Voto di scambio: dal 20 marzo esclusi i benefici e le misure alternative
La legge 23 febbraio 2015 n. 19, anticipa, con la sua rubrica, il contenuto dei due articoli che la compongono, volto ad attrarre il reato di scambio elettorale politico-mafioso nell'ambito di quel sistema “a doppio binario” che costituisce ormai un consolidato punto fermo del nostro ordinamento penale. Il criterio-guida di tale peculiare assetto implica che gli imputati e i condannati per i delitti di particolare gravità e allarme sociale elencati nell'articolo 4-bis della legge 354/1975 (cosiddetto ordinamento penitenziario) siano trattati, sotto il profilo processuale e penitenziario, secondo regole differenziate e più severe di quelle vigenti per la generalità dei soggetti che si trovano in analoga posizione giuridica in relazione a procedimenti per reati comuni.
Il voto di scambio politico-mafioso entra nel “doppio binario” - Precisamente, l'articolo 1 della legge 19/2015 operando sul versante dell'esecuzione penale, estende ai condannati per il delitto previsto dall'articolo 416-ter , del Cp, le preclusioni all'accesso ai cosiddetti benefici penitenziari attualmente vigenti, ai sensi dell'articolo 4-bis, comma 1, della legge 354/1975, nei confronti dei condannati per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso (articolo 416-bis, del Cp). Anche in caso di condanna relativa allo scambio elettorale politico-mafioso, pertanto, la evocata disposizione di matrice penitenziaria, nella versione in vigore dal 20 marzo corrente, vieterà - salva l'ipotesi di collaborazione con la giustizia di cui all'articolo 58-ter della medesima legge - l'ammissione al lavoro all'esterno, ai permessi premio e alle misure alternative alla detenzione (affidamento in prova, detenzione domiciliare e semilibertà), in analogia a quanto attualmente è stabilito per quanti siano stati condannati per uno dei delitti della cosiddetta prima fascia dell'articolo 4-bis, comma 1, dell'Op. Quest'ultima disposizione comprende un catalogo di reati continuamente implementato dal legislatore: si tratta dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; delitto di cui all'articolo 416-bis, del Cp; delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste; delitti di cui agli articoli 600 (riduzione in schiavitù), 600-bis, comma 1 (prostituzione minorile), 600-ter, commi 1 e 2 (pornografia minorile e commercio del relativo materiale), 601 (tratta di persone), 602 (commercio di schiavi), 609-octies (violenza sessuale di gruppo) e 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione), del Cp, nonché alcune fattispecie sanzionate da leggi speciali: art. 291-quater del Dpr 43/1973 (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri) e articolo 74 del Dpr 309/1990 (associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti).
L'articolo 2 della legge in esame interviene, invece, in materia processuale, integrando il comma 3-bis dell'articolo 51 del Cpp, al fine di riservare le funzioni di pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado per il reato di associazione per delinquere al fine di commettere il reato di cui all'articolo 416-ter, del Cp, ai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. Ai sensi dell'articolo 102, del Dlgs 159/2011 (cosiddetto codice antimafia), le dette funzioni requirenti, in base a criteri di specializzazione, sono infatti svolte, per i reati associativi anche di matrice mafiosa tassativamente indicati nell'elenco dell'articolo 51 comma 3-bis, del Cpp, dalla direzione distrettuale antimafia che si avvale, sul piano investigativo, della direzione investigativa antimafia.
I dubbi sull'applicabilità alle condanne irrevocabili alla data della legge 19/2015 - La legge 19/2015 non ha dettato disposizioni transitorie relative alla situazione dei soggetti già condannati per il reato di cui all'articolo 416-ter, del Cp, alla data di entrata in vigore delle nuove più severe disposizioni, lasciando quindi all'interprete il compito di stabilire la disciplina applicabile nel caso concreto. La questione è delicata, dal momento che possono ipotizzarsi soluzioni del tutto opposte. Una prima prospettiva ermeneutica muove dalla premessa sistematica che le norme relative all'esecuzione penitenziaria avrebbero natura “processuale” e non “sostanziale”, e dunque non si applicherebbe il principio dell'irretroattività della norma penale più sfavorevole stabilito dagli articoli 2 del Cp, e 25, secondo comma, della Costituzione, essendo la successione di norme “processuali” soggetta al principio di cui all'articolo 11, comma 2, delle disposizioni di attuazione del Cc (tempus regit actum). Con riferimento alla posizione dei soggetti condannati ai sensi dell'articolo 416-ter, del Cp, per i quali non si è ancora avuta una decisione del giudice di sorveglianza in relazione all'istanza di benefici penitenziari formulata antecedentemente all'entrata in vigore della legge 19/2015, si dovrebbe, pertanto, applicare la preclusione concernente i condannati per reati di cui all'articolo 4-bis , comma 1, del Op, introdotta dall'articolo 1 della legge in analisi, trattandosi quest'ultima, appunto, della “legge vigente” al momento della decisione sulla domanda formulata dall'interessato. Tale approdo è coerente con la consolidata - e apparentemente inscalfibile - giurisprudenza di legittimità, che assegna alle norme di matrice penitenziaria natura “processuale”, non riguardando, queste ultime, l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa (ex plurimis, con riferimento alla disciplina introdotta dall'articolo 4-bis, della legge 354/1975, Cassazione sezioni Unite, sentenza 4561/2006; Cassazione sezione I, 5 febbraio 2013 n. 11580, Ced), del che dovrebbe, pertanto, trovare applicazione la nuova disciplina anche se più restrittiva, in tutti i casi di rapporti esecutivi non ancora esauriti (sezioni Unite, 30 maggio 2006 n. 2321, Aloi, Ced).
