Casi pratici

Modifiche ai muri comuni

Limiti all'uso della cosa comune

di Lina Avigliano

la QUESTIONE
Quando le aperture sui muri perimetrali dell'edificio condominiale effettuate dal condomino sono legittime?


L'art. 1102 del Codice civile nello stabilire che «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa» pone dei limiti al potere di utilizzo dei beni comuni da parte del singolo oltre i quali si sconfina nell'abuso. Dalla previsione normativa è dato individuare due ordini di limiti: il divieto di alterare la destinazione del bene e il divieto di sottrarre anche in parte lo stesso all'uso degli altri condomini. Il rispetto di questi due limiti consente al singolo di trarre dalla cosa comune le utilità che la stessa è in grado di fornire e apportarvi tutte le modificazioni suscettibili per il miglior godimento di essa, mentre il mancato rispetto dell'uno o dell'altro divieto rende l'uso della cosa comune illecito. Al riguardo tra i predetti limiti viene ritenuto che la non alterazione della destinazione della cosa comune assume una certa posizione di preminenza in quanto si può avere la salvaguardia degli interessi degli altri condomini soltanto con il rispetto della destinazione impressa alla cosa stessa. Secondo la consolidata giurisprudenza i limiti posti dall'art. 1102 c.c. al diritto di ciascun partecipante di servirsi del bene comune vanno rapportati all'effettiva utilizzazione che il condomino intenda farne nonché alle modalità della suddetta utilizzazione.
Per stabilire quale sia la destinazione della cosa comune al fine di sindacare l'uso fattone dal singolo condomino deve farsi riferimento o a quella intrinseca al particolare tipo di bene, oppure, quando l'utilizzazione possa essere molteplice, a quella espressamente riconosciuta dai condomini mediante il regolamento o una delibera assembleare o tacitamente impressa. Quanto al godimento del bene comune, ciascun comunista è titolare di ampie facoltà che trovano il proprio limite naturale nelle eguali facoltà riconosciute agli altri comproprietari. Sul concetto di pari uso la tesi maggioritaria ritiene che lo stesso non deve essere inteso nel senso di uso identico e contemporaneo a quello realizzato dal condomino bensì nel senso che ciascun partecipante ha la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione a condizione che ciò sia compatibile con i diritti degli altri, per cui, qualora sia prevedibile che gli altri condomini non debbano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata dal singolo partecipante deve considerarsi legittima. Per la tesi minoritaria, invece, l'art. 1102 c.c. vieta al condomino la realizzazione delle opere che non consentano agli altri partecipanti quel qualsiasi altro uso che avrebbero potuto fare della cosa stessa e non gli permette neppure di adoperare la stessa in modo da impedire agli altri condomini di farne il suo stesso uso. È compito del giudice di merito accertare di volta in volta se gli atti e le opere posti in essere dal singolo condomino al fine di intensificare il proprio godimento del bene comune non siano in contrasto con i predetti divieti.
Imprescindibile per la questione trattata è la distinzione sostanziale intercorrente tra opera innovativa e modificativa. Dottrina e giurisprudenza sono sostanzialmente concordi nel ritenere che deve considerarsi innovazione, e come tale sottoposta alle limitazioni di cui all'art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa comune, bensì quell'opera di trasformazione sulla cosa comune, che incida sull'essenza di essa e ne alteri l'originaria funzione e destinazione; ove invece la modificazione della cosa comune non assume tale rilievo, ma risponde allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 c.c.
L'articolo 1102 c.c. e l'articolo 1120 c.c. sono disposizioni non sovrapponibili, avendo presupposti ed ambiti di operatività diversi. Le innovazioni, di cui all'articolo 1120 c.c., non corrispondono alle modificazioni, cui si riferisce l'artciolo 1102 c.c., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, piu' comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso articolo 1102 c.c. Tra le nozioni di modificazione della cosa comune e di innovazione e, quindi, tra le sfere di operatività delle norme di cui all'articolo 1102 e dall'articolo 1120 c.c., corre anche una differenza che è di carattere soggettivo, poichè quel che rileva nell'articolo 1120 c.c., mentre è estraneo all'articolo 1102 c.c., è l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata dei partecipanti, espresso da una deliberazione dell'assemblea.
Per le opere innovative contemplate dall'art.1120 c.c. è indispensabile l'assenso della maggioranza assembleare sancita dall'art. 1136 comma 5, c.c.
L'art. 1120 c.c. (così come modificato dall'art. 5 legge 11 dicembre 2012, n.220, in vigore dal 18 giugno 2013) prevede al comma 2 che i condomini con la maggioranza indicata dal comma 2 dell'art. 1136 (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio ) possono disporre le innovazioni che , nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:
1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;
2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune;
3) l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.
L'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all'adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma. La richiesta deve contenere l'indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l'amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni (art. 1120, comma 2, c.c.).


