Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana
La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 28 novembre e il 2 dicembre 2022.
Nel corso di questa settima le Corti d'Appello si sono pronunciate in tema di affitto agrario, locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, rapporti tra procacciatore di affari e mediatore, conseguenze connesse alla morte del comodante o del comodatario e, infine, interpretazione del contratto.
A loro volta i Tribunali trattano le materie delle servitù, dell'attività edilizia (e delle conseguenze di un progetto tecnico irrealizzabile), dell'azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare contro amministratori e sindaci, dell'accettazione tacita di eredità e, infine, del danno da fermo tecnico di un veicolo.
LOCAZIONE
Affitto agrario – Morte delle parti - Conseguenze (Legge 3 maggio 1982, n. 203, articolo 49)
La sezione specializzata agraria della Corte di Appello di Messina si sofferma sulla corretta esegesi della norma ex articolo 49, IV, legge n. 203/1982 secondo cui, in ipotesi di morte dell'affittuario, mezzadro, colono, compartecipante o soccidario, "il contratto si scioglie alla fine dell'annata agraria in corso, salvo che tra gli eredi vi sia persona che abbia esercitato e continui ad esercitare attività agricola in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore a titolo principale, come previsto dal primo comma".
La norma disciplina una ipotesi di successione nel contratto, la cui scadenza va individuata in base alla originaria stipulazione, e non già la costituzione di un rapporto nuovo ex lege come previsto ex comma 1 della medesima disposizione che stabilisce, invece, in caso di morte del proprietario di fondi rustici condotti o coltivati direttamente da lui o dai suoi familiari, la costituzione ex lege di un rapporto di affitto agrario in favore di quello, tra gli eredi, che in qualità di imprenditore o di coltivatore diretto al momento dell'apertura della successione risulti aver esercitato, o continui ad esercitare, attività agricola sui fondi stessi ivi incluse le porzioni ricomprese nelle quote degli altri coeredi.
La norma da ultimo citata prevede che il rapporto di affitto che così si instaura tra i coeredi è disciplinato dalla (e segue le norme della) stessa Legge n. 203/1982 con inizio dalla data di apertura della successione.
Presupposto per l'applicazione dell'articolo 49, comma 1, è la sussistenza di una comunione ereditaria tra chi ha coltivato e continua a coltivare i fondi del de cuius e gli altri coeredi ed avente ad oggetto i fondi sui quali si intende costituire il rapporto di affittanza.
Tale norma non si applica ove, tra il de cuius ed uno degli eredi, risulti in precedenza stipulato un regolare contratto agrario, poiché in tal caso l'erede stesso, in qualità di concessionario ex contractu, continua ad usufruire del godimento del fondo rustico ai sensi della (diversa e successiva) disposizione di cui al terzo comma del medesimo articolo (secondo cui "i contratti agrari non si sciolgono per la morte del concedente").
• Corte di Appello di Messina, sezione sp. agraria, sentenza 28 novembre 2022 n. 776
LOCAZIONE
Contratto di locazione - Immobili destinati ad uso non abitativo – Obblighi del locatore
È propria della Corte d'Appello di Roma l'affermazione, in punto di diritto, del principio secondo cui, nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo, grava sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative.
Di conseguenza, ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a carico del locatore, e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato.
La destinazione particolare dell'immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che attenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell'obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell'immobile in relazione all'uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte del conduttore.
Precisamente, dunque, nella locazione di un immobile per uso diverso da quello abitativo, il locatore è inadempiente ove non abbia ottenuto - in presenza di un obbligo specifico contrattualmente assunto - le autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarità del bene sotto il profilo edilizio (e, in particolare, la sua abitabilità e la sua idoneità all'esercizio di un'attività commerciale), ovvero quando le carenze intrinseche, o le caratteristiche proprie del bene locato ostino all'adozione di tali atti e all'esercizio dell'attività del conduttore in conformità all'uso pattuito.
Invero, in generale, la causa del contratto di locazione, anche per le locazioni commerciali, non si estende mai alla garanzia della produttività dell'attività imprenditoriale che il conduttore si accinge a svolgere nei locali concessi. Pertanto, nella locazione rileva la sola dimensione materiale e non giuridica o produttiva dell'immobile.
• Corte di Appello di Roma, sezione VIII, sentenza 28 novembre 2022 n. 7527
MEDIAZIONE
Procacciatore di affari – Mediatore – Provvigione (Cc, articolo 1755)
Secondo la Corte d'Appello di Milano è configurabile il diritto alla provvigione del mediatore (articolo 1755 c.c.) per l'attività di mediazione prestata in favore di una delle parti contraenti anche nel caso in cui lo stesso sia stato contemporaneamente procacciatore d'affari dell'altro contraente.
