Immobili

Urbanistica ed edilizia, quando leggere la norma non basta

La necessità di una riforma è diffusa e diverse sono le proposte pendenti in Parlamento ma sembra che manchi la consapevolezza sia dell’urgenza, sia della necessità di una visione organica della materia

di Guido Alberto Inzaghi*

“La legge si chiama legge perché si legge”, dice qualcuno. Ovvio, ma purtroppo non vero nel campo dell’urbanistica e dell’edilizia. Leggere la norma non basta: lo dimostra, per fare un solo esempio, la definizione di “ristrutturazione edilizia” contenuta nel Testo Unico Edilizia.

Il caso della ristrutturazione edilizia

Secondo buona parte della magistratura amministrativa, anche in pronunce recenti e autorevoli (Consiglio di Giustizia Amministrativa sentenza n. 422 del 3 giugno 2025), rientrano nella ristrutturazione le opere di demolizione e ricostruzione completamente infedeli rispetto all’edificio originario, purché ne resti invariato il volume (salvi i bonus energetici e le previsioni locali). Possono quindi cambiare sagoma, altezza, prospetti e sedime. Per la Procura di Milano, invece, le modifiche ammissibili per non qualificare l’intervento come nuova costruzione sarebbero molto più limitate. Il Consiglio di Stato (sentenza n. 8542/2025 del 4 novembre), da ultimo, ha scelto una via intermedia: si resta nella ristrutturazione se non cambia il numero degli edifici demoliti, se la demolizione è contestuale alla ricostruzione e se l’edificio ricostruito si mantiene neutro sotto il profilo dell’impatto sul territorio nella sua dimensione fisica, condizione tutt’altro che semplice da stabilire.

Conseguenze negative

L’incertezza è una questione tutt’altro che accademica: sta bloccando non solo a Milano tantissimi interventi di rigenerazione urbana, ha “espropriato” famiglie (quelle sospese) delle loro nuove case e mandato sotto processo funzionari comunali, professionisti e imprenditori per aver applicato la legge seguendo una linea interpretativa che, per quanto diversa da quella ora sostenuta dalla Procura, è avvalorata da tante sentenze e regolamenti locali. L’incertezza normativa, poi, frena investimenti per circa 660 miliardi, secondo le più recenti stime di Scenari Immobiliari, con effetti negativi su occupazione e indotto. La frammentazione delle regole riduce la capacità di attrarre capitali, e impedisce di valorizzare aree urbane strategiche, con un costo sociale ed economico elevatissimo. Viene ridotto lo stock di nuove case in vendita e in locazione aumentandone così il prezzo e i canoni per la nota legge che lega domanda e offerta. Serve dunque chiarezza.

La riforma necessaria

Scartata la strada dell’interpretazione autentica, battezzata “salva Milano”, occorre rimettere mano all’impianto normativo che disciplina l’urbanistica e l’edilizia. Vanno eliminate ambiguità e zone grigie, occorre semplificare i procedimenti e garantire certezza del diritto, superando un impianto pensato sotto le bombe nel 1942 e aggiornato nel 1967 durante il boom economico per l’espansione urbana. Vanno introdotte regole flessibili e orientate ai processi, capaci di favorire qualità progettuale e co-progettazione tra pubblico e privato. In particolare, occorre:

• rigore nella definizione degli interventi edilizi, introducendo la categoria della sostituzione edilizia e collegando anche ad essa le agevolazioni fiscali per gli interventi sull’esistente;

abrogare le regole del 1967 e ’68 sugli standard urbanistici ed edilizi;

• definire chiaramente i casi tassativi in cui serve il piano attuativo, dettando una procedura snella per la sua approvazione;

• chiarire i regimi autorizzativi tra CILA, SCIA, permesso di costruire e permesso di costruire convenzionato;

• introdurre la destinazione logistica e in genere agevolare il cambio d’uso;

• rendere derogabile la dotazione dei parcheggi pertinenziali privati;

• sancire il principio per cui è sempre fatta salva la volumetria esistente anche se oggetto di demolizione e ricostruzione, a prescindere dalla qualificazione dell’intervento;

abolire il principio della duplice conformità, per rendere possibile la regolarizzazione degli edifici conformi alla disciplina urbanistica vigente;

• fissare il termine di 60 giorni dall’apposizione del cartello di cantiere / avvio dei lavori per l’impugnazione al TAR dei titoli edilizi anche derivanti da autocertificazione (CILA, SCIA).

La collaborazione pubblico privato

La riforma urbanistica ed edilizia deve comunque riconoscere il ruolo decisivo del partenariato pubblico-privato (anche al di là della sua definizione normativa del codice dei contratti pubblici per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico), che è lo strumento chiave per dare concretezza ai processi di rigenerazione urbana, mobilitando risorse economiche, competenze e capacità organizzative che le amministrazioni da sole non possono attivare. Il modello della pianificazione per vincoli e dell’esproprio a prezzo politico non può certo essere riproposto.

Gestione del contingente

In attesa della riforma, i comuni e gli operatori sono lasciati da soli. Milano sta sperimentando (delibera di Giunta delibera n. 1409/2025 del 13 novembre) una via che, attraverso il contemperamento delle varie interpretazioni, cerca di salvare dalla demolizione e dalla confisca – in cui potrebbero sfociare le indagini penali - le case già costruite assieme ai cantieri sequestrati, riconoscendone la legittimità sostanziale (nessuno del resto ha mai contestato che quanto costruito sia qualcosa di più o di diverso da quanto ammesso, solo le procedure sarebbero sbagliate) e chiedendo di integrare quanto pagato sul presupposto che gli interventi sotto indagine fossero di ristrutturazione e non soggetti a piano attuativo. Servirebbe però una legge urgente che metta a sistema questo sforzo il cui successo, merita essere sottolineato, resta legato alla speranza che poi il giudice sia clemente nell’applicare le misure più drastiche previste dal Codice penale.

Occorre fare presto e bene

La necessità di una riforma è diffusa e diverse sono le proposte pendenti in Parlamento. Si va dall’ennesima versione del disegno di legge sulla rigenerazione urbana orma in discussione da anni, alla proposta di legge delega per la riforma dell’edilizia e della pianificazione urbana, al disegno di legge per riscrivere il testo unico dell’edilizia, per concludere con gli emendamenti in finanziaria per un nuovo condono edilizio o per la riapertura di quelli del 1985, 1994, 2003.

Sembra quindi che manchi la consapevolezza sia dell’urgenza, sia della necessità di una visione organica della materia. Se da un lato, infatti, il meccanismo della delega comporta necessariamente tempi lunghi (la bozza del disegno di legge per il testo unico delle costruzioni assegna al Governo 12 mesi per approvare la nuova disciplina), dall’altro la decisione di trattare separatamente rigenerazione, urbanistica, edilizia e di riaccendere la logica del condono alimentano la preoccupazione che la soluzione del problema sia ancora lontana. Nel frattempo, la magistratura deve sopperire, ma i risultati – come detto – non sono entusiasmanti.

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*Guido Alberto Inzaghi – managing partner di SI – Studio Inzaghi e Presidente del Tavolo Urbanistica di Confindustria Assoimmobiliare

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