Limiti all'uso della proprietà esclusiva
Mentre gli artt. 1102 e 1120 c.c. fanno riferimento, rispettivamente, il primo ai diritti che ciascun partecipante ha sulle cose comuni, il secondo alle innovazioni per il miglior godimento e rendimento che possono essere eseguite sulla cosa comune, sia dai condomini con i poteri assembleari, che dai condomini singolarmente, l'art. 1122 c.c. riguarda gli interventi sulla proprietà esclusiva o sulle parti normalmente destinate all'uso comune m ma attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, che abbiano riflessi sulle parti comuni dell'edificio.
La norma di cui all'art. 1122 c.c. autorizza il condomino a eseguire, nella propria proprietà esclusiva o nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, opere che non rechino danno alle parti comuni ovvero che non determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell' edificio (l'articolo in questione è stato oggetto di tale modifica con la riforma del condominio). La norma utilizza il termine «opere», ma la dottrina ha precisato che il termine opere è comprensivo anche di tutte le attività di uso e di godimento che non costituiscano vere e proprie opere.
Ogni condomino, quindi, può utilizzare le parti di proprietà esclusiva o secondo quanto stabilito dalla legge di riforma del condominio (legge n. 220/2012 in vigore dal 18 giugno 2013) anche le parti che sebbene normalmente destinate all'uso comune siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, nel modo che ritiene più utile e conveniente, e può eseguire le opere che gli consentano il miglior godimento e l'uso più comodo della cosa propria, oltre che destinare la proprietà esclusiva a un uso piuttosto che a un altro, purché non vi sia danno per la cosa comune e per gli altri condomini e non vi sia pregiudizio alla stabilità, sicurezza e decoro architettonico dell'edificio.
L'art. 1122 c.c., difatti, fa divieto al condomino di eseguire, nel piano o nella porzione di piano di sua proprietà, opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio. Per quanto concerne il danno alle parti comuni esso viene individuato con riferimento ai limiti fissati dall'art. 1102 c.c. e dall'art. 1120 c.c. La norma, difatti, va posta in relazione sia con l'art. 1102 c.c. che disciplina i diritti che ciascun partecipante ha sulle cose comuni, sia con l'art. 1120 c.c. che riguarda le innovazioni per il miglior godimento e rendimento della cosa comune. La ratio dell'art. 1122 c.c. viene individuata nel fatto che l'uso della proprietà esclusiva non deve danneggiare l'uso delle parti comuni, rispetto alle quali il condomino ha un diritto pari e concorrente con gli altri, ai sensi e nei limiti di cui all'art. 1102 c.c. I limiti all'uso e all'esecuzione di opere nella proprietà esclusiva derivanti dal divieto sancito dall'art. 1122 c.c. si possono in via esemplificativa individuare nel rispetto del decoro architettonico, assenza di danni alle altre proprietà esclusive, assenza di immissioni intollerabili, perseguimento del fine della sicurezza dell'edificio, tutela della stabilità del fabbricato, rispetto delle distanze legali, uguale godimento degli altri condomini.
L'applicabilità dell'art. 1122 c.c. presuppone che le opere eseguite dal condomino abbiano arrecato un danno alle parti comuni, danno che, sulla base dei criteri di cui agli artt. 1102 e 1120 c.c., può individuarsi sia in un'alterazione o destinazione della cosa comune che impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, sia nelle innovazioni che possano recar pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, o che alterino il decoro architettonico, o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.


Procedura per la modifica della destinazione d'uso di un bene comune
Il legislatore con la legge di riforma del condominio (legge n. 220/2012 in vigore dal 18 giugno 2013) ha inserito nel codice civile gli articoli 1117-ter e 1117-quater, rispettivamente rubricati «Modificazioni delle destinazioni d'uso», e «Tutela delle destinazioni d'uso». L'art. 1117-ter c.c. disciplina la procedura con la quale l'assemblea dei condomini può procedere alla modifica della destinazione d'uso di un bene comune, stabilendo la norma che per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l'assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio, può modificare la destinazione d'uso delle parti comuni. La convocazione dell'assemblea, che a pena di nullità deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso, deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione. La deliberazione deve contenere, inoltre, la dichiarazione espressa che sono stati effettuati tutti gli adempimenti previsti dalla norma. Sono vietate le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico (art. 1117-ter, ult. comma, c.c.).
Nell'art. 1117-quater c.c., invece, si ipotizzano le tutele che il condominio o i singoli condomini possono attivare nel caso di attività contraria alla destinazione d'uso, stabilendo che in caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L'assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell'art. 1136 c.c. (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio).


