Civile

Uno shock fiscale (a costo zero) per la ripresa dell'economia nel post covid

Una seria riforma fiscale dovrebbe intervenire profondamente sulla disciplina dell'accertamento, della riscossione e del contenzioso, così da rendere il nostro sistema fiscale maggiormente certo e affidabile sotto il profilo della pretesa

di Roberto Salin*


Nel corso di un'audizione tenutasi il 22 aprile scorso alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati, il Direttore dell'Agenzia delle Entrate aveva reso noto come fossero pronti per essere notificati ai contribuenti italiani 33,5 milioni di atti, tra cui 8,5 milioni di avvisi di accertamento e 25 milioni di cartelle. I recenti provvedimenti legislativi hanno tuttavia disposto che l'attività della riscossione, da parte dell'Agenzia delle Entrate, sarà comunque sospesa fino al 31 dicembre 2020 per poi ripartire con il nuovo anno.

Siamo, pertanto, in una situazione di emergenza fiscale, oltre che sanitaria – sia per gli operatori economici che per l'Amministrazione finanziaria - in cui appare improcrastinabile una seria e profonda riforma che renda il nostro fisco più equo, più efficiente e più moderno; ciò al di là di misure temporanee legate all'emergenza, quali quelle previste nei diversi "Decreti Ristori" recentemente approvati.

Una seria riforma fiscale dovrebbe intervenire profondamente sulla disciplina dell'accertamento, della riscossione e del contenzioso, così da rendere il nostro sistema fiscale maggiormente certo e affidabile sotto il profilo della pretesa, evitando "magazzini" di cartelle e avvisi di accertamento; soprattutto la riforma della magistratura tributaria, di cui si parla da anni, prevedendo una nuova magistratura specialistica ed autonoma (non dipendente da una delle parti in causa del processo – il Ministero dell'Economia attraverso l'Agenzia delle Entrate), composta da giudici selezionati previo concorso pubblico e remunerati in modo adeguato, dovrebbe consentire uno snellimento del contenzioso unitamente ad una maggiore tutela dei diritti del contribuente.

Una riforma fiscale degna di questo nome dovrebbe altresì prevedere una progressiva riduzione dell'imposta sul reddito societario (IRES e IRAP), attualmente al 27,9% mentre la media europea è al 21,9% (si va dal 9% dell'Ungheria al 34% della Francia); ciò tenuto conto che la competitività fiscale del nostro sistema paese a livello internazionale e la capacità di attrare investimenti dall'estero sarà una delle sfide cruciali nell'era post Covid. Al riguardo, sarebbe sufficiente una riduzione graduale nell'arco di un triennio fino al raggiungimento di un'aliquota unica (IRES e IRAP) del 21% (nel Regno Unito è attualmente al 19%); tale obiettivo dovrebbe quindi determinare una progressiva riduzione dell'IRES di tre punti percentuali (dal 24% al 21%) e l'abolizione dell'IRAP (attualmente al 3,9%), in quanto assorbita nella nuova tassazione unica dei redditi societari. Proprio l'eliminazione dell'IRAP, da più parti invocata negli ultimi giorni, appare in questo particolare momento storico la misura di politica fiscale più equa che il Governo possa assumere.

C'è da chiedersi a questo punto se una riforma fiscale così impegnativa per la finanza pubblica possa essere considerata sostenibile, anche alla luce dell'importante contrazione del PIL prevista per quest'anno in Italia. Al riguardo, si può stimare che la sola perdita di gettito derivante dalla progressiva riduzione dell'imposta sul reddito societario, unitamente all'abolizione dell'IRAP, ammonti a circa 28 miliardi di euro nell'arco di un triennio: 24 miliardi per l'abolizione dell'IRAP (compreso il settore pubblico) e 4 miliardi per la riduzione di tre punti percentuali dell'IRES.

Una possibile soluzione alle coperture, senza aumentare il debito pubblico, potrebbe risiedere negli oltre 200 miliardi di euro di "capitali occulti" detenuti illegalmente all'estero e in Italia, così come nei 954 miliardi del cosiddetto "magazzino cartelle" denunciato, con un certo allarme - quasi a voler invocare una soluzione - dal Direttore dell'Agenzia delle Entrate nel corso della sua ultima audizione alla Camera dei Deputati.

