Lavoro

Vaccino anti-Covid per chimici e fisici, per la Consulta obbligo non irragionevole

Per la Corte costituzionale, sentenza n. 185 di oggi, la scelta del legislatore di procedere, durante la pandemia da covid 19, per macro “categorie professionali” si spiega con l’esigenza di trovare un criterio certo, univoco e rapido

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di Francesco Machina Grifeo

Benché non fosse l’unica strada perseguibile, la scelta legislativa, adoperata in fase emergenziale, di imporre l’obbligo della vaccinazione anti-covid, a pena della sospensione, per “categorie professionali” individuata per legge (come le professioni sanitarie) non è irragionevole, garantendo celerità e certezza nella individuazione dei soggetti chiave per il contrasto alla pandemia e permettendo “una tempestiva e uniforme attuazione dell’obbligo vaccinale”. Lo scrive la Corte costituzionale, sentenza n. 185 depositata oggi, con cui ha giudicato infondata (e per altri versi inammissibile) il ricorso di un chimico, direttore di un laboratorio di analisi anti-inquinamento, che lamentava l’estensione dell’obbligo anche alla sua categoria solo nominalmente (e per legge) rientrante tra le professioni sanitarie.

Per la Consulta dunque sono non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Genova (in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost) dell’art. 4 del Dl n. 44 del 2021 (come convertito e come sostituito) «nella parte in cui impone l’obbligo vaccinale – pena la sospensione dall’albo – indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie diversi dagli operatori sanitari, ed in particolare agli iscritti nell’albo dei Chimici e dei Fisici, o comunque lo impone senza alcuna verifica rispetto alle concrete tipologie di svolgimento della professione».

Il giudice rimettente, precisa la Consulta, non mette in discussione la sicurezza dei vaccini anti COVID-19 né la loro efficacia e utilità, censura piuttosto la irragionevolezza della scelta di imporre la vaccinazione indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie senza alcuna considerazione dell’attività lavorativa in concreto svolta.

Per la Corte costituzionale “la soluzione” del quesito deve “necessariamente muovere dalla considerazione della peculiarità delle condizioni epidemiologiche” esistenti al momento, e dall’“imprevedibilità del decorso della pandemia”. Oltre a una campagna generale di vaccinazione, il legislatore dunque ha scelto di procedere con l’obbligo per categorie predeterminate, individuate progressivamente.

La prima è stata quella degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario (art. 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43); a cui poi ha affiancato un “criterio integrativo” legato non alla natura dell’attività professionale, ma al luogo di svolgimento dell’attività lavorativa. La scelta di procedere per “categorie legislativamente predeterminate”, prosegue la decisione, non può ritenersi irragionevole, costituendo “una delle possibili modalità di contemperamento tra la dimensione individuale e quella collettiva del diritto alla salute”.

Una scelta, prosegue la Corte, che “non risulta ovviamente l’unica possibile” ma non può essere qualificata irragionevole essendo mossa “dall’esigenza di garantire linearità e automaticità all’individuazione dei destinatari, così da consentire un’agevole e rapida attuazione dell’obbligo e da prevenire il sorgere di dubbi e contrasti in sede applicativa”.

Qualsiasi sistema improntatoall’identificazione di carattere individuale, “avrebbe infatti comportato un aggravio – che il legislatore ha reputato insostenibile in termini di tempi, costi e utilizzo di personale altrimenti impiegabile su fronti più urgenti – nella fase dell’individuazione in concreto dei destinatari dell’obbligo”.

Né è sproporzionata, considerata “la natura transitoria dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, correlata alla sua rigorosa modulazione in stretta connessione con l’andamento della situazione pandemica in corso” (sentenza n. 15 del 2023).

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