Aperture sui muri perimetrali
Poiché il diritto del condomino di effettuare opere nelle parti comuni implica il rispetto di alcune condizioni quali non mutare la destinazione della cosa comune e non impedire agli altri partecipanti di usare la cosa comune secondo il loro diritto, il singolo condomino può utilizzare il muro perimetrale dell'edificio condominiale e può effettuare un'apertura sul medesimo quando l'apertura si risolve in un semplice maggiore suo godimento e non ne altera la sua destinazione, né impedisce il pari uso degli altri condomini. Se si considera che i muri perimetrali, oltre alla funzione di sostenere la copertura dell'edificio, hanno anche quella di essere al servizio dei singoli appartamenti, ogni condomino può usare i muri perimetrali che delimitano il suo appartamento in ordine non solo alla parte interna, ma anche alle pareti esterne.
La Suprema Corte di Cassazione con sentenza 20 febbraio 1997, n. 1554 ha statuito che «A differenza delle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate dall'assemblea (art. 1120 comma 1, c.c.) nell'interesse di tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse e a proprie spese. Pertanto, è legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato all'apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva».
E ancora la giurisprudenza di legittimità ritiene che «l'ampliamento o l'apertura di una porta, finestra, da parte di un condominio, o la trasformazione di una finestra, che prospetta il cortile comune, in porta d'accesso al medesimo, mediante l'abbattimento del corrispondente tratto del muro perimetrale che delimita la proprietà del singolo appartamento, non costituisce, di per sé, abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo, come ius possidendi, a tutti i condomini».
Costituiscono, invece, uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 c.c., le aperture praticate dal condomino nel muro perimetrale per mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà, esistenti nell'edificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo all'acquisto di una servitù a carico della proprietà condominiale.
In presenza di modificazioni apportate dal singolo a proprie spese, per la migliore utilizzazione della cosa comune nell'interesse della sua proprietà esclusiva permane il diritto di ciascun degli altri condomini di opporsi a che il singolo, per il raggiungimento dei propri interessi personali, violi i limiti fissati dalla legge per l'uso delle cose comuni e pregiudichi ad altri il godimento di quei beni. Quindi, anche il diritto del condomino di effettuare opere nella proprietà esclusiva comporta l'obbligo di non danneggiare le parti comuni ai sensi dell'art. 1122 c.c. Tale norma nel vietare a ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà esclusiva, di compiere opere che arrechino danno a una parte comune, esprime il principio secondo il quale non si può arrecare pregiudizio alle parti comuni, appartenenti pro indiviso a tutti i condomini, nemmeno ove si operi sulla propria cosa.


Casistica
Esaminando la casistica giurisprudenziale si può rilevare che il condomino può aprire nel muro comune dell'edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti, trasformare finestre in balconi o in pensili, sostituire frontalini, balaustre purché siano rispettati in concreto i limiti di cui agli artt. 1102 e 1122 c.c. Tali opere non importano una innovazione della cosa comune, a norma dell'art. 1120 c.c., bensì soltanto quell'uso individuale della cosa comune il cui ambito e i cui limiti sono disciplinati dagli artt. 1102 e 1122. Pertanto, è necessario che esse non pregiudichino il decoro architettonico dell'immobile in quanto detti elementi ineriscono alla facciata e concorrono a conferire all'immobile, attraverso l'armonia e l'unità di linee e di stile, il decoro architettonico che costituisce bene comune economicamente valutabile e tutelato.
Nella realtà la difficoltà è individuare quando un'opera possa concretizzarsi in una lesione del decoro architettonico. Nel corso degli anni la giurisprudenza di merito e di legittimità hanno tentato di individuare ipotesi che possano concretizzarsi in lesione del decoro architettonico attraverso l'analisi di svariate fattispecie.


Distinzione tra innovazione e modificazione della cosa comune
L'elaborazione giurisprudenziale ha consentito di delineare e operare una distinzione tra innovazione e modificazione della cosa comune al fine di circoscrivere la portata degli artt. 1102 e 1120 c.c. La distinzione tra modifica e innovazione si ricollega all'entità e qualità dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune. Ogni qualvolta vi siano meri atti di maggiore e più intensa utilizzazione della cosa comune, che non importino alterazione o modificazione della stessa, e non precludano agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggior uso del condomino che abbia effettuato la modifica si è in presenza di una modificazione. Ove, invece, vi sia qualsiasi opera nuova che alteri, in tutto o in parte, nella materia e nella forma, nella destinazione di fatto o di diritto, la cosa comune, eccedendo i limiti della conservazione, dell'ordinaria amministrazione o del godimento della cosa, e che importi una modificazione della cosa medesima con l'effetto di migliorarne il godimento o comunque alterarne la destinazione originaria, con la conseguente implicita incidenza sull'interesse di tutti i condomini, i quali devono essere liberi di valutare la convenienza dell'innovazione, anche se sia stata programmata a iniziativa di un solo condomino, che ne sopporta tutte le spese, si tratta di innovazione. Anche la più recente giurisprudenza ha ancorato la distinzione tra innovazione e modifica all'entità e qualità dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, ritenendo che solo quella modifica materiale che alteri sostanzialmente la destinazione o la funzionalità del bene comune costituisce un'innovazione in senso tecnico e come tale sottoposta alle limitazioni previste dall'art. 1120 c.c..


