Penale

Violazione dell'obbligo di assistenza anche per il figlio maggiorenne inabile al lavoro

Per la Cassazione (n. 33662/20) il reato scatta anche dopo i 18 anni se la prole non è in grado di mantenersi

di Francesco Machina Grifeo

Non versare l'assegno per il mantenimento dei figli costituisce reato unicamente fino al raggiungimento della loro maggiore età. Superati i 18 anni l'obbligo rimane assistito dalla norma penale soltanto nel caso di inabilità al lavoro della prole. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 33662 depositata oggi, giudicando il caso di un padre che si è trovato in ambedue le situazioni.

La VI Sezione penale ha così, per un verso, confermato la decisione della Corte di appello con riguardo all'assenza di reato nei confronti della prima figlia per il periodo successivo al 2012, anno di conseguimento della maggiore età (dichiarando peraltro prescritto il reato per gli anni precedenti); per l'altro, invece ha dichiarato sussistente l'obbligo di assistenza nei confronti della secondogenita anche dopo il 2016, quando aveva compiuto 18 anni, a causa della grave patologia da cui era affetta.

Con riguardo all'inadempienza dell'obbligo di assistenza morale e materiale, spiega infatti la Suprema corte, occorre distinguere la posizione dell'imputato nei confronti delle due figlie. In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, sia l'obbligo morale sanzionato dall'art. 570, comma 1, cod. pen. che quello economico, sanzionato dal comma 2, presuppongono la minore età del figlio (non inabile al lavoro) e vengono meno con l'acquisizione della capacità di agire da parte del minore conseguente al raggiungimento della maggiore età. Quando il figlio dunque raggiunge la maggiore età, "non di improcedibilità dell'azione deve parlarsi, ma di insussistenza del reato".
Con riguardo alla seconda figlia invece è stato accertato che ella non è abile al lavoro, condizione alternativa a quella della minore età, secondo il disposto dell'art. 570 comma 2, cod. pen.

La giovane infatti è, fin dalla nascita, portatrice di una patologia che "ne ha limitato gravemente lo sviluppo psichico, tanto da renderla bisognosa di cure, ricoveri e assistenza continua", come emerso del resto anche da diversi passaggi delle difesa. "È dunque evidente – prosegue la decisione - che il compimento della maggiore età non segna alcun discrimine e la condotta deve quindi considerarsi permanente a partire dal luglio 2008". Mentre, conclude la Corte, la procedibilità d'ufficio (co. 2 n. 2 dell'art. 570) rende ininfluente la intervenuta remissione di querela ad opera della madre.

Con riguardo infine alla mancanza di risorse economiche addotta dal ricorrente, la Corte ricorda che "l'incapacità economica, intesa come impossibilità dell'obbligato di fare fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570 cod. pen., deve essere 'assoluta', nel senso di estendersi a tutto il periodo dell'inadempimento e deve altresì concretizzarsi in una persistente, oggettiva ed incolpevole situazione di indisponibilità di introiti ed essere documentata con rigore da chi la prospetta in termini di forza maggiore, o, comunque essere oggetto di una precisa e circostanziata allegazione". "Un rigore – conclude - non ravvisabile in concreto".

Sentenza da annullare senza rinvio dunque rispetto alla primogenita, e responsabilità penale accertata per la secondogenita con rideterminazione della pena in Appello.

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