Civile

Una «sentenza trattato» sulle opposizioni proposte prima o dopo l’esecuzione forzata

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di Giuseppe Finocchiaro

La lunga e articolata sentenza 26285/2019, con cui la Suprema corte enuncia ben otto principi di diritto nell'interesse della legge sul tema del reciproco rapporto tra opposizioni all'esecuzione (ex articolo 615, commi 1 e 2, del Cpc), cioè proposte, rispettivamente, prima ovvero dopo l'inizio dell'esecuzione forzata, si impone all'attenzione del lettore non soltanto per l'estrema delicatezza e complessità teoriche delle questioni affrontate, ma anche e soprattutto per il loro assai frequente rilievo pratico-applicativo.

Una sentenza trattato

La decisione si caratterizza non soltanto per la notevole estensione (ben 40 facciate nella versione originale!), ma anche per essere corredata, subito dopo l'intestazione e l'indicazione delle parti e delle conclusioni del pubblico ministero, da un «Indice», in cui sono riportati gli argomenti affrontati nei diversi paragrafi e sottoparagrafi, i quali risultano così muniti di veri e propri «titoli».
Con l'aggiunta di questo nuovo elemento formale, il provvedimento si propone apertamente (e sfacciatamente) come «sentenza trattato».
Non pare, peraltro, di essere in errore affermando che la Suprema corte intenda sostituirsi non soltanto alla dottrina nella funzione di analisi delle norme e loro sistematizzazione, ma anche e, soprattutto, al legislatore, enunciando «principi di diritto nell'interesse della legge», rivolti a integrare (e talvolta sovvertire) le disposizioni di legge, spesso come interpretate da una consolidata giurisprudenza. Vediamo ora in dettaglio i principi di diritto enunciati nell'interesse della legge ex articolo 363, comma 3, del Cpc .

Il primo principio

Per quanto riguarda il primo principio la Cassazione afferma che sussiste litispendenza fra l'opposizione a precetto e l'opposizione all'esecuzione successivamente proposta contro lo stesso titolo esecutivo, quando le due azioni sono fondate su fatti costitutivi identici, concernenti l'inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione forzata, e sempreché le cause pendano davanti a giudici diversi. Invece, nell'ipotesi - più probabile - in cui le due opposizioni, riassunta la seconda nel merito, risultino pendenti innanzi al medesimo ufficio giudiziario, delle stesse se ne dovrà disporre la riunione; ovvero, qualora ciò non sia possibile per impedimenti di carattere processuale, bisognerà sospendere pregiudizialmente la seconda causa.

Il secondo principio

L'opposizione a precetto e l'opposizione all'esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo esecutivo, fondate su identici fatti costitutivi e pendenti, nel merito, innanzi al medesimo ufficio giudiziario, per i giudici di legittimità vanno riunite d'ufficio, ferme restando le decadenze già maturate nella causa iniziata per prima.

Il terzo principio

Sulla domanda di sospensione dell'esecuzione, la sentenza dispone che il giudice dell'opposizione a precetto (opposizione pre-esecutiva), cui è stato chiesto di disporre la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, non perde il potere di provvedere sull'istanza per effetto dell'attuazione del pignoramento o, comunque, dell'avvio dell'azione esecutiva, sicché l'ordinanza sospensiva da questi pronunciata dopo determinerà ab esterno la sospensione di tutte le procedure esecutive nel frattempo instaurate.

Il quarto principio

La Cassazione si sofferma sulla validità o meno del pignoramento, prevedendo che questo, eseguito dopo che il giudice dell'opposizione a precetto ha disposto la sospensione dell'esecutività del titolo, è radicalmente nullo e tale invalidità deve essere rilevata, anche d'ufficio, dal giudice dell'esecuzione.