Il decoro architettonico
La giurisprudenza ha esteso, in via analogica, anche alle ipotesi di uso legittimo della cosa comune che tecnicamente si contrassegnano perché non alterano le destinazione delle cose comuni, il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato dettato, espressamente, per le innovazioni dall'art. 1120 comma 4, c.c., per le opere su parti di proprietà o uso individuale dall'articolo 1122, comma 1 cc. e per le installazioni di cui dall'articolo 1122 bis cc.
La nozione di decoro architettonico attiene a tutto cio' che si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia estetica ed armonica, che contribuisce a dare ad esso una sua specifica identità.
Il decoro architettonico è, infatti, un bene al quale sono interessati tutti i condomini ed è suscettibile, inoltre, di valutazione economica, in quanto concorre a determinare il valore, sia della proprietà individuale sia di quella collettiva delle parti comuni. Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dagli artt. 1120, 1112 e 1112 bis c.c. e sottesa anche ai limiti di uso della cosa comune ex articolo 1102 c.c., si intende l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante e imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata armonica fisionomia senza che occorra che si tratti di un edificio di particolare pregio artistico. Nel caso di lesione dell'estetica dell'edificio, la legge prevede la possibilità per i condomini di opporsi in quanto il decoro è un bene comune e inscindibile di tutti i condomini. La legittimazione a opporsi, pertanto, spetta a ciascun condomino, oltre che all'assemblea e all'amministratore. L'indagine rivolta a stabilire se in concreto ricorra il denunciato danno all'aspetto della facciata e lesione del decoro dell'immobile rientra tra i poteri del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata.

Alterazione della destinazione della cosa comune
Sul concetto di alterazione della destinazione della cosa comune di cui all'art. 1102 c.c. un'autorevole dottrina ha convenuto che la stessa si ha allorquando le modificazioni apportate alla cosa comune rendano impossibile, o comunque pregiudichino apprezzabilmente, la sua funzione originaria, e non qualora l'utilità tratta dal condomino si aggiunga a quella originaria, senza interessare l'efficienza in pregiudizio del condominio o di altro condomino, ossia qualora il godimento del singolo, pur potenziato o reso più comodo, lasci immutata la consistenza e la destinazione originaria. Secondo tale posizione non modifica la destinazione quell'uso diverso che, non producendo alterazioni permanenti, consente il mantenimento dell'uso normale da parte degli altri condomini, mentre sussiste l'alterazione della cosa non solo quando viene mutata la sua funzione ma anche quando si produca uno scadimento a una condizione deteriore.


Considerazioni conclusive
L'esercizio del diritto di comunione comporta la piena e libera facoltà di usare e godere la cosa comune nel rispetto delle limitazioni derivanti dal pari diritto altrui. Pertanto, se da un lato l'art. 1102 c.c. riconosce al singolo condomino il diritto di utilizzare il bene comune nella sua integrità o potenzialità d'uso, dall'altro pone precise limitazioni al potere di utilizzo dei beni comuni da parte del singolo e cioè il divieto di alterare la destinazione del bene e il divieto di sottrarre anche in parte lo stesso all'uso degli altri condomini.
Poiché i muri perimetrali dell'edificio condominiale i cui piani appartengono a proprietari diversi sono comuni pro indiviso per l'intera estensione ne consegue che ciascun condomino può, senza il preventivo assenso assembleare, legittimamente servirsi nel suo interesse del muro comune, sia nella parte corrispondente al piano di sua proprietà sia nella parte corrispondente al piano di altri non solo secondo la destinazione usuale, ma anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri partecipanti al condominio, purché tale specifica utilizzazione rientri tra le destinazioni normali della cosa e non alteri l'utilizzazione praticata da altri, non comprometta il decoro architettonico dell'edificio e non menomi l'esercizio concorrente degli altri condomini e non dia luogo all'acquisto di una servitù a carico della proprietà condominiale.

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