Penale

Violare il tempo doccia in carcere giustifica l'esclusione dalle attività comuni

La sanzione disciplinare è legittima se la condotta è connotata dalla spavalderia di affermarsi leader della comunità carceraria

di Paola Rossi

Il detenuto, che si trattiene sotto la doccia 25 minuti - più di un quarto d'ora, oltre i dieci minuti previsti dall'organizzazione carceraria - e ignora apertamente i richiami dell'agente di custodia, può ben essere sanzionato disciplinarmente con dieci giorni di sospensione dalle attività comuni che si svolgono all'interno del carcere. E a maggior ragione se il mancato rispetto degli ordini e il tempo di attesa imposto agli altri detenuti mira ad affermare la propria posizione di leader nel luogo di detenzione.

In via di principio, la legittimità della sanzione discende non solo dal rispetto di tutte le regole procedurali del giudizio disciplinare, ma anche e soprattutto da un compiuto e adeguato raffronto tra natura/gravità della contestazione e comportamento/condizioni del detenuto. Esame demandato o al direttore o al consiglio di disciplina. La sanzione è poi reclamabile fino in Cassazione.

A fronte di un giudizio congruo e rispettoso delle garanzie difensive non è reclamabile la sanzione disciplinare solo perché fondata su rilievi diversi e non direttamente connessi tra loro. Infatti, come dice la sentenza n. 22381/2021 della Cassazione penale, non costituisce vizio di legittimità per intima incoerenza dei presupposti il fatto che - nel caso concreto - la contestazione fosse stata mossa sia per l'atteggiamento spavaldo mirato ad affermare una propria leadership all'interno della comunità carceraria sia per lo spreco di acqua. Due rilievi che - come afferma la Cassazione - non si escludono tra loro per incoerenza. Nessuna illegittimità quindi per la decisione disciplinare che ha contemporaneamente stigmatizzato la mancanza di rispetto proditoriamente agita contro chi condivide la medesima condizione di reclusione e il comportamento socialmente riprovevole di aver sprecato un bene comune, l'acqua.

In concreto il ricorso voleva far rilevare l'incongruenza dei due rilievi disciplinari per affermare l'incompletezza della contestazione più grave: quella di aver voluto dimostrare apertamente all'interno del carcere il proprio ruolo di leader che non si piega alle regole penitenziarie. Con la conseguente induzione di un senso di timore e di rispetto "mafioso" negli altri carcerati e l'affermazione di una posizione personale di supremazia anche in rapporto all'istituzione penitenziaria. Ciò può ben avverarsi attraverso l'esibizione di un'esplicita mancanza di rispetto verso l'agente con atteggiamenti direttamente percepiti dai detenuti. L'accaduto vedeva gli altri detenuti, in attesa del proprio turno per farsi la doccia, assistere al menefreghismo del ricorrente a fronte dei richiami dell'agente di custodia iniziati dopo il superamento di 5 minuti dei dieci concessi per tale momento di igiene personale.

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