Civile

Il giudice del divorzio chiamato a decidere sull'an dell'assegno deve definire la natura dell'accordo inter partes

Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa

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di Valeria Cianciolo


La corte d'appello prima di confermare l'assegno divorzile stabilito dal giudice di primo grado deve provvedere a un attento esame dell'accordo concluso dalle parti in sede di separazione qualificandone la natura, precisando il rapporto tra l'eventuale rendita costituita, estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, e il diritto all'assegno divorzile. Lo hanno stabilito i giudici della Cassazione con l'ordinanza 26 aprile 2021 n. 11012.

Il caso
La Corte d'Appello confermava l'assegno divorzile stabilito dal giudice di primo grado a favore della moglie, ritenendo che l'accordo pattuito dei due coniugi in sede di separazione consensuale, teso alla disciplina futura dei rapporti economici delle parti anche per il successivo divorzio e con il quale era stato sciolto l'intero patrimonio prima in comunione, fosse ammissibile e non affetto da nullità per illiceità della causa.
Il marito proponeva ricorso in cassazione deducendo la violazione dell'art. 5 della legge sul divorzio nonché dell'art. 1343 del codice civile: secondo il ricorrente, l'accordo concluso con la coniuge in sede di separazione consensuale, essendo destinato a disciplinare anche i rapporti economici del futuro divorzio, era affetto da nullità per illiceità della causa, atteso che il diritto all'assegno di divorzio per la sua natura assistenziale, non è posizione soggettiva disponibile, dunque il giudice di merito non avrebbe potuto fare riferimento alle statuizioni assunte in sede di separazione, ma avrebbe dovuto indagare sull'effettiva sussistenza del presupposto richiesto dall'art. 5 della legge 898 del 1970 per la concessione dell'assegno divorzile.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso cassando con rinvio la decisione della Corte di appello precisando che essa dovrà provvedere a definire la natura dell'accordo concluso dalle parti durante la separazione, precisando il rapporto tra l'eventuale rendita costituita, estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, e il diritto all'assegno divorzile.

Il principio della Suprema corte
Con la recente ordinanza del 26 aprile 2021 n. 11012, gli Ermellini hanno statuito il seguente principio di diritto: "In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito-credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell'uno e a favore dell'altro da versarsi vita natural durante, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull'an dell'assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell'accordo inter partes, precisando se la rendita costituita e la sua causa aleatoria sottostante in occasione della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché è giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all'assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)".


Le questioni.
L'ordinanza richiama la nota sentenza della Cass. civ., Sez. I 30 gennaio 2017, n. 2224 secondo la quale gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all'art. 160 c.c. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Come è noto, la natura assistenziale dell'assegno divorzile è espressione degli obblighi di solidarietà post-coniugale, riconducibili al principio di solidarietà sociale enunciato dall'art. 2 Cost., e si interpreta nella "tutela esistenziale" del coniuge più debole a seguito della fine del matrimonio. Tuttavia, la realizzazione del principio di uguaglianza fra coniugi di cui all'art. 29 della Costituzione, ha valorizzato l'aspetto perequativo o compensativo dell'emolumento – e di questo ne è ormai stata data chiara conferma dalle Sezioni Unite nel 2018 - che ridistribuisce le risorse familiari successivamente alla disgregazione del vincolo coniugale, per riequilibrare le ricadute economiche negative eventualmente derivate a uno dei coniugi a seguito della distribuzione asimmetrica dei compiti in seno alla famiglia.
La giurisprudenza di legittimità ha sostenuto salvo rare eccezioni, la nullità per illiceità della causa degli accordi fra coniugi volti a fissare il reciproco rapporto giuridico patrimoniale in caso di eventuale divorzio ("Sono nulli per illiceità della causa gli accordi preventivi fra coniugi aventi ad oggetto l'assegno di divorzio, siccome in violazione del principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all'art. 160 cod. civ., nonché dell'indisponibilità del diritto a richiedere l'assegno divorzile." Cass. civ., Sez. I 30 gennaio 2017, n. 2224 sopra citata). Quanto invece alle pattuizioni preventive che regolano la debenza o la misura dell'assegno divorzile, la loro nullità viene fatta discendere anche dalla natura assistenziale dell'emolumento e dalla sua consequenziale indisponibilità ed irrinunciabilità (Cass. civ., 11 novembre 2009, n. 23908).
La giurisprudenza di merito si è sempre adeguata all'insegnamento restrittivo della Cassazione (per tutte: Tribunale di Arezzo 28 giugno 2011, in Notariato, 2011, 508; Tribunale di Varese 29 marzo 2010, in FD, 2011, 295, con nota di Patania, e in FD, 2011, 919, con nota di Torre; Tribunale di Bologna 10 aprile 2006, in Fam., pers. e succ., 2006, 563; Tribunale di Milano 29 marzo 1997, in Gius, 1997, 1535).

