Civile

Violazione del diritto all'immagine per le riprese senza consenso

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di Andrea Alberto Moramarco

Integra una violazione del diritto di immagine la messa in onda di una deposizione testimoniale di un processo penale in difetto dell'espresso consenso da parte del soggetto ripreso. In tal caso sussistono gli estremi per il risarcimento del danno non patrimoniale. Questo è quanto si desume dalla sentenza della Corte d'appello di Campobasso n. 84/2019.

Il caso - Protagonista della vicenda è un uomo chiamato a testimoniare in un processo penale svoltosi dinanzi alla Corte d'assise in relazione ad un caso di plurimo omicidio, assurto agli onori della cronaca nazionale sino al punto da meritare l'attenzione del programma "Un giorno in pretura". Nonostante l'uomo avesse espressamente negato il consenso a voler essere ripreso, la sua deposizione testimoniale andava in onda, seppur «per pochi secondi mentre rendeva dichiarazioni del tutto "neutre" e non individuato mediante nome e cognome, ma quale "presidente dell'associazione provinciale"» cui faceva parte uno degli imputati. In seguito, il teste citava in giudizio la Rai chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla non autorizzata diffusione. Il Tribunale riconosceva sussistente soltanto il danno morale, in quanto la diffusione delle immagini aveva provocato nell'uomo, molto noto a livello locale, «emozioni negative di notevole gravità» e una «reazione ansioso-depressiva cronica», quantificandolo in 50 mila euro.

La decisione - In appello i giudici riducono l'entità del risarcimento a 25 mila euro e confermano nel resto la valutazione già effettuata dal Tribunale. Ebbene, secondo la Corte d'appello l'aver trasmesso le immagini del teste «nonostante il suo espresso dissenso ha comportato la violazione del suo diritto all'immagine, il quale rientra fra i diritti della personalità che integrano prerogative inviolabili della persona, la cui violazione attribuisce al titolare il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali». Ricollegando le norme che disciplinano le riprese audiovisive dei dibattimenti (articolo 147 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale) a quelle che tutelano l'immagine e il diritto d'autore (articolo 10 codice civile e 96 e 97 legge n. 633/1941), nonché a quelle che proteggono i dati personali (articoli 137 e 139 Dlgs 196/2003) il Collegio ritiene che nella fattispecie si sia configurata una violazione del diritto alla riservatezza, anche in virtù della protezione dei diritti inviolabili della persona, ex articolo 2 della Costituzione e 2059 del codice civile.
In altri termini, spiegano i giudici, il diritto correlato alla propria immagine si concreta «nella facoltà di apparire se e quando si voglia» e costituisce una «manifestazione della libertà individuale, che si traduce nella possibilità di mostrarsi agli altri solo quando si abbia interesse a farlo o non si abbia interesse a non farlo, ed è tutelato dalla legge anche nel caso in cui la riproduzione o la diffusione non arrechino pregiudizio all'onore o alla reputazione dell'interessato». In sostanza, chiosa la Corte, in presenza dell'espresso diniego alla videoregistrazione e alla diffusione delle immagini, la Rai non avrebbe dovuto trasmettere in televisione la deposizione testimoniale.

Corte d'appello di Campobasso - Sezione civile - Sentenza 21 febbraio 2019 n. 84

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