Civile

La guerra della minerale vinta dagli imbottigliatori, «sleale» la campagna Acea

Al centro della disputa i riferimenti alla qualità e alla tutela ambientale

di Alessandro Galimberti

Finisce con la vittoria virtuale di chi la vende imbottigliata la battaglia giudiziaria sull’acqua minerale.

Il Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia di Impresa, ha chiuso con un’ordinanza definitoria la controversia 67619/22 tra la “Federazione italiana delle industrie delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente” e Acea spa, incentrata sulla campagna pubblicitaria messa in campo lo scorso anno dalla azienda pubblica multiutility della capitale. Secondo la federazione“Mineracqua”, la comunicazione via web denominata “Waidy Wow” - La Community per chi ama l’acqua e l’ambiente” presente sul portale di Acea, era null’altro che «pubblicità inveritiera, ingannevole, sleale, scorretta, denigratoria» sostanziandosi in veri e propri «atti di concorrenza sleale».

Nel mirino dei produttori/imbottigliatori erano finiti in particolare quattro temi/pagine web affrontati dalla comunicazione di Acea, dal tenore vagamente assertivo: «Meglio l’acqua del rubinetto o in bottiglia?»; «L’acqua in bottiglia ha una scadenza? Cosa bisogna sapere»; «Stop alla plastica monouso!»; «Combatti con noi l’inquinamento da plastica!».

Secondo Mineracqua tali articoli «dai contenuti non veritieri, ingannevoli, sleali e gravemente denigratori» sarebbero stati «volti a far emergere l'idea per cui sarebbe da preferire l’acqua del rubinetto a quella in bottiglia, giacché il consumo della seconda, stante l’utilizzo del Pet, causerebbe danni all’ambiente e rappresenterebbe un possibile rischio per la salute». Nel luglio scorso la federazione aveva chiesto in via privata la rimozione delle pagine sgradite, sollecitazione a cui nove giorni dopo Acea rispose respingendo ogni addebito, rilanciando anzi la campagna pubblicitaria contestata. Secondo la multiutility, citata nel giudizio cautelare davanti al tribunale capitolino, erano state indicate «le fonti delle notizie e le evidenze scientifiche» a supporto della sua tesi, versione che non ha però convinto il giudice.

Nel corso dello svolgimento del procedimento cautelare, Acea ha invece poi comunicato di aver provveduto alla revisione del proprio sito internet, eliminando (e sostituendo con altri) tre dei quattro articoli contestati, nonché modificando il contenuto del quarto «mediante espunzione delle parti censurate dalla ricorrente».

Questo comportamento concludente, scrive il tribunale delle Imprese nelle motivazioni dell’ordinanza, ha fatto cessare la materia del contendere (almeno quella cautelare) - ritenendo «implausibile» un rilancio della vecchia campagna - ma dà luogo a una soccombenza virtuale che lascia a carico di Acea le spese del procedimento e della difesa di controparte.

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