Civile

Procedibile la domanda di risoluzione decisa prima del fallimento

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di Giovanni Ricci

Con la sentenza n. 650/2015 pubblicata il 13 maggio scorso la Corte d’appello di Genova ha risolto, con ampio richiamo alle decisioni in materia della Suprema Corte, il tema della procedibilità e dei limiti di ammissibilità di una domanda di condanna coltivata nei confronti di una procedura concorsuale e conseguente a una pronuncia di primo grado, non passata in giudicato, emessa prima dell’apertura del concorso. Ancorché il caso riguardi una pronuncia nei confronti di una liquidazione coatta amministrativa bancaria (dove il rinvio alle norme fallimentari è disposto dall’articolo 83 del Tub), la decisione ha portata generale e merita certamente di essere segnalata per la sua chiarezza sistematica.

Il ragionamento si snoda in tre periodi consequenziali:

a) in primo luogo, rileva la Corte, in forza degli articoli 51 e 52 della legge fallimentare(ai quali rinvia l’articolo 201 in tema di liquidazione coatta amministrativa) il «concorso dei creditori sul patrimonio del fallito» implica la inammissibilità, ovvero la improcedibilità di azioni esecutive individuali, non essendovi, invece, nei dettami della legge una generale preclusione all’iniziativa di mero accertamento;

b) vero è, ed è questo il secondo assioma, che il testo post-riforma dell’articolo 96, 2° comma, n. 3 della legge fallimentare, sostitutivo dell’articolo 95, 3° comma, dispone l'ammissione con riserva allo stato passivo dei crediti accertati con sentenza non passata in giudicato prima della dichiarazione di fallimento: con la conseguenza che, se si intende evitare il giudicato, la parte che vi abbia interesse deve proporre impugnazione;

c) su queste premesse, ed ecco lo sviluppo interessante del ragionamento, il giudice si interroga se sia corretto limitare il giudizio di impugnazione alle sole domande di accertamento; e se sia corretto reputare improcedibile ogni domanda che contenga un quid pluris, ad esempio una pronuncia costitutiva perché funzionale alla risoluzione di un contratto. Non essendovi una ragione ostativa, prosegue la Corte, la soluzione in sintonia con il sistema va individuata nel ritenere procedibile nella fase di impugnazione anche una domanda costitutiva già introdotta in primo grado e decisa con sentenza, limitando tuttavia la pronuncia al solo accertamento del credito, suscettibile di determinare la conseguente ammissione allo stato passivo nel rispetto dell’articolo 51 della legge fallimentare, ed astenendosi invece (questo sì) da una inammissibile pronuncia di condanna nei confronti della procedura.

Corte d'appello di Genova – Sentenza 13 maggio 2015 n.650/2015

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