Università e brevetti, no a clausole poco chiare
Nel contratto devono essere definiti con precisione confini oggettivi e temporali
Le clausola contrattuale che estendono il divieto di brevettazione devono definire in modo inequivocabile il perimetro oggettivo e temporale della clausola attributiva della titolarità di tali diritti di proprietà industriale.
Con sentenza del 22 marzo 2021, la sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Milano è stata chiamata a pronunciarsi in merito all'inadempimento, da parte dell'Università degli studi di Parma, dell'obbligo contrattuale di astensione dal depositare domande di brevetto farmaceutico-veterinario aventi ad oggetto una specifica tipologia di peptidi antimicrobici contenuto in un contratto concluso con Icf, Industria Chimica Fine Srl che ha avviato il procedimento.
Nell'ambito di un progetto di ricerca scientifica congiunta, l'Università parmense aveva, infatti, sottoscritto con la Icf – nell'aprile 2015 – un contratto di partenariato di ricerca, con cui l'ateneo cedeva a titolo oneroso alla Icf un brevetto italiano avente ad oggetto proprio tale tipologia di composti chimici, nonché tutti i brevetti e le domande di brevetto da esso derivati.
Il contratto in questione disciplinava la collaborazione scientifica finanziata tra le parti: l'Università era autorizzata a continuare la ricerca nel campo dei peptidi antimicrobici solo ed esclusivamente a fini scientifici, mentre la titolarità dei risultati di tali ricerche (e le loro eventuali applicazioni farmaceutiche) sarebbe spettata – a titolo originario – in capo alla Icf.
In particolare, una clausola del contratto prevedeva che l'ateneo non avrebbe potuto «depositare domande di brevetto di perfezionamento, rispetto a quelle oggetto del presente contratto, né nazionali, né europee, né internazionali», in quanto i diritti patrimoniali di sfruttamento dei risultati di laboratorio relativi alle “tematiche” oggetto dei brevetti ceduti spettavano in via esclusiva alla società cessionaria.
Proprio sull'interpretazione di questa clausola è stato necessario l'intervento del Tribunale di Milano. Oggetto di discussione tra le parti era, in primo luogo, l'estensione oggettiva del divieto di brevettazione:
- secondo la Icf i titoli brevettuali (illegittimamente) depositati dall'ateneo dovevano considerarsi perfezionamento dei brevetti ceduti;
- l'Università di Parma, al contrario ne affermava la totale estraneità, riguardando essi peptidi diversi da quelli oggetto dei brevetti ceduti.
Non era, poi, chiaro il profilo temporale del divieto. L'ateneo sosteneva, infatti, che la domanda di brevetto contestata esulasse dall'ambito di operatività della clausola, essendo stata depositata a meno di un mese dalla sottoscrizione del contratto.Entrambe le contestazioni sono state ritenute infondate dal giudice, che ha dichiarato la violazione del divieto di brevettazione.
La decisione in commento mette in luce i potenziali benefici e – soprattutto – i rischi insiti nella determinazione contrattuale della titolarità delle invenzioni brevettabili realizzate nell'ambito della ricerca universitaria finanziata in tutto o in parte da enti privati. Clausole contrattuali di questo tipo mirano, infatti, a risolvere in via convenzionale la (annosa) questione dell'attribuzione dei diritti di utilizzazione economica dei risultati scientifici della ricerca congiunta tra enti privati ed enti pubblici, e della titolarità dei relativi brevetti (anche di perfezionamento).
Tuttavia, i numerosi dubbi interpretativi emersi nel corso della controversia tra l'Università degli studi di Parma e la società partner – dovuti anche a una difformità tra contratto preliminare e definitivo – sottolineano l'importanza di una definizione inequivocabile del perimetro oggettivo e temporale della clausola attributiva della titolarità di tali diritti di proprietà industriale. Ciò al fine di evitare l'insorgere di controversie sulla titolarità dei risultati brevettabili di ricerche finanziate, favorendo così collaborazioni scientifiche virtuose tra enti pubblici ed enti privati e incentivando un utilizzo sempre più prolifico di centri universitari all'avanguardia.
Il punto di partenza della negoziazione tra le parti è rappresentato senz'altro dal comma 5 dell'articolo 65 del Codice di proprietà industriale che, come noto, attribuisce la titolarità delle invenzioni brevettabili realizzate nell'ambito di ricerche universitarie/pubbliche finanziate da privati – non al singolo ricercatore (in deroga ai primi commi dello stesso articolo), bensì – a università ed enti pubblici di ricerca, conferendo agli stessi potere negoziale nei rapporti con le imprese co-finanziatrici.