Occorre, tuttavia, considerare che, nel caso disciplinato dalla legge 19/2015, la disposizione di legge sopravvenuta ha escluso dalla più favorevole disciplina di accesso ai benefici penitenziari una determinata categoria di condannati includendovi coloro che avevano già maturato, secondo il previgente quadro normativo, le condizioni per godere dei benefici stessi. In occasione di precedenti analoghe modifiche legislative di segno restrittivo e ablativo delle aspettative dei soggetti detenuti, la giurisprudenza costituzionale ha stigmatizzato l'esclusione dei condannati per i particolari delitti elencati dall'articolo 4-bis, dell'Op, dai benefici penitenziari, laddove essa rappresenti, a fronte del percorso rieducativo già realizzato dal condannato, «una brusca interruzione, senza che a essa abbia in alcun modo corrisposto un comportamento colpevole del condannato» (Corte costituzionale, sentenza n. 445 del 1997). Tale irragionevole compromissione, infatti porrebbe nel nulla - secondo il Giudice costituzionale - l'eventuale sforzo di rieducazione già realizzato dai condannati, ostacolando il raggiungimento della finalità rieducativa della pena prescritta dalla Costituzione (Corte costituzione, sentenza n. 137 del 1999), così che «l'opzione repressiva finisce per relegare nell'ombra il profilo rieducativo (...) al di fuori di qualsiasi concreta ponderazione dei valori coinvolti» (Corte costituzionale, sentenza n. 257 del 2006). Nelle medesime circostanze sopra ricordate, la Corte costituzionale ha - per converso - espressamente riconosciuto il principio della irretroattività di disposizioni “peggiorative” che introducano più stretti vincoli o più severe condizioni all'accesso ai benefici penitenziari. Si è, in altri termini, affermata la decisiva prevalenza del principio del divieto di regressione trattamentale in assenza di comportamenti colpevoli del condannato (Corte costituzionale, sentenze n. 445 del 1997 e n. 137 del 1999 e da ultimo sentenza n. 257 del 2006 e n. 79 del 2007). Si tratta di un principio-cardine fondamentale nella interpretazione degli istituti di diritto penitenziario, e la giurisprudenza ne ha fatto largo impiego, così che può dirsi ius receptum l'assunto per cui le modifiche legislative peggiorative, ove incidano su benefici penitenziari fondati sulla “meritevolezza” del condannato, non possono trovare applicazione nei confronti di coloro che, prima dell'entrata in vigore della disciplina più restrittiva, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti (Cassazione sezione I, 21 gennaio 2010 n. 8092, Vizzini, Ced).
Tale asserto, ormai entrato a far parte del “diritto vivente”, importa che anche le nuove disposizioni restrittive contenute nell'articolo 1 della legge 19/2015 dovranno conformarsi alla regola del divieto della vanificazione ex post, per effetto di una mera successione delle leggi nel tempo, degli sforzi compiuti dal singolo condannato per conseguire il fine costituzionalmente sancito della propria rieducazione. La detta importante eccezione al sistema del “doppio binario”, se per un verso può consentire il superamento delle preclusioni legali che ne contraddistinguono l'assetto; per l'altro deve formare oggetto di accertamento mediante un rigoroso vaglio del giudice di sorveglianza, attraverso un approfondito esame del caso concreto. In questa prospettiva, sull'interessato grava un onere di allegazione e di documentazione delle circostanze oggettive che possono provare il fondamento giuridico-fattuale della legittima aspettativa maturata in relazione al quadro giuridico-normativo preesistente alla introduzione delle preclusioni ostative dell'accesso ai benefici, oltre a ogni altro elemento utile alla ricostruzione del percorso rieducativo già intrapreso.
