Casi pratici

Agenzia e procacciamento d'affari: quale confine?

Il recesso unilaterale nei rapporti a tempo indeterminato

di Laura Biarella

la QUESTIONE
Quali sono i termini e le modalità di preavviso da rispettare quando una società decide di interrompere le relazioni commerciali con un'altra, nell'interesse della quale promuove affari in una zona determinata, anche in assenza di un contratto scritto? Quali sono le differenze tra agenzia e procacciamento d'affari, secondo la giurisprudenza?

Il recesso unilaterale nei rapporti a tempo indeterminato è ammesso in forza di un principio di ordine pubblico generale che risponde all'esigenza di impedire l'assunzione di obbligazioni perpetue. Viene, dunque, riconosciuto un diritto potestativo esercitabile in qualunque momento. Come manifestazione di tale diritto, il recesso prescinde da qualsiasi circostanza specifica, predeterminata o motivazione particolare. Infatti, anche qualora fosse totalmente arbitrario, sarebbe comunque legittimo.
Il contraente che lo esercita perfeziona un negozio unilaterale recettizio a forma libera, poiché la sua efficacia è chiaramente subordinata alla conoscenza che ne abbia avuto o che avrebbe dovuto averne l'altra parte conformemente al disposto dell'art. 1335 c.c.
L'effetto del recesso dal contratto di agenzia a tempo indeterminato - come, del resto, da un qualsiasi altro accordo sine die - consiste nel porre al vincolo un limite temporale.
Il ricorso all'istituto presuppone il rispetto di un periodo di preavviso che varia a seconda della durata delle relazioni commerciali in essere tra le parti.
Nel corso di codesto lasso di tempo il recedente - fatta salva ogni espressa previsione contraria - è, comunque, vincolato al rispetto dell'esclusiva. Questa condizione non è, invece, imposta nell'ambito di un rapporto di semplice procacciamento d'affari.
In presenza di un accordo commerciale verbale è, altresì, importante stabilire, sia il momento iniziale, sia la natura esatta dello stesso.

L'agenzia: requisiti sostanziali e formali

In virtù del contratto di agenzia, una parte assume l'obbligo di promuovere, stabilmente, per conto dell'altra, la conclusione di accordi commerciali, in una zona territoriale determinata, in cambio di un corrispettivo.
L'oggetto del negozio consiste, quindi, in un'attività promozionale espletata nell'interesse del preponente.
Elementi essenziali sono: la stabilità dell'incarico, la definizione dell'area geografica, l'individuazione dei prodotti da trattare, la misura della provvigione e la durata dell'accordo. Quest'ultimo requisito non è, in verità, imprescindibile, essendo possibile stipulare anche un contratto a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda la forma, la norma di cui all'art. 1742, comma 2, c.c., dispone che «il contratto deve essere provato per iscritto» e prevede che ogni parte abbia il diritto di ottenere un documento che ne riproduca esattamente il contenuto e certifichi il tenore delle clausole aggiuntive.
La previgente disciplina, invece, con formula alquanto ambigua, stabiliva semplicemente che a ciascuna parte spettasse il diritto di ricevere dall'altra una copia del testo negoziale sottoscritto.
La rettifica introdotta nel 1999 è, pertanto, duplice. Da un lato, infatti, il legislatore ha imposto, per il contratto, espressamente la forma scritta ad probationem e, dall'altro, ha riconosciuto il diritto - irrinunciabile - di richiedere una certificazione cartacea del contenuto e dei termini dell'accordo.
Ciò significa che è la prova dell'esistenza del negozio a dover essere scritta, ma non questo in quanto tale, che resta valido ed efficace, pure se stipulato oralmente.

