Civile

Vendita sfumata a causa del terzo, il valore futuro dell'immobile non frena il risarcimento

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di Andrea Alberto Moramarco

Se il contratto di compravendita di un immobile non viene concluso a causa del fatto illecito di un terzo, il promittente venditore non può non essere risarcito per via del «possibile incremento futuro del valore dell’immobile». La stima del danno, infatti, deve essere compiuta al momento della liquidazione e non con riferimento a momenti futuri. Inoltre, la circostanza che il danno possa ridursi in epoca successiva e portare a una riduzione del risarcimento deve essere «tempestivamente eccepita, validamente dimostrata, ed attingere almeno la soglia della ragionevole probabilità». Ad affermarlo è la Cassazione nella ordinanza n. 26042/2020 dettando le condizioni grazie alle quali è possibile tenere conto degli incrementi futuri dell’immobile.

Il caso

La vicenda riguarda una società proprietaria di un lotto di terreni, acquistati per 650 mila euro, su cui Equitalia aveva iscritto ipoteca a garanzia di contributi finanziari non pagati, per un debito residuo di 191 mila euro. La società aveva poi trovato un acquirente disposto a pagare la somma di 850 mila euro per acquisire i terreni e così provvide ad estinguere il proprio debito nei confronti dell’erario, chiedendo ad Equitalia la cancellazione dell’ipoteca. Tuttavia, alla data fissata per la stipula del contratto definitivo Equitalia non aveva ancora provveduto a cancellare l’ipoteca, facendo così sfumare l’affare.

Di qui il ricorso della società contro Equitalia per ottenere il guadagno di 200 mila euro che ci sarebbe stato se la vendita si fosse concretizzata. Il Tribunale accoglieva la domanda, mentre i giudici di appello la rigettavano, sulla base della insussistenza della prova del danno e sulla base dell’assunto secondo il quale «la mancata vendita di un immobile non comporta di per sé un pregiudizio, se si tiene conto delle notorie plusvalenze immobiliari nel tempo».

La decisione

La Cassazione, interpellata sulla vicenda, rigetta ugualmente la domanda risarcitoria ma corregge il tiro per quanto riguarda l’aspetto relativo agli incrementi futuri dell’immobile non venduto. Ad integrazione della motivazione della sentenza di merito, i giudici di legittimità si soffermano sugli effetti del fattore “tempo” sulle operazioni di accertamento e liquidazione del danno, fattore che incide tanto sul “contenuto” del danno, quanto sulla “misura” del risarcimento. Più in particolare, sostiene la Suprema corte, può accadere che al momento della liquidazione sia ragionevole prevedere che la misura del pregiudizio sofferto dal danneggiato possa accrescere o diminuire, a condizione che l’incremento o il decremento siano «ragionevolmente prevedibili, e non mere ipotesi o congetture»; che l’aumento successivo alla liquidazione sia circostanza «allegata e provata dal danneggiato»; che, al contrario, la riduzione del danno sia circostanza «allegata e provata dal responsabile». Tali regole non sono state seguite dai giudici di merito, i quali si sono limitati semplicemente ad escludere il risarcimento per via del solo futuro incremento del valore del bene.

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