Se è vero che, di norma, il procacciatore d'affari ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione, è anche vero che tale normale assetto del rapporto può essere derogato dalle parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, ben potendo il procacciatore, nel promuovere gli affari del suo mandante, svolgere attività utile anche nei confronti dell'altro contraente con piena consapevolezza e accettazione da parte di quest'ultimo.
Di conseguenza, essendo il procacciatore di affari figura atipica, i cui connotati, effetti e compatibilità, vanno individuati di volta in volta, con riguardo alla singola fattispecie, occorre avere riguardo, in materia, al concreto atteggiarsi del rapporto e, in particolare, alla natura dell'attività svolta e agli accordi concretamente intercorsi con la parte che non abbia conferito l'incarico.
E, ancora, si precisa in sentenza come il diritto del mediatore alla provvigione sorga tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, pur in assenza di un intervento del mediatore in tutte le fasi della trattativa, ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo purché il mediatore abbia messo in relazione le stesse, così da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata.
In particolare, sempre ai fini della provvigione, occorre avere riguardo al principio della causalità adeguata o efficiente, in base al quale la conclusione dell'affare deve costituire l'effetto dell'intervento del mediatore, il che si verifica quando l'attività da questi svolta rientra nella serie dei fattori ai quali sia ricollegabile la positiva conclusione delle trattative; e così la messa in relazione delle parti ad opera del mediatore deve costituire l'antecedente necessario per pervenire, anche attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione dell'affare.
• Corte di Appello di Milano, sezione I, sentenza 29 novembre 2022 n. 3786
CONTRATTO
Contratto di comodato – Morte delle parti - Conseguenze (Cc, articoli 1141, 1575, 1811)
La Corte d'Appello di Bari interviene in tema di comodato contratto mediante il quale il comodante si limita a consegnare la "res" al comodatario in assenza di una preesistente obbligazione in tal senso, attesa la tradizionale collocazione del comodato nell'ambito dei contratti reali.
Sicché non è pensabile immaginare l'applicazione al comodante, a fronte del precetto normativo in forza del quale il comodato si caratterizza per la pura e semplice consegna della cosa affinché il comodatario se ne serva per un tempo o per un uso determinato, di un precetto modellato su quello ex articolo 1575 c.c., che, come noto, obbliga il locatore a consegnare la cosa in buono stato di manutenzione e successivamente a mantenerla in stato da servire all'uso convenuto.
E cioè a dire, il comodante consegna al comodatario la cosa nello stato in cui si trova, buono o cattivo che sia, e non è in alcun modo tenuto a far sì che la cosa consegnata sia idonea all'uso cui il comodatario intende destinarla, giacché, al contrario, detto uso è contemplato dalla norma quale limite imposto al godimento del comodatario e non quale parametro cui rapportare l'idoneità della cosa.
Orbene, osserva in particolare la Corte d'Appello di Bari come, in caso di cessazione del contratto di comodato per morte del comodante o del comodatario e di mantenimento del potere di fatto sulla cosa da parte di quest'ultimo o dei suoi eredi, il rapporto, in assenza di richiesta di rilascio da parte del comodante o dei suoi eredi, si intende proseguito con le caratteristiche e gli obblighi iniziali anche rispetto ai medesimi successori.
E così, la cessazione, per morte del comodante o del comodatario (articolo 1811 c.c.), del rapporto di comodato, alla base della detenzione nomine alieno del comodatario stesso, non comporta, perdurando da parte di quest'ultimo o dei suoi eredi il potere di fatto sulla cosa, l'automatico mutamento della detenzione in possesso utile ai fini dell'usucapione, essendo all'uopo comunque necessario, ai sensi dell'articolo 1141, II, c.c., l'interversio possessionis.
Discende che, in caso di comodato senza termine di scadenza, ove gli eredi del comodante (deceduto) chiedano il rilascio dell'immobile dato in comodato, il comodatario è tenuto alla restituzione, dovendosi quindi ritenere persistente, in mancanza di apposita richiesta, la detenzione qualificata conseguente alla vigenza del titolo contrattuale.
• Corte di Appello di Bari, sezione I, sentenza 30 novembre 2022 n. 1736
CONTRATTO
Interpretazione del contratto - Principio di conservazione del contratto - Operatività (Cc, articoli 1362, 1365, 1367, 1371)
Secondo la Corte d'Appello di Firenze non è accoglibile la tesi che predica un'interpretazione riduttiva del principio di conservazione del contratto stabilito dall'articolo 1367 c.c. (tesi secondo cui tale principio può trovare applicazione solo in caso di dubbio sul senso del contratto o delle singole clausole, in quanto presuppone la sicurezza che il contratto esista e che sia valido tra le specifiche parti in causa, e non qualora manchi uno degli elementi essenziali del negozio giuridico).
