Il socio che chiude e svuota la Srl risponde in pieno
La liquidazione e la cancellazione di una società – se eseguite con il formale rispetto delle norme, ma con un disegno diretto a eludere le obbligazioni tributarie – possono far scattare la piena responsabilità dell’ex socio e amministratore, riconosciuto responsabile di abuso del diritto. È quanto avvenuto nella fattispecie decisa dalla Ctr di Palermo, sezione di Caltanissetta, con la sentenza 185/21/2017 (presidente Gennaro, relatore Palermo), che ha ravvisato un’ipotesi di abuso del diritto nel progressivo svuotamento economico di una Srl, fino alla sua cancellazione, con l’intento di «sottrarre la società ai suo obblighi tributari». Nell’arco di quattro anni, successivi a una verifica della Guardia di finanza, e in pendenza di diversi processi tributari decisi a favore del Fisco in primo grado, la Srl è passata da un attivo di 2 milioni a poco più 500 euro.
Il giudizio
In applicazione dell’articolo 37-bis del Dpr 600/1973, che tra le singole ipotesi di abuso indicava anche la liquidazione volontaria della società (norma ora superata dalla più ampia previsione dell’articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente, legge 212 del 2000), la Ctr ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento notificato nei confronti del socio di maggioranza per il 66% della Srl, in quanto autore – tramite atti di amministrazione straordinaria – del progressivo impoverimento patrimoniale, poi sfociato nella liquidazione, cancellazione ed estinzione della società. Ampliando la responsabilità dell’amministratore all’intero pagamento delle imposte dovute, rispetto alle ipotesi dell’articolo 36 del Dpr 602/1973 e dell’articolo 2495, comma 2, del Codice civile (che limitano la responsabilità di liquidatori, amministratori e soci alle somme riscosse nel corso dei due anni precedenti o in base al bilancio finale di liquidazione).
La giurisprudenza
La sorte dei debiti sociali e fiscali a seguito dell’estinzione della società è stata oggetto di numerosi approfondimenti giurisprudenziali, sin dalle pronunce a Sezioni unite 4060 e 4061 del 2010. Venuto meno il soggetto societario, si instaura un fenomeno “successorio” a carico dei soci, limitatamente alle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione (articolo 2495, comma 2, già citato) per le società di capitali, o illimitatamente per le società di persone (per una efficace sintesi, su veda la Cassazione 20024 dell’11 agosto scorso). Responsabilità che, però, non di rado è evaporata a fronte di delicati meccanismi processuali sfociati con pronunce di inammissibilità delle azioni svolte nei confronti di società medio tempore estinte, con ciò vanificando ogni sforzo di recupero di crediti erariali.
L’intervento normativo
Da qui l’articolo 28 del Dlgs 175/2014, secondo cui l’estinzione della società – solo nei confronti del Fisco o degli enti che riscuotono i contributi – ha effetto «trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione» dal registro delle imprese. Norma assai contestata in dottrina, che la Cassazione ha ritenuto, da un lato, non retroattiva e, dall’altro, riferibile anche alle società di persone. Peraltro, anche una volta garantita la continuità del processo nei confronti della società estinta, non è detto che il Fisco non si trovi davanti a “scatole vuote”, che rendono inefficace l’azione di recupero, o a soci che riescono a limitare la propria responsabilità a quanto risultano aver effettivamente riscosso. L’aspetto peculiare della sentenza in esame sta proprio nel tentativo di rimediare a questi inconvenienti, laddove le risultanze processuali evidenzino il preordinato e progressivo svuotamento della società in danno dell’Erario, mediante la contestazione dell’abuso del diritto e la notifica dell’intero importo dell’accertamento a carico degli amministratori.