Truffa aggravata per chi raggira gli anziani con la scusa del “nipote in difficoltà economiche”
La circostanza aggravante deriva dal comportamento che ingenera nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario
Il deprecabile comportamento ai danni di persone anziane contattate da un soggetto che, chiede una somma per liberare un parente da presunti debiti, integra il reato di truffa aggravata (articolo 640, comma 2 n. 2 del cp). Lo chiarisce la Cassazione penale con la sentenza n. 41027/25.
La vicenda
L’artificio ascritto all’imputato consisteva - secondo la descrizione contenuta nel capo d’imputazione - nell’essersi l’imputato presentato telefonicamente a un’anziana persona offesa “come il nipote, riferendo di avere bisogno di denaro contante per risolvere problemi con i carabinieri, invitando la persona offesa a reperire denaro contante in casa da consegnare con sollecitudine a una sedicente persona”. L’istruttoria dibattimentale ha confermato l’esistenza di tale raggiro.
Il pericolo immaginario
E’ quindi evidente che dall’istruttoria era emerso che la frode era consistita anche ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario, fatto questo integrante l’aggravante di cui all’articolo 640 comma 2 n. 2 codice penale, la quale, rende il reato procedibile d’ufficio ex articolo 640 comma 4 del codice penale (senza quindi che sia necessaria la querela di parte).
Il ragionamento dei Supremi giudici
Secondo la Cassazione, infatti, ai fini della contestazione di una circostanza aggravante non è indispensabile una formula specifica espressa con enunciazione letterale, né l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, “essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, gli elementi integranti l’aggravante siano descritti o contenuti nel capo d’imputazione e l’imputato sia quindi posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa su tali elementi, salva l’ipotesi – che tuttavia non ricorre nel caso in esame – in cui la circostanza abbia natura “valutativa” (vale a dire non sia ictu oculi integrata da elementi fattuali oggettivi e necessiti dunque di una valutazione e qualificazione degli stessi)”.
L’errore dei giudici di primo grado
Nel caso in esame, tutti gli elementi costitutivi dell’aggravante (la cui sussistenza è stata confermata dall’istruttoria dibattimentale) erano puntualmente descritti nell’imputazione. Il giudice di primo grado avrebbe dunque dovuto ritenere sussistente l’aggravante e conseguentemente escludere che lo stesso fosse procedibile a querela. Erroneamente il Tribunale ha quindi dichiarato estinto il reato ex articolo 155 del codice penale. La decisione impugnata va pertanto annullata con rinvio per un nuovo giudizio.







