Società

Legittimità della lista del CdA, ancora interrogativi sulla tutela degli interessi della minoranza

La facoltà del CdA di presentare una propria lista è legittimata dagli orientamenti di prassi, a cui si affianca il recente richiamo di attenzione della Consob e il parere del COMI. Ma ancora sono tanti i dubbi sulle criticità che potrebbero pregiudicare il conseguimento dell'interesse di tutti i soci e non solo della maggioranza

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di Emanuele Stabile

Recentemente, il tema del voto di lista, e in particolare della lista presentata dal consiglio di amministrazione (il "CdA"), è balzato agli onori della cronaca.

Come noto, l'istituto è regolato dall'art. 147-ter TUF, introdotto dalla L. n. 262/05 e modificato soprattutto dal D. Lgs. 303/06. Esso prevede che i componenti del CdA siano eletti sulla base di liste presentate dai soci, titolari di una partecipazione qualificata, e almeno un amministratore sia eletto dalla lista di minoranza che abbia ottenuto più voti e non abbia alcun collegamento con i soci che abbiano presentato e votato quella vincente. La ratio del meccanismo in parola è formare un organo amministrativo che, proprio in quanto composto anche da esponenti della minoranza, orienti il più possibile la gestione imprenditoriale al conseguimento dell'interesse di tutti i soci e non solo della maggioranza.

Seppur con un certo ritardo rispetto ad altri paesi, accanto alle liste presentate dai soci, soprattutto nelle società ad azionariato diffuso si è affermata la facoltà del CdA di presentare una propria lista.

Come rilevato da Autorevole dottrina (ex multis Stella Richter Jr), infatti, il silenzio normativo sul punto non limita l'autonomia statutaria. Non a caso, negli statuti di alcuni emittenti si trovano, sempre più spesso, clausole che legittimano il CdA a presentare una propria lista. E il Codice di Corporate governance 2020 all'art. 4, Raccomandazioni 19 e 20, ammette tale facoltà, sostanzialmente recependo gli orientamenti della prassi.

La giurisprudenza, invece, sino ad ora non ha avuto modo di esprimersi sull'argomento salvo una pronuncia che ha ritenuto illegittima la lista presentata dal CdA per il rinnovo del collegio sindacale. In tale ultimo caso, il rischio derivante da un organo di controllo nominato dal controllato ha indotto a dichiarare l'illegittimità di tale pretesa.

Tornando al caso in esame, sebbene i dati empirici non dimostrino che laddove sia stata presentata una lista del CdA essa abbia concretamente pregiudicato le prerogative delle minoranze azionarie, tra cui gli investitori istituzionali, la facoltà riconosciuta all'organo amministrativo presenta profili di rischio.

Considerata la criticità della materia, alcuni recenti accadimenti hanno indotto la Consob a emettere il Richiamo di attenzione n. 1/22 del 21 gennaio 2022 a cui si affiancano le riflessioni del parere pronunciato dal Comitato degli Operatori di Mercato e degli Investitori (il "COMI").

Similmente a tali documenti, la riflessione dottrinale che si è sviluppata sul tema negli anni ritiene imprescindibile la trasparenza e un'adeguata informativa ai vari stakeholders riguardo alla formazione e alla presentazione della lista. Nondimeno, bisogna prestare particolare attenzione alle interlocuzioni tra soci e amministratori uscenti, che potrebbero essere qualificate come azioni concertate con tutte le conseguenze del caso in tema di OPA, a eventuali collegamenti tra liste e alla (possibile) qualificazione di un amministratore eletto nella lista del CdA come parte correlata.

Ora, la lista del CdA è sicuramente legittima. Al netto di tutte le menzionate indicazioni, però, permangono alcuni interrogativi.

Innanzitutto, la lista del CdA comporta un ineliminabile rischio di autoreferenzialità dell'organo amministrativo che ben potrebbe essere sfruttata dal gruppo di comando per tentare di perpetuare se stesso.

In secondo luogo, si può escludere che la lista del CdA non sia assolutamente espressione della volontà del socio di controllo? Questi, infatti, potrebbe orchestrare la presentazione di due liste a sé riconducibili.

In terzo luogo, e soprattutto, cosa accadrebbe se la lista del CdA risultasse la seconda più votata? L'amministratore di minoranza, infatti, dovrebbe essere individuato da tale lista. Una parte della dottrina ha evidenziato come debba escludersi tale possibilità, ma alcuni statuti prevedono esattamente il contrario. L'assenza di disposizioni vincolanti in merito, poi, non aiuta.

Per concludere, è apprezzabile lo sforzo profuso dalla Consob e dalla dottrina per tentare di "inquadrare" correttamente il fenomeno. Permangono, però, una serie di interrogativi aperti che rischiano di pregiudicare gli interessi della minoranza, frustrando la ratio del voto di lista, e complicare il lavoro dell'operatore del diritto. Qualche indicazione, forse, arriverà anche dalla prassi.

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