Penale

Capo d’imputazione: dichiarata la nullità gli atti vanno restituiti al Pm

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di Giuseppe Amato

Quando la ritenga sussistente, il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità di cui all'articolo 429, comma 2 (o 552, comma 2), del Cpp, per genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, senza alcuna previa sollecitazione di precisazione rivolta al pubblico ministero. Lo ha detto la Cassazione con la sentenza n. 23832 dell’8 giugno scorso.

La motivazione della Cassazione - La Cassazione ha ritenuto che in senso contrario alla decisione assunta non potesse evocarsi la diversa disciplina applicabile nell'udienza preliminare, laddove, come precisato dalle sezioni Unite (sentenza 20 dicembre 2007, Battistella), si è invece affermato che il giudice, in quella sede, prima di disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell'imputazione, deve prima richiedergli di precisarla, potendo così procedere alla restituzione degli atti, senza che ciò realizzi una indebita regressione del procedimento, solo se il pubblico ministero, nonostante la sollecitazione, abbia omesso di integrare l'imputazione.

Ciò viene spiegato, in motivazione, con la diversità delle situazioni processuali: nella fase dell'udienza preliminare, infatti, l'indeterminatezza del fatto contestato può essere superata nella fluidità di un contraddittorio preparatorio gestito dal giudice, con la possibilità per l'imputato di richiedere fino alla discussione i riti alternativi; nel dibattimento, vi è la già avvenuta cristallizzata dell'imputazione che deve reggere l'urto del dibattimento ed è rispetto all'imputazione come contestata che operano rigidi oneri di attivazione tempestiva (presentazione della lista dei soggetti di cui si intende chiedere l'esame e specificazione dei temi di prova).

Una tale conclusione, ha ulteriormente osservato il giudice di legittimità, non è superabile neppure con la considerazione che anche nella fase dibattimentale sono possibili modifiche o integrazioni dell'imputazione (articoli 516-518 del Cpp), con restituzione in termini per l'esercizio di alcune facoltà, perché in queste ipotesi si tratta non di dare determinatezza a ciò che non l'aveva originariamente, bensì di situazioni di fatto ben delineate nella prospettazione originaria del proprio contenuto che risultano superate dagli accadimenti istruttori.

Da queste premesse, la Corte, superando un orientamento contrario (tra le altre, sezione III, 9 luglio 2013, Pm in proc. Lindegg; sezione III, 9 luglio 2013, Pmt in proc. M. e altri; sezione VI, 27 novembre 2013, Pm in proc. Bonanno), ha rigettato il ricorso del pubblico ministero ed escluso potesse ritenersi abnorme l'ordinanza con cui il giudice del dibattimento aveva deliberato la nullità per genericità dei capi di imputazione formulati dal pubblico ministero e, quindi, del decreto che aveva disposto il giudizio, disponendo la restituzione degli atti al pubblico ministero, senza avere prima sollecitato il pubblico ministero stesso a precisare la contestazione. Piuttosto, la Corte ha ritenuto non corretta (ma non censurabile perché non riguardata dai motivi di ricorso) l'ulteriore determinazione del giudice che, nel dichiarare la nullità per taluni dei capi di imputazione, aveva disposto la restituzione al pubblico ministero anche di ulteriori capi di imputazione, sul rilievo della necessità di una trattazione unitaria: qui, ha precisato la Cassazione, la regressione era stata anomala (ma per quanto detto non censurabile), giacché il tribunale avrebbe potuto e dovuto ottenere il risultato, giudicato necessario, della trattazione congiunta di tutte le imputazioni, separando quelle ritenute indeterminate e dichiarate nulle dalle altre e rinviando a nuovo ruolo la trattazione di quelle trattenute, per la successiva riunione dopo la riformulazione adeguata delle imputazioni ritenute viziate da genericità.

Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 8 giugno 2016 n. 23832

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