Anche se il genitore è disposto a dare di più è il giudice a stabilire l'assegno di mantenimento del figlio
Nel caso esaminato dalla Cassazione i giudici hanno ridotto l'importo
Il giudice di merito che condanni i genitori al pagamento del contributo per il mantenimento del figlio minore non è vincolato alla domanda delle parte e neppure alla eventuale disponibilità offerta al genitori obbligato al versamento di una somma e tanto perché la natura del diritto azionato conferisce al giudice il potere di adottare di ufficio, in ragione dell'interesse superiore del minore, i provvedimenti che stimi più opportuni per il mantenimento del minore. Lo ha stabilito la Sezione I della Cassazione con l'ordinanza 31 dicembre 2021 n. 42140. Nella specie, ancorché il padre naturale avesse indicato in euro 300 mensili la propria disponibilità economica ai fini del contributo al mantenimento della figlia minore, i giudici del merito avevano fissato l'assegno mensile di euro 250. In applicazione del principio del precede la Suprema Corte ha ritenuto corretta tale statuizione.
In principio innovativo
Non risultano precedenti esattamente in termini.
Ricordata in motivazione, nella pronunzia in rassegna, nel senso che in tema di azione di accertamento della paternità naturale e di conseguente determinazione del contributo al mantenimento del minore figlio naturale per il periodo successivo alla proposizione dell'azione stessa, ove la parte attrice, nell'atto introduttivo del giudizio, dopo aver indicato quale petitum un certo importo di tale contributo, abbia usato l'espressione ovvero la minore o maggiore somma dovuta o altra espressione equivalente, il giudice di merito che liquidi un importo maggiore di quello richiesto non viola il principio di cui all'articolo 112 Cpc, sia perché deve ritenersi che la parte attrice, con l'uso dell'espressione predetta, non abbia posto un limite preciso all'ammontare della somma richiesta, ma si sia rimessa agli elementi probatori da acquisire nel corso del giudizio ed alla loro valutazione ad opera del giudice, sia perché, in ordine alla condanna del padre naturale al pagamento del contributo, il giudice che ha accertato il rapporto di paternità non è vincolato alla domanda della parte, in quanto l'articolo 277, secondo comma, Cc conferisce a detto giudice il potere di adottare di ufficio, in ragione dell'interesse superiore del minore, i provvedimenti che stimi opportuni per il mantenimento del minore stesso, Cassazione, sentenza 17 luglio 2004, n. 13296.
L'accertamento di filiazione naturale
Per la precisazione che la sentenza di accertamento della filiazione naturale pone a carico del genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima compreso quello del mantenimento, che tale obbligazione decorre dalla data della nascita e la stessa decorrenza ha l'obbligo di rimborsare pro quota l'altro genitore che abbia provveduto integralmente al mantenimento del figlio, ma mentre la condanna al rimborso di detta quota presuppone la domanda di parte, attenendo alla definizione di rapporti pregressi tra debitori solidali, la necessità della domanda non ricorre in ordine ai provvedimenti da adottare per il periodo successivo alla proposizione dell'azione avendo il giudice il potere di adottare d'ufficio i provvedimenti opportuni per il mantenimento del minore, Cassazione, sentenza 4 maggio 2000, n. 5586, che ha cassato la decisione di merito che, in assenza di domanda dell'altro genitore, aveva fissato la decorrenza dell'assegno di mantenimento dalla data della sentenza di primo grado e, decidendo nel merito, ha dichiarato l'obbligo di corrispondere il mantenimento dalla data del ricorso introduttivo del giudizio. (In quest'ultimo senso, altresì, Cassazione, sentenze 28 marzo 2017, n. 7960 e 16 luglio 2005, n. 15100, in Foro it., 2006, I, c. 476).
Potere del giudice
Sempre nel senso che sussiste il potere del giudice adito, in applicazione dell'articolo 277 secondo comma Cc, di prendere di ufficio i provvedimenti che stimi opportuni per il mantenimento del figlio naturale, Cassazione, sentenze 23 luglio 1994, n. 6868 e 27 aprile 1985, n. 2739.
In termini generali, il giudice, ai sensi dell'articolo 155, comma settimo, Cc, data la considerazione dell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, può determinare la misura del contributo al mantenimento di quest'ultima in modo diverso da ciò che risulta concordato o richiesto dalle parti, Cassazione, sentenza 15 gennaio 1985, n. 65.
Analogamente, il contributo cui il coniuge non affidatario è tenuto a favore del figlio in caso di divorzio non è governato né dal principio di disponibilità né dal principio della domanda, attese le preminenti finalità pubblicistiche relative alla tutela e alla cura dei minori, Cassazione, sentenza 24 febbraio 2006, n. 4205.
Per il rilievo, peraltro, che nel giudizio avente ad oggetto la definizione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi successivamente al divorzio o alla separazione, nel caso in cui sia disposto il collocamento del minore in affidamento etero familiare presso terzi, il giudice, senza una domanda del soggetto che ne avrebbe interesse, non può pronunciare, d'ufficio, la condanna dei genitori a corrispondere somme a titolo di mantenimento (a copertura delle spese anticipate per l'accoglienza, l'accudimento e l'educazione in ambiente comunitario) a favore di detti terzi (nella specie i servizi sociali di un Comune) atteso che l'obbligo di mantenimento del figlio minore gravante su ciascun genitore si configura in termini di rimborso della quota dovuta da uno dei genitori a favore dell'altro genitore che ha provveduto per intero al mantenimento del figlio, Cassazione, ordinanza 9 agosto 2021, n. 22536.
I doveri dei genitori
Tra le tantissime, nel senso che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, stabilito dall'articolo 147 Cc, obbliga i coniugi a far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione - fino a quando la loro età lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione. Tale principio trova conferma nel nuovo testo dell'articolo 155 Cc, come sostituito dall'articolo 1, legge 8 febbraio 2006, n. 54, il quale, nell'imporre a ciascuno dei coniugi l'obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell'assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti, Cassazione, sentenza 10 luglio 2013, n. 17089.
Analogamente, per il rilievo che a seguito della separazione personale dei coniugi, nel quantificare l'ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio ed del tenore di vita da lui goduto, Cassazione, sentenza 1° marzo 2018, n. 4811, che ha cassato la decisione della corte d'appello per non aver effettuato un'adeguata indagine circa le risorse patrimoniali e reddituali di ciascuno dei genitori, ed avere pure espressamente trascurato la maggiore capacità patrimoniale del padre, comunque accertata nel caso concreto.
Sempre nella stessa ottica, con riguardo al regime previgente, per il rilievo che in sede di separazione giudiziale, il giudice deve stabilire la misura e le modalità con cui il coniuge non affidatario deve contribuire al mantenimento, istruzione ed educazione dei figli, avendo come esclusivo riferimento la realizzazione dei loro interessi morali e materiali, seguendo il criterio di cui all'articolo 148, primo comma, cod. civ. - secondo cui i genitori devono adempiere i predetti doveri verso i figli in proporzione delle loro sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale e casalingo - e compiendo le indagini e gli accertamenti relativi anche d'ufficio; senza che assuma rilievo, ai fini della determinazione dell'indicato contributo, la "posizione sociale" dei figli, in quanto il contributo medesimo è finalizzato alla realizzazione di interessi non soltanto materiali della prole, Cassazione, sentenza 21 novembre 1996, n. 10268.