Casi pratici

Ripartizione delle spese proporzionale all'uso del bene comune

di Lina Avigliano

la QUESTIONE
Come si ripartiscono le spese condominiali? Come è tenuto a partecipare alla loro ripartizione il proprietario di un'unità immobiliare facente parte del condominio ma fisicamente separata dal corpus principale dello stabile condominiale?

La ripartizione delle spese condominiali rappresenta un tema di costante attualità e interesse; ciò, evidentemente e come si può ben comprendere, per le implicazioni concrete e di interesse "pratico" che porta con sé. Le presenti riflessioni cercheranno di concentrarsi, dopo un primo esame di carattere più generale della materia dei criteri di ripartizione delle spese condominiali, su un suo possibile risvolto concreto e più circoscritto, quale può essere quello dell'analisi della problematica in parola rispetto alla particolare posizione del condomino che sia proprietario di una unità immobiliare ricompresa nel Condominio ma "fisicamente" separata dal corpo principale dello stabile condominiale. Si cercherà così di rispondere al quesito circa la sussistenza o meno di un obbligo in capo a un condomino di tale genere rispetto alla partecipazione con gli altri condomini alla ripartizione delle spese condominiali.

L'obbligo dei condomini di partecipare alla ripartizione delle spese necessarie alla comunione è tradizionalmente qualificato come obligatio propter rem, con ciò intendendosi l'obbligazione che sia a carico di un soggetto in ragione sola e in virtù della sua mera relazione con il bene, se ne sia proprietario o se vanti su di esso un diritto reale.
Con la stessa automaticità con la quale sorge, così nel caso di trasferimento del diritto reale l'obbligazione cambia titolare passando in capo al nuovo proprietario dell'unità immobiliare.
A riprova di ciò e a titolo esemplificativo, si consideri del resto la circostanza che il condomino è considerato obbligato a concorrere non solo alle spese condominiali maturate nel solo periodo in cui è proprietario dell'unità immobiliare parte del condominio, ma anche a quelle spese che si siano rese necessarie prima della sua effettiva partecipazione al condominio (in dottrina, Branca «Comunione-condominio negli edifici», in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja-Branca).

La disciplina legislativa

Fermo restando che è pur sempre lecito, quale espressione dell'esercizio dell'autonomia privata, un accordo tra i condomini volto a stabilire un criterio valido, inter partes, differente rispetto a quanto prevede la legge e spiegate le conseguenze per i condomini e per i terzi, la norma di riferimento posta dal nostro ordinamento a disciplina della materia della ripartizione delle spese condominiali è rappresentata dal disposto di cui all'art. 1123 c.c., a tenore del quale:

«1. Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.

2. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.

3. Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità».

La ratio della disciplina legislativa appena ricordata e vigente in materia di ripartizione delle spese a carico dei condomini è, in tutta evidenza, ispirata alla necessità e opportunità di ripartire l'obbligo di contribuzione alle spese condominiali a carico dei vari condomini secondo un criterio, oltre che, in via più generale, di proporzionalità rispetto al valore delle singole proprietà, come del resto di norma in materia condominiale e come esplicitato dal comma 1 del citato art. 1123 c.c., di uso e di utilità (commi 2 e 3 dell'art. 1123 c.c.), che tenga cioè conto della eventuale differente intensità, in rapporto alle eventuali circostanze concrete, con cui i condomini fruiscono delle cose e degli impianti comuni.

Ripartizione proporzionale

Come visto, l'art. 1123 c.c. statuisce in primo luogo che le spese condominiali vanno ripartite tra i vari condomini in misura proporzionale al valore che la loro proprietà esclusiva ha rispetto alle parti comuni.

Ciò in considerazione della circostanza che ciascun appartamento ha un valore diverso rispetto all'intero edificio: proprio in ragione di tale diversità, ogni proprietario sarà tenuto a contribuire alle spese condominiali in misura differente rispetto agli altri: è frequente del resto il caso che due appartamenti, anche se situati allo stesso piano di uno stabile, possano poi non avere un costo, in termini di quote condominiali, uguale in ragione della sussistenza di particolari circostanze concrete che giustifichino una differente ripartizione delle spese tra le unità immobiliari in questione.

