Giustizia

Ultima mediazione sui reati di mafia, Draghi pronto a forzare la mano in Aula

Ancora un giorno per la mediazione, altrimenti sarà fiducia sul testo del Cdm

di Giovanni Negri, Emilia Patta

Lo stallo della maggioranza sulla riforma del processo penale, a 48 ore dall’appuntamento dell’Aula, è stato evidente per tutta la giornata di ieri e potrebbe portare domani comunque all’approdo in Aula, alla Camera, del vecchio testo Bonafede sul quale poi innestare, corroborandoli con il voto di fiducia, gli emendamenti della ministra Marta Cartabia. Una mossa forse azzardata, anche perché Giuseppe Conte ha già dichiarato che il Movimento 5 Stelle non è disponibile a votare un provvedimento che rischia di fare evaporare numerosi processi per i reati di mafia e terrorismo. Ma anche una decisione in qualche modo conseguente all’incapacità, in una settimana dal Consiglio dei ministri che all’unanimità ha autorizzato la fiducia e fissato la nuova data per l’esame dell’Aula, delle forze che sorreggono il governo a individuare un punto di equilibrio condiviso. La determinazione di Mario Draghi a rispettare la tabella di marcia concordata con Bruxelles su una riforma che è una delle pre-condizioni del Recovery plan e a portare dunque il testo in Aula domani, con o senza accordo, è tuttavia evidente ai leader politici. E il tempo stringe.

Ma in questi giorni più che cercare un accordo sono trascorsi per rialzare la posta in gioco, con Forza Italia che ha tentato, tirandosi dietro le altre forze di centrodestra, il blitz sull’abuso d’ufficio e con Conte che, nelle ultime ore, ha aggiunto all’improcedibilità un altro tema di insoddisfazione, ossia la determinazione dei criteri generali di esercizio dell’azione penale da parte del Parlamento.

Della tensione è emblema quanto avvenuto ieri mattina con la convocazione al ministero da parte di Cartabia dei capigruppo di maggioranza. Una riunione in cui di improcedibilità non si è neanche discusso: si è invece sgombrato il campo dalla stragrande maggioranza dei 400 subemendamenti rimasti alle proposte del ministero. Tutti bocciati dalla ministra, salvo tre, due presentati da Alfredo Bazoli (Pd) e l’altro dal grillino Mattia Ferraresi. I primi su patteggiamento e messa alla prova incontrano subito la contrarietà della Lega, mentre l’altro, che estende la competenza del giudice unico sui reati a citazione diretta, alla fine pare non piacere a nessuno. Una sorta di “pulizia” preventiva al voto dell’Aula, che resta fissato per domani e che il governo non ha alcuna intenzione di rimandare. Forte del pieno sostegno ribadito ieri dal leader della Lega Mattei Salvini durante un incontro a Palazzo Chigi (si veda pagina 6) e anche, in serata, dal segretario del Pd Enrico Letta in un colloquio in cui è stato confermato «l’impegno del Pd a sostengo dell’impianto della riforma e nel favorire una mediazione equilibrata con gli alleati di governo». I collaboratori di Draghi rimandano alle parole pronunciate da Sergio Mattarella durante la cerimonia del ventaglio a proposito di riforme legate al Pnrr: «Serve ascolto e mediazione, ma poi bisogna assumere decisioni chiare ed efficaci rispettando gli impegni assunti».

Una determinazione, quella del premier, che è ormai insofferenza e che spinge in serata la possibile schiarita: a parlare di «sintesi vicina» è il presidente penstastellato della commissione Giustizia Mario Perantoni. E le parole pronunciate da Salvini, uno dei più fieri oppositori nei giorni scorsi alle proposte del M5s, indicano la possibile strada: «È giusto non mandare in prescrizione i processi di mafia, ma per la Lega è altrettanto doveroso prevedere che anche per i reati di violenza sessuale e traffico di droga i processi vadano fino in fondo». I processi di mafia sono una conditio sine qua non per il M5s di Conte, ma questa modifica trova la forte opposizione di Fi. Il tempo stringe, dopodiché parlerà l’Aula.

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