Il preavviso nel contratto di agenzia a tempo indeterminato
Il contratto di agenzia stipulato a tempo indeterminato può avere fine a seguito del recesso di una delle parti.
Quest'ultimo è uno dei mezzi di scioglimento espressamente previsto dal disposto dell'art. 1750 c.c.
Ognuno dei contraenti è, infatti, libero di intervenire, in qualsiasi momento, sulla durata del rapporto e, di conseguenza, di deciderne, con una semplice dichiarazione di volontà, la cessazione.
Il recesso unilaterale è un atto costitutivo in senso estintivo che permette di sancire l'interruzione di una situazione giuridica esistente.
Ai sensi della summenzionata norma, se il contratto è stato stipulato a tempo indeterminato, ciascuna parte può recedere, dando un preavviso all'altra nel termine stabilito nel negozio. In ogni caso, per espressa previsione normativa, il periodo di preavviso non può essere inferiore ad un mese, per il primo anno di durata del contratto, a due, per il secondo, a tre per il terzo, a quattro per il quarto, a cinque per il quinto, a sei per il sesto e per tutti gli anni seguenti. L'unico caso in cui non è necessario concedere a controparte il beneficio del termine è quello del recesso per giusta causa (ad esempio, nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento). L'effetto, in tutte le altre ipotesi, si produce alla scadenza del periodo di preavviso contrattualmente o, in mancanza, legislativamente definito.
Durante il decorso di detto lasso temporale le parti sono, ovviamente, tenute a rispettare tutti gli obblighi derivanti dall'accordo di agenzia.
Da ultimo, la Corte di Cassazione (Sezione II Civile, Ordinanza 17 settembre 2021, n. 25194) ha precisato che, a differenza del rapporto di lavoro subordinato, la disciplina del contratto di agenzia non preclude alle parti la stipulazione della clausola risolutiva espressa con l'effetto conseguenziale che, ove le parti abbiano valutato l'importanza di un inadempimento, facendone discendere la risoluzione del contratto senza preavviso, il giudice non può compiere indagine alcuna sull'entità dell'inadempimento stesso rispetto all'interesse della controparte, bensì deve unicamente accertare se lo stesso risulti imputabile al soggetto obbligato quanto meno a titolo di colpa.