In dubbio la concedibilità della liberazione anticipata speciale - L'inclusione della nuova fattispecie di reato nel “catalogo” di cui all'articolo 4-bis, dell'Op, è destinata a incidere anche sulla possibilità, per i condannati in forza dell'articolo 416-ter, del Cp, di fruire della liberazione anticipata speciale, atteso che, in sede di conversione del Dl 23 dicembre 2013 n. 146, è stata introdotta l'esclusione dal beneficio speciale di coloro che siano stati condannati per taluno dei delitti previsti dall'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975 n. 354 (articolo 4, del Dl 146/2013). Alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, il principio del divieto di regressione trattamentale incolpevole, nei termini delineati dalla elaborazione anche di matrice costituzionale sopra richiamata, non può trovare applicazione con riferimento all'istituto della liberazione anticipata speciale. Invero - secondo l'indirizzo espresso dalla Cassazione - la disciplina “speciale” si limita a estendere i vantaggi conseguenti a un beneficio penitenziario già previsto e applicabile senza distinzioni a tutti i condannati. Non ci si trova quindi - secondo la Cassazione - in presenza di una disposizione che vieta l'accesso al beneficio da parte del condannato, bensì di una norma che amplia gli effetti di favore, escludendo i condannati per talune tipologie di reati (Cassazione sezione I, 22 dicembre 2014 n. 53781, Ced). Sulla base del principio affermato dalla giurisprudenza di vertice, in altri termini, i condannati ai sensi dell'articolo 416-ter, del Cp, potranno d'ora in avanti fruire della liberazione anticipata soltanto nella misura ordinaria, pari a 45 giorni di riduzione della pena per ogni semestre di detenzione espiata, secondo la regola per cui tempus regit actum.
Lo scioglimento del cumulo per superare l'ostatività - È di tutta evidenza, alla luce dell'indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato, la cruciale rilevanza, ai fini dell'accesso ai benefici penitenziari nei casi in cui sia in esecuzione un cumulo di pene concorrenti, alcune delle quali riferibili a condanne per taluno dei reati di cui all'articolo 4-bis, dell'ordinamento penitenziario, della possibilità di procedere al cosiddetto scioglimento del cumulo, al fine di imputare la pena già espiata al reato ostativo e superare così il problema dell'ammissibilità della domanda (la questione si pone, naturalmente, tanto con riferimento a una misura alternativa, quanto relativamente alla liberazione anticipata speciale). La più recente giurisprudenza di legittimità pare progressivamente consolidarsi su una soluzione ermeneutica che coniughi la lettura testuale del dato normativo con una ricostruzione logico-sistematica della disciplina che sia conforme ai principi costantemente espressi dalla giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimità (Cassazione sezione I, 17 gennaio 2012 n. 5158, Marino, Ced), sulla base del richiamo all'arresto costituzionale che ha negato fondamento alla tesi secondo cui la disciplina contenuta nell'articolo 4-bis e successive modifiche, legge 354/1975, delinea uno status di detenuto pericoloso, precisando che la detta norma va interpretata - in conformità del principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione - nel senso che possono essere concesse misure alternative alla detenzione ai condannati per i reati gravi, indicati dalla giurisprudenza, quando essi abbiano scontato per intero la pena per i reati stessi e stiano espiando pene per reati meno gravi, non ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione (Corte costituzionale, sentenza 27 luglio 1994 n. 361).
