Vaccino anti-HPV, sì all’indennizzo anche se è solo “raccomandato”
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 181 di oggi, inserisce anche i danni da vaccino contro il papilloma virus tra quelli da indennizzare in quanto il siero è raccomandato dall’autorità sanitaria
La mancata previsione del diritto all’indennizzo per chi ha subito danni permanenti dopo essersi sottoposto alla vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, anti-papillomavirus (anti-HPV) viola gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 181 depositata oggi, decidendo sulla questione sollevata dalla Corte di appello di Roma.
La decisione si innesta in un filone ormai ampiamente collaudato che riconosce il diritto all’indennizzo anche per le vaccinazioni non obbligatorie ma che le autorità pubbliche sanitarie raccomandano a difesa della salute collettiva. È stato così per le vaccinazioni: anti-epatite A (sentenza n. 118 del 2020); antinfluenzale (n. 268 del 2017); anti-morbillo, parotite e rosolia (n. 107 del 2012); anti-epatite B (n. 423 del 2000) e, infine, per la vaccinazione antipoliomielitica (n. 27 del 1998). Molte delle quali nel 2017 sono poi divenute obbligatorie e gratuite per i minori di età da zero a sedici anni. Non può infine essere tralasciata la legge 25/2022 che ha disposto la tutela indennitaria in caso di danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti alla vaccinazione “meramente raccomandata” anti SARS-CoV-2.
Nel caso specifico, una giovane donna aveva proposto appello contro la sentenza del Tribunale di Tivoli con cui era stata respinta la domanda, presentata dai genitori quando lei era ancora minorenne, vòlta a ottenere l’indennizzo previsto dall’articolo 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 e l’assegno una tantum di cui all’articolo 3, comma 1, (recte: articolo 2, comma 2). Secondo la ricorrente la vaccinazione effettuata era stata raccomandata dalle autorità competenti ed era stato accertato il nesso di causalità tra lo sviluppo della patologia permanente e la somministrazione della terza dose di vaccino anti-HPV.
Affinché, spiega la Corte, si instauri una corrispondenza fra il comportamento individuale e l’obiettivo della tutela della salute collettiva è necessario e sufficiente, da un lato, che l’autorità pubblica promuova campagne di informazione e di sollecitazione dirette a raccomandare la somministrazione del vaccino non solo a tutela della salute individuale, ma con la precipua funzione di assicurare la più ampia immunizzazione possibile a difesa della salute collettiva e, da un altro lato, che la condotta del singolo si attenga alla profilassi suggerita dall’autorità pubblica nell’interesse generale.
Tramite la campagna vaccinale l’autorità pubblica fa appello alla autodeterminazione dei singoli, ingenerando «negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie» (sentenza n. 118 del 2020). Di conseguenza, in ambito medico, raccomandare e prescrivere finiscono per essere percepite quali azioni «“egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo”, cioè la tutela della salute (anche) collettiva».
Così tornando al caso specifico, nel periodo in cui la ricorrente si era sottoposta alla somministrazione del vaccino anti-HPV, nella Regione Lazio, e - più in generale - nel territorio nazionale, era in atto una estesa campagna vaccinale, a seguito del rischio evidenziato “di un’ampia diffusione del virus HPV, trasmissibile per via sessuale e coinvolto nell’eziologia sia di lesioni genitali (femminili e maschili), sia di talune forme di carcinoma (in particolare, alla cervice uterina)”. L’obiettivo previsto dall’intesa Stato Regioni era il raggiungimento, nel termine di cinque anni, di una copertura vaccinale pari al 95 per cento della popolazione target. Nel 2017 poi con Dpcm il vaccino anti-HPV è entrato anche fra i livelli essenziali di assistenza.
Ricorre dunque il presupposto della prolungata e diffusa campagna di informazione e di raccomandazione da parte delle autorità sanitarie pubbliche. Di conseguenza, l’articolo 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nel non prevedere il diritto all’indennizzo per il vaccino anti-HPV, lede l’articolo 2 Cost., poiché vìola il principio di solidarietà. Ma anche l’articolo 3 Cost., in quanto irragionevolmente pregiudica chi spontaneamente si attiene alla condotta richiesta dagli organi preposti alla difesa del diritto alla salute della collettività. Infine, contravviene all’articolo 32 Cost., poiché priva di ogni tutela il diritto alla salute di chi si è sottoposto al vaccino (anche) nell’interesse della collettività.
Per tutte queste ragioni l’articolo 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 è costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede il diritto a un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, a favore di chiunque abbia riportato lesioni o infermità, da cui sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione contro il contagio da papillomavirus umano (HPV).
La decorrenza dei termini per le memorie integrative nel nuovo rito civile ordinario ex art. 171 bis c.p.c.
di Silvia Morandi e Filippo Perelli*