Per il cambio di sesso non è necessario l'intervento chirurgico
Il diritto al cambiamento di sesso non è subordinato all'adeguamento dei caratteri sessuali primari dell'individuo mediante l'intervento chirurgico, a meno che ciò non sia necessario per consentire un pieno raggiungimento del benessere psico-fisico del richiedente. Di conseguenza, il cambiamento di sesso deve essere accordato dal tribunale quando emerga che il mutamento di genere «sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo delle oggettive mutazioni dei caratteri sessuali secondari, sia effettivamente tale, ossia abbia assunto le caratteristiche di irreversibilità attraverso il completamento del percorso individuale». Questo è quanto emerge dalla sentenza 1827/2016 del Tribunale di Genova.
Il caso - La richiesta di rettificazione di attribuzione del proprio sesso, con conseguente variazione degli atti anagrafici, proveniva da un uomo il quale, sin dall'adolescenza, aveva «maturato il convincimento psichico di essere donna, atteggiandosi naturalmente come tale nei propri comportamenti esterni». A tale convincimento era seguito nel corso di circa 15 anni un percorso di adeguamento dei propri caratteri sessuali secondari (voce e aspetto fisico), per mezzo di terapie ormonali e piccoli interventi chirurgici, «tesi a completare l'iter di femminilizzazione». Tale trattamento aveva consentito allo stesso di raggiungere un «equilibrio tra l'identità psichica e la propria esteriorità» e una perfetta integrazione sociale. La presenza del nome maschile, tuttavia, gli comportava dei problemi e delle incomprensioni in ambito lavorativo (sostanzialmente per via del nome maschile, a fronte di un tono di voce e di un aspetto femminile), ragion per cui si era rivolto ai giudici. Ad ostacolare però la sua richiesta vi era il mancato intervento modificativo dei caratteri sessuali primari, a cui lo stesso non voleva sottoporsi per questioni cliniche ed anche economiche.
La decisione - Il Tribunale considera non ostativo per l'accoglimento della domanda il fatto che il ricorrente non si sia previamente sottoposto ad un intervento chirurgico demolitivo e ricostruttivo dei caratteri sessuali primari ed accorda la rettificazione di sesso con variazione del genere da maschile in femminile e con modifica del nome. Il Collegio ritiene che nel caso di specie, come evidenziato e documentato dal ricorrente, di fatto anche senza un intervento chirurgico si è di fronte ad una situazione di mutamento irreversibile, sia da un punto di vista fisico che da punto di vista psicologico. I giudici affermano che il diritto al cambiamento di sesso, previsto dalla legge 164/1982 e riconosciuto dalla Corte Costituzionale quale diritto inviolabile della persona, è subordinato all'eliminazione dei caratteri sessuali primari solo quando necessario. E sul punto deve considerarsi superata la tesi che «identificava il concetto di “mutamento dei caratteri sessuali” con l'obbligo di sottoporsi a un intervento chirurgico» a scapito della tesi secondo cui «tale obbligo va autorizzato solo nei casi in cui tale intervento sia finalizzato a consentire un pieno raggiungimento del benessere psico - fisico dell'istante».
E ciò vale anche sotto il profilo dell'interesse pubblico all'esatta identificazione tra i generi. Difatti, afferma il Tribunale, «alla luce del progressivo sviluppo della scienza medica è corretto sostenere che, in realtà, il momento conclusivo del percorso medico per il processo di mutamento dell'identità di genere è individuale e non standardizzabile: in questo senso, il punto di equilibrio tra l'interesse pubblico alla certezza delle relazioni giuridiche e il diritto individuale allo svolgimento della propria personalità può essere risolto alla luce del criterio di proporzionalità, valutando la necessità o meno di sacrificare il diritto individuale al fine di realizzare l'obiettivo della certezza della distinzione tra i generi».
Tribunale di Genova - Sezione IV civile - Sentenza 23 maggio 2016 n. 1827
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