Il canone ermeneutico desumibile dall'evocato pronunciamento costituzionale è, pertanto, la non conformità alla Costituzione di una diversa interpretazione che porti all'esclusione della concessione di misure alternative ai condannati per un reato grave, ostativo all'applicazione delle dette misure, anche quando essi, avendo espiato per intero la pena per il reato grave, stiano eseguendo la pena per reati meno gravi, non ostativi al predetto riconoscimento (Corte costituzionale, 361/1994). Alla soluzione favorevole alla “scissione del cumulo” deve essere data prevalenza - questa l'indicazione che emerge dal sopra richiamato insegnamento giurisprudenziale - tutte le volte in cui la detta operazione giuridica garantisca un risultato favorevole al reo, considerata la ratio di favore per quest'ultimo sottesa alla disciplina penale e penitenziaria. L'affermazione di tale principio rappresenta un fil rouge che lega l'elaborazione della giurisprudenza con riguardo a molteplici istituti della legislazione penale e dell'esecuzione penale: la si trova ribadita in tema di scioglimento del cumulo giuridico ai fini dell'individuazione del termine di prescrizione del reato (sezione Unite, n. 10928 del 10 ottobre 1981; sezioni Unite, n. 15 del 26 novembre 1997; sezioni Unite n. 18 del 16 novembre 1989), ovvero in materia di applicazione dell'indulto a reati uniti sotto il vincolo della continuazione con altri che non ne possano beneficiare (sezioni Unite, 24 gennaio 1996 n. 2780); di scissione del reato continuato ai fini dell'applicazione dell'amnistia e dell'indulto (Cassazione sezione I, 11 maggio 1998 n. 2624); di revoca dell'indulto condizionato in presenza dell'irrogazione di una pena unica in ordine a più delitti unificati dalla continuazione (Cassazione sezione I, 3 luglio 1998 n. 3986); di sostituzione delle pene detentive brevi, legge 24 novembre 1981, ex art. 53, u.c., in caso di reato continuato (Cassazione sezione III, 2 giugno 1999 n. 2070). Restano esclusi dalla possibilità di scioglimento del cumulo gli istituti del cosiddetto indultino di cui alla legge 207/2003 (Cassazione sezione I, 3 aprile 2007 n. 16740, Del Tiglio, Ced) e dell'esecuzione della pena presso il domicilio di cui alla legge 199/2010 (Cassazione sezione I, 13 gennaio 12 n. 25046, Zarra, Ced).
Alla luce delle coordinate giurisprudenziali sopra evocate sembra, in definitiva, preferibile ritenere sempre consentita la scissione del cumulo giuridico di pene, non soltanto perché tale soluzione interpretativa appare coerente con il principio generale del favor rei , sopra ricordato; ma anche in quanto più aderente alla prospettiva di ripudio del “tipo di autore” quale modello di riferimento per gli istituti penali, nonché per la accentuazione della personalità della responsabilità personale. L'accoglimento dell'opposta tesi della inscindibilità del cumulo, determinerebbe, peraltro, una non giustificabile disparità di trattamento tra condannati sulla base della pura casualità derivante dall'essere - tali soggetti - sottoposti a un rapporto esecutivo unico, conseguente al cumulo delle condanne; ovvero di distinte esecuzioni per pene originate da singole e distinte condanne non formalmente cumulate. Una conclusione del genere si porrebbe in evidente contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, eguaglianza (articolo 3, della Costituzione) e di quello inerente alla funzione risocializzante della pena (articolo 27, terzo comma, della Costituzione). Con riferimento alla analoga questione afferente la possibilità di sciogliere il cumulo giuridico in caso di reato continuato, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito il principio che l'istituto del concorso formale di reati o del reato continuato è funzionale allo scopo di mitigare l'asprezza del cumulo materiale delle pene, mediante la sua sostituzione con il più mite cumulo giuridico; e che, soprattutto dopo la novella del 1974, l'estensione dell'operatività del sistema del cumulo giuridico della pena previsto dall'articolo 81 cpv., del Cp, esprime il ripudio di ogni automatismo repressivo (tratto caratterizzante il cumulo materiale), e la coerente valorizzazione del carattere personale della responsabilità penale, cui corrisponde, in sede di giudizio, la doverosità della commisurazione della pena alla personalità del reo (sezioni Unite, 26 febbraio 1997 n. 1, Ced; sezioni Unite, 30 giugno 1999 n. 14, Ced). Pertanto - è questo l'indirizzo consolidato della Suprema Corte - il cumulo giuridico si scioglie e non opera il principio della fictio iuris unificante ogniqualvolta alla detta considerazione frazionata della pena consegua un risultato più favorevole al reo (sezioni Unite, 21 aprile 1995 n. 7930, Ced; Cassazione sezione II, 20 novembre 1998 n. 8599, Ced; Cassazione sezione II, 13 novembre 2000 n. 1477, Ced in materia di concessione della sospensione condizionale della pena; Cassazione sezione II, 20 novembre 1980 n. 11774, Ced in tema di perdono giudiziale. Tale indirizzo è stato confermato anche in successive pronunce (Cassazione sezione I,19 settembre 2012 n. 38462, Mele, Ced).
La Cassazione, con una coppia di sentenze “gemelle”, ha, infine, recentemente confermato la tesi della scindibilità del cumulo di pene (sia nell'ipotesi di cumulo materiale che nel caso di continuazione tra reati) anche con riferimento all'istituto della liberazione anticipata speciale (Cassazione sezione I, 22 dicembre 2014 n. 53781, Ciriello, Ced; Cassazione sezione I, 22 dicembre 2014 n. 53798, Moi, Ced).