Civile

Clausola penale e contratto preliminare: inefficace se non ribadita nel definitivo

La Suprema corte con la decisione n. 23307 ribadisce il principio secondo il quale la penale è assorbito nel definitivo

di Federico Ciaccafava

Le pattuizioni concordate nel contratto preliminare, inclusa la clausola penale, devono intendersi superate dalla nuova manifestazione di volontà delle parti contraenti espressa nel contratto definitivo. Tale il principio di diritto che può essere espunto dalla lettura di una recente pronuncia del giudice di legittimità (cfr., Cassazione, civile, sezioni II, sentenza 23 ottobre 2020, n. 23307, Pres. Lombardo, Rel. Oricchio).

 

Nel caso in esame, la Suprema Corte, cassando la decisione impugnata, ha accolto il motivo di ricorso p rospettato da una società costruttrice-venditrice la quale, nei precedenti gradi di merito, era risultata soccombente in conseguenza della condanna al pagamento di una somma risarcitoria dovuta a titolo di penale da ritardo pattuita nel preliminare con la controparte ma non ribadita poi nel contratto definitivo.

 

La decisione supera un isolato precedente di segno contrario posto a fondamento della pronuncia gravata, secondo il quale la clausola penale, pur avendo carattere accessorio, ha una sua autonoma identità ed indipendenza quale obbligazione pecuniaria, in quanto persegue il fine di determinare preventivamente la prestazione dovuta nel caso che una parte si renda inadempiente della prestazione o ritardi l’adempimento della prestazione stessa, di tal che, per sua natura, in ipotesi di inserimento della medesima in un contratto preliminare, non si può ritenere tacitamente rinunciata se non se ne parli nel definitivo, essendo, invece, necessaria una espressa dichiarazione in tal senso da parte di chi ha diritto di avvalersene  (cfr., Cass. civ., Sez. II, sentenza 9 giugno 2009, n. 13262).

 

La Corte regolatrice a tale precedente oppone le molteplici, precedenti e successive, pronunce volte a consolidare il prevalente orientamento incline invece a ritenere che l’unica fonte di diritti ed obblighi è, di regola, il contratto definitivo, che supera i patti anteriori di cui al preliminare, richiedendosi - all’opposto - una espressa manifestazione di volontà volta alla sopravvivenza delle clausole contenute nel preliminare.

 

Infatti, qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, osserva la decisione in epigrafe, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (cfr., Cass. civ., Sez. III, sentenza 9 luglio 1999, n. 7206; Cass. civ., Sez. II, sentenza 28 maggio 2003, n. 8515; Cass. civ., Sez. II, sentenza 11 luglio 2007, n. 15585; Cass. civ., Sez. II, sentenza 5 giugno 2012, n. 9063; Cass. civ., Sez. II, sentenza 11 aprile 2016, n. 7064).

 

Secondo la Corte, quindi, la presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova - la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia a oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo.

 

La possibilità di una riviviscenza tacita della clausola penale contenuta nel preliminare e non ribadita col contratto definitivo, osserva infine la Corte a sostegno dell’indirizzo prevalente potrebbe, nei fatti, indurre ad un non consono atteggiamento negoziale per cui si conclude comunque un contratto definitivo (senza cenno alcuno alla detta clausola) con la riserva di agire successivamente al fine di perseguire l’ottenimento dell’importo pecuniario conseguente alla previsione della medesima clausola.

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