Il vincolo di esclusiva

Secondo quanto disposto dalla norma di cui all'art. 1743 c.c., il contratto di che trattasi è connotato dalla previsione e dalla tutela del diritto di esclusiva, sancito in via bilaterale e paritetica, a favore dell'agente e del preponente.
Quest'ultimo può, dunque, pretendere che l'agente non assuma l'incarico di trattare nella zona e per il ramo di attività affidatogli affari di altri imprenditori.
L'agente, a sua volta, può ottenere che il proprio committente non si avvalga, in quell'area territoriale e per il medesimo genere di prodotti, di altri promotori.
La summenzionata disposizione fissa i limiti di operatività dell'obbligo di esclusiva. Il vincolo costituisce un elemento naturale - ma non essenziale e, pertanto, derogabile - del contratto di agenzia che, in quanto tale, deve ritenersi presente in assenza di contraria pattuizione.
L'eventuale attenuazione di tale vincolo deve essere provata ai sensi del disposto dell'art. 2697 c.c. Pertanto, nel caso in cui un'impresa gestisca una pluralità di affari ed alcuni di questi siano in concorrenza con quelli del preponente, bisognerebbe dimostrare non solo l'esistenza dell'autorizzazione a trattarli ma anche la sua estensione.
In dottrina si è addirittura affermato che la deroga all'esclusiva deve essere reciproca. Tuttavia, secondo gli interpreti più autorevoli, la stessa sarebbe valida sia se unilaterale, sia se bilaterale.
Per prevederla e certificarla non occorre la compilazione di una clausola espressa, ma è sufficiente anche una manifestazione tacita di volontà desumibile in via indiretta, purché in modo chiaro ed univoco, dal comportamento tenuto dalle parti al momento della conclusione del contratto e pure successivamente all'atto dell'esecuzione dello stesso. La deroga all'esclusiva a favore dell'agente comporta la perdita del diritto di questi a rivendicare la provvigione sui cosiddetti affari diretti. Infatti, una tale pretesa è ammissibile unicamente laddove sia prevista e delimitata la zona riservata all'agente.
L'obbligo per quest'ultimo di rispettare l'esclusiva a vantaggio del preponente gli impedisce di esercitare un'attività imprenditoriale in proprio, in concorrenza con questi.
La ratio della norma di cui all'art. 1743 c.c. consiste nell'evitare che l'agente svolga qualsiasi attività a favore di imprese concorrenti del preponente, ai danni dello stesso.
Tale ipotesi ricorre anche qualora l'impresa in conflitto sia costituita dall'agente medesimo, in base al generale principio della buona fede contrattuale, cui ci si deve attenere nell'applicazione della norma summenzionata.
Non viola, in ogni caso, il vincolo di esclusiva la trattazione di affari indifferenti o complementari.
La violazione del vincolo non comporta l'invalidità dei contratti conclusi, ma solo l'obbligazione dell'inadempiente al risarcimento del danno nei confronti del soggetto leso.
La natura della responsabilità è contrattuale e il diritto di ottenere il ristoro del pregiudizio patito si prescrive in dieci anni, decorrenti dal momento in cui è cessato il comportamento illecito e cioè da quando si sono estinti i rapporti instaurati in spregio dell'esclusiva.
Una volta cessato il rapporto, l'ex agente può cercare di mantenere la vecchia clientela, nel rispetto, chiaramente, dei limiti imposti dal divieto di concorrenza sleale.
Con specifico riferimento a quest'ultima, è stato osservato da autorevole dottrina che la lettera dell'art. 1743 c.c. (che tipizza la fattispecie) ha la funzione di regolare e limitare i potenziali conflitti commerciali che dovessero insorgere, tra il preponente ed i suoi omologhi sul mercato, per effetto del possibile confronto tra l'agente esclusivista ed altri dello stesso preponente.
Di conseguenza, sarebbero integrati gli estremi della violazione della norma in parola solo qualora l'agente assuma in proprio un'attività che si ponga in concorrenza con quella del preponente citato. In tal caso, infatti, l'agente, nella sua qualità di imprenditore, ben potrebbe iniquamente utilizzare, a proprio esclusivo vantaggio, le notizie e gli elementi - ad esempio relativi alla clientela - acquisiti nell'ambito del rapporto di agenzia, realizzando in tal modo un comportamento scorretto di cui al disposto dell'art. 2598 c.c.
Qualora sia, invece, il preponente a pregiudicare i diritti dell'agente, in violazione del vincolo di esclusiva, quest'ultimo potrà esercitare l'azione per inadempimento contrattuale, ma non quella per concorrenza sleale.
Il dovere di esclusiva da parte dell'agente: i confini secondo la Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 30065 depositata il 19 novembre 2019 , la Corte di Cassazione ha ribadito un notevole principio in tema di dovere di esclusiva da parte dell'agente, ai sensi dell'art. 1743 c.c. Secondo tale norma, in particolare, l'agente non può assumere l'incarico di trattare nella medesima zona e per lo stesso ramo gli affari di plurime imprese in concorrenza tra loro. Nella fattispecie posta sotto la lente dei giudici, il Tribunale aveva rigettato la domanda proposta dalla società, e volta a far accertare una violazione dell'obbligo di esclusiva ad opera dell'agente, poiché, secondo lo stesso Giudice, le ulteriori attività poste in essere dall'agente stesso riguardavano una differente tipologia di prodotti (materiali per costruzioni edili) di cui lo stesso procurava la vendita in favore di ulteriori preponenti. Il giudice territoriale, capovolgendo il dictum pronunciato nella sentenza di primo grado, aveva al contrario accertato l'infrazione dell'obbligo di esclusiva, posto che, pur nell'accertata differenziazione dei due prodotti, si trattasse pur sempre di beni aventi quale destinazione il compimento di manufatti edili, per cui l'opzione tra l'uno e l'altro fosse lasciata di volta in volta alle variabili tipiche del settore commerciale. Con tale pronuncia il collegio della Cassazione ha confermato il giudizio d'appello e, richiamando un'antica giurisprudenza (Cass. n. 5776/1987), ha chiarito che la nozione di concorrenza non va obbligatoriamente individuata in relazione alla produzione o commercializzazione di prodotti identici da parte di plurime imprese, essendo in tale ipotesi sufficiente che queste si rivolgano ad una clientela anche solo potenzialmente comune, cosicché l'una possa ricevere un danno dall'ingresso e dall'espansione dell'altra sul mercato, cui ambedue si rivolgono o probabilmente si rivolgeranno. Sulla tematica de qua, la stessa Corte (sentenza n. 13981/1999) aveva da tempo chiarito che la concorrenza si configura non solo quando sussista assoluta identità di prodotti (condizione sufficiente, ma non necessaria) bensì pure quando l'attività dell'agente sia rivolta a quei soggetti che, in un determinato ambito territoriale e temporale, potrebbero prediligere l'acquisto di prodotti dell'una o dell'altra società.