Partendo da quest'ultimo dato, appare quasi fisiologico un nuovo provvedimento di rottamazione; lo stock pregresso di cartelle giacente presso Agenzia Entrate Riscossione è il più alto in assoluto tra i paesi industrializzati; si deve poi considerare che dei 954 miliardi confermati lo scorso aprile, solo 14,7 miliardi sono relativi a rateazioni in corso mentre l'ammontare residuo riguarda debiti di difficile esigibilità.

Altrettanto, importante e necessario appare - anche al fine di dare un solido supporto finanziario alla riforma proposta - l'implementazione di un programma di voluntary disclosure permanente, il cui gettito, considerate le due ultime edizioni, non appare irrilevante.

In particolare, per quanto riguarda il nostro Paese, secondo stime di Banca d'Italia, ci sarebbero ancora tra i 150 e i 200 miliardi di euro detenuti illegalmente all'estero, con un'evasione di oltre 70 miliardi l'anno.

L'OCSE, nel suo rapporto sull'Italia (Economic Surveys 2019), ha, tra l'altro, espressamente suggerito di potenziare le procedure di voluntary disclosure, giungendo ad un meccanismo di regolarizzazione a regime da introdurre nel nostro ordinamento; e ciò sulla base dell'esperienza di circa 50 paesi (monitorati dall'OCSE) in cui è attivo un programma di regolarizzazione spontanea dei capitali illegalmente detenuti all'estero; di questi paesi, ben 38 adottano programmi di regolarizzazione permanente, tra cui Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Austria, Canada, per citare quelli più importanti. In tutti questi casi, come d'altra parte nell'esperienza italiana, si applicano le imposte per intero (ove dovute), le relative sanzioni in una misura agevolata e si prevede un'ampia copertura penale per i reati di natura tributaria che è il vero plus della regolarizzazione in oggetto; ecco perché sarebbe sbagliato accostare questo strumento ad un condono, come a volte osservato (erroneamente) da qualche incauto politico; ed infatti, come sostenuto anche dallo stesso procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Milano, Francesco Greco, "i progetti di disclosure si basano sul divieto di mentire e sono programmi monitorati dall'OCSE, non sono invenzioni del legislatore domestico".

Se si considera che gli ultimi due provvedimenti di voluntary disclosure adottati in Italia, nel 2016 e nel 2017, hanno portato all'emersione di capitali esteri per oltre 60 miliardi di euro, con un gettito, in termini di imposte e sanzioni, pari a poco più di 5 miliardi, è ipotizzabile che una cifra prudenziale di 180 miliardi, di capitali ancora nascosti, possa portare a 15 miliardi di nuove entrate.

Ad un programma di regolarizzazione permanente dei capitali detenuti illegalmente all'estero dovrebbe affiancarsi, in via temporanea, la regolarizzazione dei capitali detenuti illegalmente in Italia; le stime più recenti indicano in oltre 100 miliardi il contante tenuto in cassette di sicurezza nel nostro Paese. Si dovrebbe, pertanto, consentire la regolarizzazione del contante proveniente dalla sola evasione, con una copertura penale limitata ai reali di natura fiscale; ciò dietro apposita dichiarazione da parte del contribuente – dietro specifica responsabilità anche penale - circa la natura esclusivamente fiscale delle somme emerse e con la possibilità, da parte delle Amministrazione finanziaria, di poter verificare rigorosamente la veridicità della dichiarazione stessa.

Il costo (a forfait) di una procedura di voluntary disclosure del contante non dovrebbe superare il 20% della somma emersa; esso avrebbe natura essenzialmente sanzionatoria, posto che l'applicazione di un'imposta piena su somme la cui formazione il più delle volte non è facilmente dimostrabile - potendo risalire anche ad anni ormai prescritti fiscalmente - potrebbe apparire iniqua. Pertanto, ipotizzando l'emersione di 100 miliardi, il gettito che ne deriva potrebbe raggiungere i 20 miliardi.

Pertanto, i tre interventi sopra descritti (rottamazione, programmi di voluntary disclosure permanente e regolarizzazione del contante) costituirebbero non solo mere misure di entrata ma, nel complesso, una sorta di nuova Pax Fiscale; quest'ultima avrebbe lo scopo di consentire da un lato la regolarizzazione del passato, ristabilendo una nuovo rapporto tra Fisco e contribuente, anche alla luce della nuova riforma; dall'altro lato di finanziare la stessa riforma, evitando, nel triennio in cui andrà a regime, pericolosi tentativi di allargamento della base imponibile o dannosi ricorsi a nuovo debito pubblico.

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