Il quinto e il sesto principio

Se sono contemporaneamente pendenti l'opposizione a precetto e l'opposizione all'esecuzione già iniziata sulla base di quello stesso precetto, la sezione terza civile di Piazza Cavour chiarisce che i due giudici hanno una competenza mutuamente esclusiva quanto all'adozione dei provvedimenti sospensivi di rispettiva competenza: sebbene l'opponente possa in astratto rivolgersi all'uno o all'altro giudice, una volta presentata l'istanza innanzi a quello con il potere «maggiore» (il giudice dell'opposizione a precetto), egli consuma interamente il suo potere processuale e, pertanto, non potrà più adire al medesimo fine il giudice dell'esecuzione, neppure se l'altro non si sia ancora pronunciato. E se c'è litispendenza fra la causa di opposizione a precetto (cosiddetta "opposizione pre-esecutiva") e la causa di opposizione all'esecuzione già iniziata, il giudice dell'esecuzione, terminata la fase sommaria, non deve assegnare alle parti un termine per introdurre il giudizio nel merito, poiché un simile giudizio sarebbe immediatamente cancellato dal ruolo ai sensi dell'articolo 39, comma 1, del Cpc. Il giudizio che le parti hanno l'onere di proseguire si identifica, infatti, con la causa iscritta a ruolo per prima, ossia l'opposizione a precetto.

Settimo e ottavo principio

Il tema affrontato è il rispetto dei termini. Qualora, pendendo una causa di opposizione a precetto, il giudice dell'esecuzione - o il collegio adito in sede di reclamo - sospenda l'esecuzione per i medesimi motivi prospettati nell'opposizione pre-esecutiva, le parti non devono introdurre il giudizio di merito nel termine di cui all'articolo 616 del Cpc che sia stato loro eventualmente assegnato, senza che tale omissione determini il prodursi degli effetti estintivi del processo esecutivo previsti dall'articolo 624, comma 3, del Cpc, in quanto l'unico giudizio che le parti sono tenute a coltivare è quello, già introdotto, di opposizione a precetto, rispetto al quale una nuova causa si porrebbe in relazione di litispendenza.

Se il giudice dell'esecuzione, ravvisando identità di petitum e causa petendi fra opposizione a precetto e opposizione all'esecuzione innanzi a lui pendente, dopo aver provveduto sulla richiesta di sospensiva, non assegna alle parti il termine di cui all'articolo 616 del Cpc per l'introduzione nel merito della seconda causa, la parte interessata a sostenere che le domande svolte nelle due opposizioni non sono del tutto coincidenti, dovrà introdurre egualmente il giudizio di merito, nel termine di sei mesi (articolo 289 del Cpc), chiedendo che in quella sede sia accertata l'insussistenza della litispendenza o, comunque, un rapporto di mera continenza. Infatti, contro il provvedimento del giudice dell'esecuzione, avente natura meramente ordinatoria, non possono essere esperiti né l'opposizione agli atti esecutivi, né il ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111, comma 7, della Costituzione, né il regolamento di competenza.

Qualche preoccupata conclusione

Molte delle indicazioni contenute nei principi di diritto affermati dalla sentenza n. 26285 non possono essere condivise, visto che forniscono un'interpretazione abrogante della disciplina dettata dal codice di rito, per sostituirla con un corpus normativo pretorio di nuovo conio.
La sola circostanza, però, che tutti questi principi di diritto siano stati enunciati dalla Cassazione e così inseriti nei massimari e nelle banche dati di giurisprudenza, dà adito a una crescente confusione e generale incertezza delle regole da seguire: gli operatori del processo, avvocati e giudici di merito, si trovano ora sgomenti e spiazzati davanti al dilemma se seguire le disposizioni del codice di rito ovvero attenersi ai principi di diritto enunciati nell'interesse dalla legge dalla Corte di cassazione.
Di fronte a questa applicazione dell'articolo 363, comma 3, del Cpc, difficilmente poteva immaginarsi una peggiore eterogenesi dei fini.

Cassazione – Sezione III civile – Sentenza 17 ottobre 2019 n. 26285

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