Professione e Mercato

Viola il decoro l'avvocato che offre prestazioni legali "gratis"

Il CNF ricorda che all'avvocato è vietato adoperare forme di pubblicità che fanno leva su prestazioni professionali a prezzi troppo bassi o addirittura gratuite

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di Marina Crisafi


Avvocati attenzione: farsi pubblicità reclamizzando l'offerta di prestazioni a prezzi "troppo bassi" o addirittura "gratuite" è una violazione del decoro e della dignità della professione forense. Lo ricorda il CNF con la recente sentenza n. 75/2021.

La vicenda
- Nel caso di specie, un anonimo segnalava al Consiglio dell'ordine di Padova l'esistenza di un sito internet in cui un'avvocatessa reclamizzava la propria attività ed evidenziava prezzi bassi, precisi e chiari, primi appuntamenti gratuiti nonché l'applicazione di tariffe basse e riscossione degli onorari a definizione delle pratiche.
Il COA locale trasmetteva la notizia di illecito al Consiglio Distrettuale di Disciplina del Veneto, dando comunicazione, a norma di legge, alla professionista.
Il CDD, tuttavia, disponeva l'archiviazione della notizia di illecito ritenendo che non fosse possibile risalire alle generalità dell'esponente e che la pubblicità apparsa sul sito non fosse ingannevole, né i compensi pubblicizzati irrisori.
Il Consiglio dell'ordine, però, non è d'accordo e adisce il CNF chiedendo la restituzione degli atti al CDD del Veneto per la formulazione del capo d'incolpazione.
Per il COA infatti è irrilevante l'anonimato dell'esposto e la condotta dell'avvocatessa integra la violazione dei doveri deontologici regolatori della pubblicità degli avvocati ai sensi dell'art. 10 L. 247/2012 nonché dell'art. 35 Codice Deontologico Forense, specificando come nel caso di specie sarebbe stato rilevante: l'aver pubblicizzato attività professionale a prezzi inferiori rispetto ai c.d. minimi tariffari; l'aver utilizzato terminologia idonea a indurre nel cliente la convinzione di poter ottenere prestazioni di favore, gratis o a prezzo agevolato; l'aver effettuato pubblicità comparativa.

La decisione - Il CNF concorda con il Consiglio dell'ordine sia sull'irrilevanza dell'anonimato dell'esposto sia sulla violazione deontologica.
Quanto all''anonimato, infatti, "il potere-dovere di procedere disciplinarmente – rammenta il CNF - non è condizionato dalla tipologia della fonte della notizia dell'illecito disciplinare rilevante, che può essere costituita anche dalla denuncia di persona non direttamente coinvolta nella situazione nel cui ambito l'illecito è stato posto in essere o addirittura rimasta sostanzialmente anonima".
Soltanto laddove l'anonimato renda di fatto impossibile ottenere chiarimenti sull'esposto, né sia possibile l'approfondimento istruttorio d'ufficio, "è legittima l'archiviazione del procedimento stesso in base al principio di presunzione di non colpevolezza" prosegue il CNF specificando come nella specie tali condizioni non sussistono atteso che la segnalazione riguarda circostanze di fatto (servizi pubblicizzati su un sito internet) riscontrabili indipendentemente dalla fonte della notizia di illecito.

Quanto alla violazione deontologica, per il CNF il Consiglio di disciplina non ha ben valutato la condotta dell'avvocatessa alla luce degli insegnamenti della giurisprudenza domestica e di legittimità in materia di informazione sull'attività professionale di cui agli artt. 17 e 35 C.D.F.
Difatti, è stato più volte specificato come questa debba "essere rispettosa della dignità e del decoro professionale e quindi di tipo semplicemente conoscitivo con conseguente divieto di adoperare forme di pubblicità professionale comparativa ed autocelebrativa e di offrire prestazioni professionali a compensi infimi o a forfait" (cfr., tra le altre, CNF sentt. nn. 23/2019; 243/2017).
Inoltre, il CNF ha affermato in più di un'occasione "che vìola le prescrizioni normative quella pubblicità aventi modalità attrattive della clientela operate con mezzi suggestivi ed incompatibili con la dignità e con il decoro della professione, quale ad esempio l'uso del termine ‘gratuito'" (cfr. CNF, sent. n. 118/2015).
Da qui, la decisione di accogliere il ricorso e rimettere gli atti del Consiglio Distrettuale di Disciplina del Veneto per la prosecuzione del procedimento disciplinare.

La massima del CNF - Nella sentenza il Cnf esprime la seguente massima: "La pubblicità mediante la quale il professionista con il fine di condizionare la scelta dei potenziali clienti, e senza adeguati requisiti informativi, offra prestazioni professionali, viola le prescrizioni normative, nel momento in cui il messaggio è redatto con modalità attrattive della clientela operate con mezzi suggestivi ed incompatibili con la dignità e con il decoro, quale l'uso del termine gratuito".

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