Civile

Comunione de residuo, per il coniuge non imprenditore solo diritto di credito

Dopo il regime legale nessuna comunione sui beni dell’impresa individuale

di Angelo Busani

La comunione “de residuo” inerente ai beni dell’impresa individuale di uno dei coniugi significa che il coniuge non imprenditore ha un diritto di credito verso l’altro coniuge e non significa che sui beni dell’impresa si forma una comunione tra l’imprenditore e il coniuge non imprenditore.

Lo sanciscono le Sezioni unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 15889 depositata il 17 maggio scorso) chiamate a risolvere una questione “di massima di particolare importanza” che, dal 1975, data di emanazione della legge di riforma del diritto di famiglia, non ha mai trovato pace.

La “comunione de residuo” è la comunione che si forma tra i coniugi nel momento in cui cessa (ad esempio, per separazione personale, per morte, per adozione del regime di separazione dei beni) il regime di comunione legale.

Ideata per contemperare l’esigenza di parificare le sorti economiche dei coniugi con quella di concedere uno spazio di autonomia al coniuge lavoratore, concerne, in particolare i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente al matrimonio nella misura in cui sussistono nel momento in cui la comunione si scioglie (articolo 178, Codice civile).

Per questi beni e incrementi aziendali il problema interpretativo era: si forma una comunione tra i coniugi (con l’effetto che il coniuge non imprenditore ne diviene comproprietario) o quest’ultimo ha diritto a percepire una somma di valore pari al valore della quota di metà di detti beni o incrementi ?

Secondo le Sezioni Unite la soluzione del dilemma è quest'ultima. Le parole della legge vanno interpretate in modo che abbiano un senso e l’unico plausibile non è certo quello che una comunione di beni e incrementi si formi proprio quando il regime di comunione cessa (e non può sottacersi che nella maggior parte dei casi ciò accade in occasione di una crisi coniugale).

La conclusione è così principalmente argomentata: da un lato il coniuge non imprenditore non ha alcuna diminuzione poiché il valore che entra nel suo patrimonio è identico, sia che si tratti di un diritto di comproprietà di beni materiali, sia che si tratti di un credito. D’altro lato il coniuge imprenditore mantiene la sua autonomia e la sua attività di impresa non subisce ostacolo dal fatto che, improvvisamente, egli si trova a condividere la proprietà dei beni aziendali con un altro soggetto e quindi a dover condividere con questi le decisioni imprenditoriali.

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