In senso contrario la Corte ammette, a determinate condizioni, che si possa fare ricorso al predetto criterio per ricercare la comune intenzione delle parti anche con riferimento all'oggetto del contratto.
Infatti, argomenta ancora l'adita Corte, posto che i canoni di interpretazione del contratto sono governati da un principio di gerarchia in forza del quale quelli strettamente interpretativi (articoli 1362 - 1365 c.c.) prevalgono su quelli interpretativi-integrativi (articoli 1366 - 1371 c.c.), è precluso il ricorso a questi ultimi solo qualora, in base ai criteri strettamente interpretativi, sia stato comunque possibile individuare il significato e la portata del contratto.
In tal caso, infatti, il fine della conservazione del contratto non può essere conseguito attraverso un'interpretazione che sarebbe sostitutiva della volontà delle parti e dovrà pertanto dichiararsi, ricorrendone gli estremi, la nullità del contratto.
In caso contrario, qualora sussista un effettivo dubbio interpretativo, il Giudice è tenuto a ricorrere anche al criterio sussidiario di conservazione del contratto al fine di ricostruire la comune volontà delle parti, con riferimento ad ogni aspetto della stessa compreso l'oggetto dell'accordo.
Con la precisazione che il tradizionale principio in claris non fit interpretatio postula che la formulazione testuale sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa; la sussistenza di tale chiarezza costituisce propriamente il thema demostrandum, e non già una premessa argomentativa di fatto.
Il Legislatore ha attribuito al Giudice di merito il potere-dovere di stabilire se la comune intenzione delle parti risulti in modo certo ed immediato dalla dizione letterale del contratto.
• Corte di Appello di Firenze, sezione II, sentenza 30 novembre 2022 n. 2673
SERVITÙ
Servitù – Trasferimento in luogo diverso – Condizioni (Cc, articoli 1068, 1079)
Precisa il Tribunale di Brescia come l'attore che agisca in confessoria servitutis, ex articolo 1079 c.c., abbia l'onere di provare, qualora questa venga contestata, la propria legittimazione ad agire, in quanto titolare di un diritto di proprietà sul fondo dominante, sebbene la prova della proprietà non sia altrettanto rigorosa di quella richiesta per la rivendicazione, posto che, mentre con quest'ultima azione si mira alla dichiarazione del diritto di proprietà sul fondo, nel caso dell'azione confessoria si domanda soltanto l'affermazione del vincolo di servitù con le eventuali altre conseguenti dichiarazioni di diritto, onde la proprietà del fondo dominante costituisce unicamente il presupposto dell'azione ed è sufficiente che emerga anche attraverso delle presunzioni.
Il Tribunale passa poi a soffermarsi sull'ipotesi regolata ex articolo 1068, II, c.c. secondo cui, se l'originario esercizio è divenuto più gravoso per il fondo servente, o se impedisce di fare lavori, riparazioni o miglioramenti, il proprietario del fondo servente può offrire al proprietario dell'altro fondo un luogo egualmente comodo per l'esercizio dei suoi diritti e questi non può ricusarlo.
I presupposti per l'applicazione della norma sono essenzialmente due: in primo luogo, l'originario tracciato della servitù deve essere divenuto più gravoso per il fondo servente o, comunque, ostativo all'esecuzione di interventi conservativi e/o migliorativi sullo stesso; in secondo luogo, lo sviluppo alternativo della servitù non deve comunque risultare meno agevole per il fondo dominante.
Grava, naturalmente, sulla parte che invoca tale disposizione fornire prova dell'esistenza del duplice presupposto appena indicato. Si osserva ancora, in altro passo della sentenza, che l'indagine sulla sussistenza, ad opera del proprietario del fondo servente, di atti di violazione o turbativa della servitù deve essere condotta con riferimento all'estensione ed alle modalità di esercizio della servitù medesima, come fissate dal titolo costitutivo, e, pertanto, deve tenere conto anche delle specificazioni che tale titolo contenga in ordine alla utilitas, ove le stesse non abbiano mero valore indicativo, ma valgano a qualificare e delimitare il diritto.
