus 110%, alle Sezioni unite la qualificazione giuridica della frode
La II Sezione penale, ordinanza n. 37423/2025, ha chiesto al Massimo consesso se va contestato il reato di indebita percezione o truffa aggravata
Va alle Sezioni unite l’esatta qualificazione giuridica delle truffe legate al Superbonus del 110%. Per la II Sezione penale, in particolare, non è chiaro se il reato integrato sia quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche o truffa aggravata. E in quest’ultimo caso se siamo di fronte a una forma consumata, anche se il cessionario non compensa o non riscuote il credito; oppure solo tentata (quando il credito non è ancora stato utilizzato).
L’ordinanza di rinvio n. 37423/2025 parte dal caso del titolare di una ditta individuale indagato per emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 d.lgs. 74/2000) e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.). L’imputato è sotto processo per aver emesso fatture false per lavori edilizi mai eseguiti, creando un “falso credito d’imposta”, pari a quasi 1 milione di euro. Il credito d’imposta è stato poi ceduto a terzi ma senza essere ancora stato compensato né riscosso dal cessionario.
Il GIP dispone il sequestro preventivo per equivalente. Il Tribunale del riesame annulla il sequestro affermando che il meccanismo fraudolento c’è ma la truffa è solo tentata, perché il credito “fittizio” è stato ceduto, ma non ancora compensato o riscosso, quindi per lo Stato non ci sarebbe stato ancora un danno patrimoniale.
Contro questa decisione ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica affermando che il Tribunale non avrebbe apprezzato il danno arrecato allo Stato, il quale “nella misura in cui riconosce un credito – ancorché illegittimamente conseguito – si riconosce immediatamente debitore nei confronti di un terzo, con le conseguenti iscrizioni in bilancio e, in generale, con tutti gli effetti nocivi che derivano dal riconoscimento di un credito – illegittimo – destinato ad essere prontamente utilizzato”.
Ravvisato un contrasto giurisprudenziale sul punto, la Sezione ha rimesso al “Massimo consesso” le seguenti questioni:
“Se la costituzione, nella materia dei cc.dd. “Superbonus 110%, di cui al d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, di un credito di imposta fittizio, mediante la presentazione di fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti sia condotta sussumibile nella fattispecie di reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. o in quella di cui all’art. 640-bis cod. pen.;
Se, nell’ipotesi in cui la condotta sia da definire giuridicamente ai sensi dell’art. 640-bis cod. pen., la costituzione di un credito di imposta fittizio mediante l’esercizio dell’opzione per la cessione a terzi, o la costituzione di un credito di imposta fittizio e la sua successiva cessione a terzi, indipendentemente dalla compensazione o riscossione del credito da parte del cessionario, integrino il reato in forma consumata, ovvero in forma tentata”.
Infine, emerge un ulteriore aspetto della questione “sul quale – scrive la Corte - occorrerebbe fare chiarezza”. E cioè il fatto che, oltre all’ipotesi di truffa aggravata dal conseguimento di erogazioni pubbliche (consumata o tentata) o di indebita percezione di erogazioni pubbliche – a seconda della prospettiva – “potrebbe profilarsi anche una truffa (consumata o tentata, in relazione alle specifiche ipotesi), nei confronti del cessionario del credito di imposta fittizio, quando si tratti di soggetto privato che versi in condizioni di buona fede”.





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