I punti più controversi in tema di validità di detti accordi sono: a. l'autonomia delle parti private, l'indisponibilità dell'assegno di divorzio; b. la contrarietà all'articolo 9 della legge n. 898 del 1970, la natura imperativa dell'articolo 160 del codice civile; c. lo status coniugale; d. la limitazione del comportamento processuale delle parti; e. la rinunzia ai diritti futuri.
E' dunque, nullo ogni accordo in vista del divorzio, sia che lo si interpreti quale convenzione prematrimoniale sia che si tratti di un accordo concluso prima della crisi ma in costanza di matrimonio, vuoi infine che venga raggiunto al momento della separazione (RIMINI, I patti in vista del divorzio: spunti di riflessione e una proposta dopo la introduzione della negoziazione assistita per la soluzione delle controversie familiari, in Dir. fam. e pers., 2015, I, 207).
Negli ultimi anni si è assistito a un timido riconoscimento dei patti relativi ai rapporti economici post-matrimoniali perché si sostiene che questi non hanno come oggetto né come causa lo status di coniuge, ma il regolamento dei rapporti patrimoniali. (Un'apertura verso l'istituto si è avuta in giurisprudenza con alcune sentenze della Cassazione: 9 ottobre 2003 n. 15064, in "CED Cassazione", Rv. 569286; 13 gennaio 2012 n. 387, in "Famiglia e Diritto", 2012, 8-9, pag. 773, con nota di Arceri, "Gli accordi sul godimento della casa familiare al vaglio della Cassazione").
La dottrina ritiene, invece, che il patto prematrimoniale non realizzi alcuna mercificazione dello status di coniuge, perché l'accordo non obbliga uno dei coniugi a non divorziare, ma regolamenta in anticipo i soli effetti patrimoniali dell'eventuale divorzio, senza che ciò determini alcun "impegno" di nessuna delle parti circa la scelta personale concernente il mantenimento della qualità di "coniuge". Gli autori che sostengono questa linea affermano che il divorzio non è "oggetto" dell'obbligo assunto dalle parti, ma è «condizione di efficacia»: quindi, l'accordo prematrimoniale non è che un negozio sospensivamente condizionato, dove lo scioglimento del matrimonio non rappresenta che un mero "fatto" esterno al sinallagma, al cui verificarsi consegue l'efficacia del negozio. (In dottrina, sono a favore dei patti prematrimoniali, OBERTO, Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale, in Cassano-Oberto (a cura di), Diritti patrimoniali della famiglia, Milano, 2017, pag. 47 e ss.).
L'interesse verso i prenuptial agreements ha trovato attuazione pratica, nel 2003, nella presentazione della Proposta di legge n. 4563. La relazione che accompagna la proposta evidenzia l'assenza nel nostro ordinamento di strumenti che consentano ai futuri sposi di «regolamentare ex ante, e in modo vincolante per il futuro, alcune condizioni nell'ipotesi della fine del matrimonio», la necessità di «percorrere direzioni che si ispirano a consolidate esperienze normative di alcuni Paesi Oltre Oceano» e le ricadute positive che l'adozione di tale istituto avrebbe ai fini della «riduzione dei tempi dei procedimenti di separazione e di divorzio» permettendo di «giungere ad una soluzione più serena e veloce della controversia» con evidenti vantaggi ai fini della «tutela del superiore interesse dei figli (...) che possono trovarsi coinvolti» nella crisi coniugale. Come si evince dalla stessa proposta, sebbene il patto prematrimoniale dovrebbe riguardare la sfera personale e patrimoniale sia nella fase fisiologica che patologica del rapporto, gli accordi che vengono stipulati riguardano soprattutto gli effetti patrimoniali della crisi. La sfera personale difficilmente potrà essere resa oggetto d'accordo senza ledere i principi costituzionali che tutelano la libertà e la dignità della persona o il superiore interesse dei figli, i quali ricevono una tutela rinforzata, per il resto la legge riconosce alla coppia di concordare l'indirizzo della vita familiare, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
Successivamente è stata presentata la proposta di legge n. 2669 in materia di accordi prematrimoniali (e matrimoniali) in vista della separazione o del divorzio (Camera, XVII legislatura) presentata il 15 ottobre 2014 dai deputati Alessia Morani (PD) e Luca D'Alessandro (FI); dal 22 maggio 2015 all'esame in sede referente della II Commissione Giustizia che prevede delle modifiche ad alcuni articoli del codice civile e in particolare è previsto l'inserimento di un articolo 162- bis.

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