• Tribunale di Brescia, sezione III, sentenza 29 novembre 2022 n. 2878
RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Attività edilizia – Progetto tecnico irrealizzabile – Danni (Dm 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9; cc, articolo 2043)
Secondo il Tribunale di Pistoia non si ravvisa un fatto illecito, dal quale consegua un danno ingiusto risarcibile, nella condotta di un Comune che abbia rilasciato concessioni edilizie illegittime (e, perciò, disapplicate) sulla base di norme tecniche di attuazione del Prg anch'esse illegittime, siccome adottate in contrasto con l'articolo 9 Dm n. 1444/1968 in materia di distanze.
Non è invero configurabile un interesse pretensivo allo svolgimento di attività edilizia oggettivamente non consentita, né merita tutela l'interesse al bene della vita correlato alle spese ed agli investimenti sostenuti in conseguenza dell'affidamento riposto nelle illegittime concessioni edilizie conseguite.
E se, dunque, a monte non può configurarsi alcun illecito della Pa per i danni patiti dal privato è logica conseguenza che tale condotta non può nemmeno configurare un fatto illecito per i danni lamentati dal professionista che abbia confidato nella realizzabilità del suo progetto tecnico secondo la disciplina regolamentare comunale.
Non solo. Il Tribunale osserva ancora che, anche nell'ipotesi in cui si dovesse configurare la condotta del Comune quale illecito ex articolo 2043 c.c., in ogni caso manca il nesso causale tra la condotta ascritta al Comune medesimo e i danni lamentati dall'attore - progettista della pratica edilizia e direttori dei lavori che, in tale sua qualità avrebbe dovuto riscontrare egli stesso, secondo la diligenza qualificata propria della professione svolta, il problema relativo alla difformità tra la disciplina regolamentare e quella normativa nazionale.
Quando, nel caso concreto, detto professionista tecnico abbia presentato un progetto irrealizzabile in quanto in contrasto con l'articolo 9 Dm 1444/1968 che è parte ope legis dello strumento urbanistico locale – tenuto comunque conto del fatto che l'autorizzazione comunale all'edificazione fa salvi i diritti dei terzi e dunque è priva di rilevanza nei rapporti che intercorrono tra i privati – e abbia curato la direzione dei lavori senza verificare la giuridica e materiale fattibilità dell'opera progettata non può dolersi delle conseguenze sottese all'annullamento / disapplicazione degli atti.
• Tribunale di Pistoia, sentenza 29 novembre 2022 n. 979
FALLIMENTO
Curatore del fallimento – S.P.A. – S.R.L. - Azioni di responsabilità proponibili
(Cc, articoli 2393, 2394; Rd 16 marzo 1942 n. 267, articoli 5, 146)
Osserva il Tribunale di Bari come, nell'azione di responsabilità esercitata ex articolo 146 Rd n. 267/1942 (L.F.) si cumulino le azioni di responsabilità contemplate dagli articolo 2393 e 2394 c.c., unitariamente finalizzate al risultato di acquisire all'attivo fallimentare, a tutela degli interessi sia della massa dei creditori sia della società fallita, ciò che sia stato sottratto al patrimonio sociale per la "mala gestio" degli amministratori.
E così, in tema di azione di responsabilità contro amministratori e sindaci promossa dal curatore ai sensi dell'articolo 146 L.F. cit., con riguardo alla decorrenza del termine di prescrizione (quinquennale per entrambe le azioni ex articoli 2393 e 2394 c.c.), quella ex articolo 2394 c.c. decorre non dal momento in cui i creditori abbiano avuto effettiva conoscenza dell'insufficienza patrimoniale - che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica, non corrisponde allo stato di insolvenza di cui all'articolo 5 Lf né alla perdita integrale del capitale sociale (che non implica necessariamente la perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale) - ma dal momento, che può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione del fallimento, in cui essi siano stati in grado di conoscere lo stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società.
In ragione dell'onerosità della prova a carico del curatore, avente ad oggetto l'oggettiva percepibilità dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando all'amministratore convenuto nel giudizio, che eccepisca la prescrizione dell'azione di responsabilità, dare la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.
Con la precisazione, ancora, secondo cui la prova dell'insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, ai fini ex articoo 146 Lf, se può desumersi anche dal bilancio di esercizio, deve pur sempre avere ad oggetto fatti sintomatici di assoluta evidenza (chiusura della sede sociale, assenza di cespiti suscettibili di esecuzione forzata, ecc.), nell'ambito di una valutazione che è riservata al Giudice di merito.
