Tutela di diritti o competitività? La UE si trova di fronte a una scelta strategica senza precedenti
Una sfida non solo normativa ma di visione: trasformare la regolazione da ostacolo a leva strategica per garantire crescita, sostenibilità e capacità di competere in un’economia mondiale in rapida e inarrestabile evoluzione
L’agenda della Commissione Europea in materia di politiche del lavoro è ormai da tempo orientata a perseguire con sempre maggiore intensità un modello normativo fondato su trasparenza, equità, e sostenibilità, con l’obiettivo di rafforzare le tutele dei lavoratori, in particolare delle fasce più deboli, e di aumentare il ruolo delle loro rappresentanze nelle decisioni aziendali.
Da qui la proliferazione di normative che incidono in maniera sempre più diretta sulla struttura organizzativa delle imprese e sulle dinamiche contrattuali e retributive, imponendo altresì obblighi crescenti di rendicontazione e governance basati sui principi ESG.
Basti pensare alla Direttiva sulla Pay Transparency, la cui trasposizione negli ordinamenti nazionali dovrà avvenire entro il 7 giugno 2026, che si pone l’ambizioso obiettivo di garantire la parità di trattamento economico tra lavoratori e lavoratrici che svolgono un lavoro di pari valore, attraverso l’introduzione di un articolato e oneroso sistema di obblighi in capo alle imprese, che impone a queste ultime un profondo ripensamento dei modelli attuali e le espone a rilevanti rischi di contenzioso, individuale e collettivo.
O ancora la Direttiva sul Corporate Sustainability Reporting (CSRD), che impone ad un ampio spettro di aziende, comunitarie e non, gravosi obblighi di rendicontazione periodica di natura non finanziaria, aventi ad oggetto una molteplice gamma di informazioni, tra cui quelle sulle condizioni di lavoro, sugli indicatori di diversità, sui divari retributivi, sugli infortuni e sull’impatto dell’attività aziendale sui diritti umani, oltre che sui profili ambientali e di governance.
A ciò si aggiunge la Direttiva complementare sulla Corporate Sustainability Due Diligence (CSDDD), che si spinge addirittura oltre gli obblighi di rendicontazione, imponendo alle grandi imprese l’adozione di un approccio proattivo e sistematico volto a identificare, prevenire, e mitigare gli impatti ambientali e i rischi connessi alla tutela dei diritti umani generati dall’attività d’impresa e dalla sua intera supply chain.
Questo modello, pur ispirato da obiettivi sociali e ambientali di preminente rilevanza, rischia tuttavia di non essere sostenibile alla luce dei nuovi scenari globali, segnati da forti tensioni geopolitiche e commerciali, oltre che dall’avanzata inarrestabile dell’intelligenza artificiale. In questo contesto, modelli economici e politici come quelli di Stati Uniti e Cina, caratterizzati da estremo dinamismo, processi decisionali rapidi e regole molto meno gravose per le imprese, si muovono con maggiore agilità e capacità di adattamento.
Come sottolineato da Mario Draghi nel suo ultimo rapporto, la sfida cruciale per l’Unione Europea è trovare il giusto equilibrio tra il rafforzamento delle tutele sociali e l’urgenza di promuovere dinamismo economico e sviluppo industriale. Servono scelte politiche chiare, capaci di bilanciare laprotezione dei lavoratori e dell’ambiente con la competitività del sistema produttivo, anche attraverso un ripensamento del rapporto tra regolazione e crescita.
Messa alle strette da scelte ormai indifferibili, l’Unione Europea ha reagito approvando nel febbraio 2025 il pacchetto Omnibus, che ridimensiona molti interventi normativi e ne rinvia l’entrata in vigore. Con la Direttiva “Stop-the-Clock” sono stati introdotti rinvii significativi: per la CSRD, il perimetro applicativo è stato ristretto, escludendo oltre l’80% delle imprese inizialmente coinvolte e con il differimento degli obblighi di rendicontazione fino al 2029 per molte imprese; per la CSDDD, il termine di recepimento è stato posticipato al 2027, prevedendone un’implementazione graduale. Misure analoghe sono allo studio per la Direttiva sulla Pay Transparency, in risposta alle difficoltà operative segnalate da diversi Stati membri, tra cui Germania, Francia e Italia, che hanno sostenuto con forza la necessità di rinvii e semplificazioni.
L’Unione Europea si trova di fronte a una scelta strategica senza precedenti: adottare decisioni drastiche, anche a costo di rinunciare in parte alla tutela di diritti più che meritevoli, per salvaguardare la propria competitività nello scenario globale. Se non riuscirà a trovare questo equilibrio e lascerà che la propria burocrazia continui a produrre apparati normativi ipertrofici ed asfissianti per le aziende, il rischio è un futuro di stagnazione e marginalità, con un sistema europeo sempre più subalterno rispetto a modelli di innovazione e sviluppo vincenti come quelli statunitense e cinese. La sfida non è solo normativa, ma di visione: trasformare la regolazione da ostacolo a leva strategica per garantire crescita, sostenibilità e capacità di competere in un’economia mondiale in rapida e inarrestabile evoluzione.
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*Avv.ti Massimiliano Biolchini, Vincenzo Di Gennaro - Baker McKenzie



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