Infine (Cassazione Civ., Sezione Lavoro, 11 marzo 2021, n. 6915) è stato chiarito che il tentativo da parte dell'agente di sottrarre alcuni collaboratori della società preponente, al fine di intraprendere con essi una attività imprenditoriale in concorrenza con quest'ultima, rappresenta una violazione della lealtà e buona fede che deve caratterizzare l'esecuzione dell'incarico. Di conseguenza, è legittimo il recesso per giusta causa del contratto di agenzia.
Le figure affini all'agenzia: il procacciamento di affari
Il nostro ordinamento riconosce figure affini a quella sin qui trattata, distinte, peraltro, da quest'ultima sotto alcuni profili. Nel novero, assume particolare rilievo, per le similitudini che presenta con il rapporto di agenzia, il procacciamento di affari. Infatti, anche quest'ultimo si concretizza in un'attività promozionale, volta alla ricerca di clienti.
Nell'ambito della moderna struttura della filiera commerciale, il procacciatore è un soggetto ricorrente. Tuttavia, la sua connotazione resta atipica, in quanto non direttamente disciplinata dal legislatore.
Secondo la definizione della dottrina dominante, si tratterebbe di un collaboratore del preponente o del suo agente, la cui attività, caratterizzata dall'occasionalità e dalla mancanza di stabilità, sarebbe volta a raccogliere proposte di contratto od ordini ed a trasmetterli ai propri aventi causa. Dalla stessa definizione discende che molti elementi che connotano il ruolo di agente finiscono con il caratterizzare pure il procacciatore d'affari.
In particolare, sono comuni ad entrambe le figure l'autonomia organizzativa, correlata alla conseguente assunzione del rischio d'impresa, insita nella stessa attività promozionale così svolta, cui si aggiunge il diritto ad un compenso. Anche il procacciatore di affari svolge un'attività finalizzata alla ricerca di clienti e di proposte d'ordine. Essa potrà essere limitata ad una sola od estendersi ad una pluralità indeterminata di queste.
Peculiarità della figura - pur nella sua ricordata atipicità - è, dunque, la raccolta delle proposte predette. Questo obiettivo connota, ovviamente, anche il rapporto di agenzia, in considerazione del fatto che l'attività al medesimo sottesa è, per sua stessa definizione, volta all'acquisizione di ordini commerciali, a favore del preponente, in una zona geografica determinata. Tuttavia, il procacciamento di affari identifica un contratto diverso rispetto a quello di agenzia. Il discrimen tra le due figure - al di là della atipicità della prima, rispetto alla codificazione della seconda - si identifica nelle modalità di svolgimento dell'attività promozionale. Infatti, quella dell'agente presuppone la vigenza un rapporto stabile e continuativo, mentre quella di procacciatore è, al contrario, solamente occasionale.
In ogni caso, quest'ultima, concretizzandosi nella raccolta di ordini che vengono trasmessi al preponente nel cui interesse esclusivo si opera, presenta un contenuto analogo a quello dell'agenzia senza rappresentanza.
Tuttavia (secondo Cassazione Civ., Sez. II, Ordinanza 23 giugno 2021, n. 18001) nel contratto di agenzia, la rappresentanza attiva e passiva dell'agente è limitata alla ricezione dei reclami relativi alle inadempienze contrattuali ed al promovimento delle procedure cautelari nell'interesse del preponente; pertanto, essa non comprende il potere di riconoscimento dei diritti né quello di accettare la restituzione della merce da parte del cliente, salvo lo specifico ed eccezionale conferimento di un potere di rappresentanza piena, il quale rende applicabili, oltre alle norme dell'agenzia, anche quelle del mandato.
Secondo una condivisibile opinione dottrinale, comunque, non confluirebbero nell'alveo della fattispecie del procacciamento d'affari elementi del mandato, sia in quanto il soggetto che lo espleta non ha, nella pratica, il potere di concludere accordi, sia perché allo stesso agente non sono applicabili le norme sul mandato.
Del pari, si escludono aspetti di affinità tra il procacciamento d'affari e la mediazione. Infatti, l'imparzialità e la terzietà, che contraddistinguono quest'ultima, impediscono all'attività del mediatore di esplicarsi nell'interesse esclusivo di una delle parti coinvolte nell'operazione da questi intessuta.
Il procacciatore, come si è detto, agisce, al contrario, sempre per conto e nell'interesse di un committente. Egli rispecchia, essenzialmente, le caratteristiche di un agente non legato al preponente da un rapporto di collaborazione stabile, che non gode di alcun diritto di esclusiva, ed al quale non è solitamente affidata nemmeno una zona determinata da coprire.
Può, comunque, accadere che il procacciatore d'affari promuova contratti a favore del preponente con una certa continuità. L'assenza dell'elemento della stabilità significa, infatti, soltanto che egli non è obbligato a svolgere un'attività di promozione della conclusione di contratti come, invece, è richiesto, in maniera imprescindibile, all'agente.
L'attività del procacciatore è, quindi, meno impegnativa e più "soft". Mentre l'agente ha il preciso dovere di stimolare tutti gli affari che appaiono utili e vantaggiosi per il preponente, il procacciatore è, invece, solo autorizzato a raccogliere dai clienti quelle ordinazioni in riferimento alle quali ha ricevuto l'incarico.
La mancanza di un preciso obbligo al riguardo determina, di conseguenza, la sua totale libertà nell'espletamento dell'attività di ricerca e di esplorazione commerciale, senza limitazione alcuna del proprio potere discrezionale.
Secondo la giurisprudenza (Tribunale Roma civ., Sez. Lavoro, 15 gennaio 2019, n. 253)
il contratto di agenzia si caratterizza per la continuità e la stabilità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell'ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest'ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo,
il rapporto di procacciatore d'affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali commissioni.
Pertanto, mentre la prestazione dell'agente è stabile, avendo egli l'obbligo di svolgere l'attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.
Ulteriormente (Cassazione Civ., Sez. II, 4 settembre 2020, n. 18489), per quanto concerne la differenziazione tra mediazione e procacciamento di affari, costituisce elemento comune alle due figure la prestazione di un'attività di intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare, con conseguente applicazione di alcune identiche disposizioni in materia di diritto alla provvigione, mentre l'elemento distintivo consiste nel fatto che il mediatore è un soggetto imparziale, e nel procacciamento di affari l'attività dell'intermediario è prestata esclusivamente nell'interesse di una delle parti; ne consegue che sono applicabili al procacciatore d'affari, in via analogica, le disposizioni del contratto d'agenzia, ivi comprese quelle in materia di prescrizione del compenso spettante all'agente, diverse da quelle sulla prescrizione del compenso spettante al mediatore.