• Tribunale di Bari, sezione specializzata in materia di impresa civ, sentenza 30 novembre 2022 n. 4428
SUCCESSIONI E DONAZIONI
Accettazione tacita di eredità - Trascrizione - Natura giuridica – Effetti (Cc, articoli 485, 476, 2643. 2648)
La trascrizione, secondo il Tribunale di Firenze, è istituto avente natura pubblicitaria e deputato a risolvere i conflitti riguardanti le vicende di circolazione di beni immobili.
Essa non corrisponde affatto alla titolarità del bene medesimo, nel senso che, se certamente è trascrivibile soltanto un atto almeno astrattamente idoneo a trasferire la proprietà di un immobile (o altre ipotesi ex articolo 2643 c.c.), ben può aversi proprietà di un immobile la quale risulti da un atto non trascritto.
Semplicemente, la mancata trascrizione impedisce di avere tutela nell'eventualità di conflitti con terzi, ma non incide sulla sussistenza o meno del diritto reale sotteso alla formalità pubblicitaria.
Ciò premesso, precisa ancora l'adito Tribunale come l'accettazione tacita di eredità (articolo 476 c.c.) importi l'acquisto della qualità di erede la quale essa sola determina il passaggio della titolarità del bene. Quando, invece, in luogo della trascrizione dell'accettazione, venga effettuata la sola denuncia di successione, questa non è titolo per l'acquisto della proprietà.
Nel caso di accettazione tacita dell'eredità, la trascrizione può essere effettuata, ex articolo 2648, III, c.c., dallo stesso erede, ma chiunque può richiedere la trascrizione di quell'atto, qualora risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
L'acquisto tacito dell'eredità può avvenire anche a prescindere dal compimento di un atto negoziale, per effetto del possesso dei beni ereditari, qualora entro tre mesi dall'apertura della successione, il chiamato all'eredità, nel possesso dei beni ereditari, non proceda all'inventario dell'eredità ed alla successiva dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario; in tale caso il chiamato è considerato erede puro e semplice (articolo 485 c.c.) sulla scorta di un fatto concludente che comporta implicita accettazione anche se non correlato ad atti di disposizione.
Riguardo a tale ultima ipotesi non vi è alcuna previsione espressa per la pubblicità immobiliare, né sussiste la possibilità di procedere a tale pubblicità, in mancanza di un titolo idoneo, fatta salva la possibilità di trascrizione nei RR.II. dell'acquisto della qualifica di erede per possesso dei beni ereditari in occasione del compimento di un successivo atto rivestito di forma qualificata, idoneo alla trascrizione.
• Tribunale di Firenze, sezione II, sentenza 30 novembre 2022 n. 3360
RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Danno da fermo tecnico - Risarcimento – Onere della prova
La questione affrontata in sentenza dall'adito Tribunale di Potenza attiene alla richiesta di risarcimento del danno consistente nel pregiudizio di natura patrimoniale subito, dall'acquirente, a causa dell'impossibilità di utilizzare il veicolo oggetto di compravendita per la mancata consegna, da parte del venditore, dei documenti necessari per la sua circolazione.
Tale danno – osserva il Tribunale - deve essere allegato, e dimostrato, e la relativa prova non può avere ad oggetto la mera indisponibilità del veicolo, ma deve sostanziarsi nella dimostrazione o della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero della perdita subita per la rinuncia forzata ai proventi ricavabili dall'uso del mezzo.
E cioè a dire, il danno da cosiddetto "fermo tecnico" non è risarcibile in via equitativa cui è possibile ricorrere solo ove sia certa l'esistenza dell'an, quando la parte non abbia provato di aver sostenuto oneri e spese per procurarsi un veicolo sostitutivo, né abbia fornito elementi (quali i costi assicurativi o la tassa di circolazione) idonei a determinare la misura del pregiudizio subito.
Anche in caso di sinistro stradale, il danno da fermo tecnico non è presunto. Infatti, nel nostro ordinamento, non trovano ingresso i danni in re ipsa, giacché il danno non coincide con l'evento dannoso, ma individua le conseguenze da esso prodotte; inoltre, ammettere il risarcimento del danno per la mera lesione dell'interesse giuridicamente protetto significherebbe utilizzare la responsabilità civile in funzione sanzionatoria, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
Grava sul danneggiato l'onere di allegare e dimostrare il pregiudizio subito ragion per cui la prova del danno non può desumersi dalla mera circostanza dell'impossibilità di fruire del veicolo, né dal pagamento della tassa di circolazione (che prescinde dall'uso del mezzo) e delle spese assicurative (che possono essere sospese); infine, il deprezzamento del bene non è in nesso di relazione causale con il fermo tecnico, ma con la necessità di procedere alla riparazione del veicolo.
• Tribunale di Potenza, sentenza 30 novembre 2022 n. 1295