Considerazioni conclusive

Il procacciatore d'affari è, come abbiamo visto, una figura atipica. La giurisprudenza rinvia, per la relativa disciplina, all'agenzia, tenuto ovviamente conto delle differenze intercorrenti tra le due figure.
In linea generale, i caratteri distintivi del contratto di agenzia sono stati identificati nella continuità e nella stabilità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione dei contratti per conto del preponente nell'ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest'ultimo una collaborazione professionale autonoma, continua, con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente. Detto contratto si differenzia da quello del procacciatore d'affari il quale svolge la sua attività senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali commissioni. In sostanza, mentre l'attività dell'agente di commercio è stabile, quella del procacciatore d'affari è occasionale, nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa (Corte d'Appello Roma civ., Sez. Lavoro, 9 febbraio 2018, n. 448). A ciò si aggiunga che il riconoscimento in concreto di un rapporto di agenzia ovvero di un rapporto di procacciamento d'affari, ricollegandosi alla diversa stabilità dell'incarico di promozione di affari, comporta un diverso atteggiarsi dei fatti costitutivi dell'una ovvero dell'altra fattispecie, sebbene al rapporto di procacciamento di affari possano applicarsi in via analogica alcune disposizioni relative al contratto di agenzia (come quelle relative alle provvigioni), che non presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto, con esclusione, dunque, di quelle relative all'indennità di mancato preavviso, all'indennità suppletiva di clientela ed all'indennità di cessazione del rapporto (Corte d'Appello Bologna Civ., 11 febbraio 2019, n. 86).

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a cura della Redazione di PlusPlus24 Diritto

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