Preso atto che il criterio legale principale è quello della proporzionalità rispetto al valore della proprietà, vediamo a quali spese esso debba essere applicato. Sempre il primo comma dell'art. 1123 c.c. chiarisce che si dividono in misura proporzionale le spese che concernono la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio, la prestazione dei servizi nell'interesse comune e le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. Rientrano così, esemplificando, in questo elenco le spese relative al compenso dell'amministratore, quelle per il premio dovuto alla compagnia assicurativa per la polizza dello stabile ecc.

Ripartizione secondo l'utilizzo

È evidente, tuttavia, l'esperienza quotidiana ce lo ricorda, che non tutte le cose comuni possano poi essere effettivamente e concretamente destinate a servire i condomini in ugual misura. Può verificarsi, infatti, che, per la particolare conformazione dello stabile in relazione a una singola unità immobiliare, un bene comune venga in concreto utilizzato in misura ridotta dal condomino proprietario di quell'unità in parola rispetto agli altri.In queste circostanze trova allora applicazione, quale criterio ulteriore e suppletivo di ripartizione delle spese, l'art. 1123 secondo comma, per il quale, per l'appunto, come già riportato in precedenza, in caso di utilizzo differente di un bene, le relative spese sono ripartite in misura proporzionale all'uso che ciascuno può farne.La norma citata, per la genericità della sua formulazione, ha però sollevato non poche difficoltà interpretative. Sebbene abbia il pregio di poter essere applicata con riferimento a diverse fattispecie, proprio per la sua formulazione generica non è tuttavia agevole delimitarne i confini applicativi.

Molto spesso, infatti, la particolare conformazione dello stabile può essere tale da creare una effettiva differenziazione delle facoltà d'uso delle parti comuni: è, come accennato, il caso previsto dai citati commi secondo e terzo dell'art. 1123 c.c.

Da qui, evidentemente, la prospettiva del tutto ragionevole di dover prendere atto di come in concreto possa risultare appunto obbiettivamente diversa la relazione tra il singolo condomino e il bene comune in questione.

Si tratta, in ogni caso, va subito puntualizzato, di una valutazione circa la corretta applicazione dell'art. 1123 comma secondo c.c. che dovrà necessariamente essere condotta caso per caso, in considerazione delle specifiche particolarità del caso concreto.

Il rapporto tra i due criteri: proporzionalità e utilizzo

In estrema sintesi, e riassumendo i criteri di ripartizione delle spese enucleati dal Legislatore appena ricordati, una volta presa in considerazione la specifica posizione del singolo condomino rispetto alla spesa da ripartire, la decisione circa l'effettiva ripartizione delle spese andrà presa tenuto conto e contemperando il principio dell'uso (potenziale o effettivo a seconda dell'accezione che si intende dare alla locuzione "uso", come vedremo in seguito) e quello di proporzionalità rispetto al valore della proprietà, facendo ricorso, quindi, alternativamente, o al criterio dell'uso oppure a quello della quota proporzionale rispetto al valore del piano o porzione di piano oppure, infine, ad un criterio misto.

Ciò tuttavia, fermo restando che la giurisprudenza ritiene pur sempre che il "normale" e ordinario criterio di ripartizione delle spese rimanga comunque quello espresso al comma 1 del citato art. 1123 c.c., che si fonda sulla presunzione per la quale la legge, ove non sia possibile enucleare posizioni differenziate, presume le utilità che le cose comuni sono destinate ad apportare alle singole proprietà corrispondenti al valore delle proprietà stesse (Cass. 8 febbraio 1972, n. 475).

Ecco allora la ragione per la quale, se da un esame della situazione concreta la funzione di una parte comune dell'edificio risulta essere quella di servire i condomini in maniera diversa o solo alcune unità nell'ambito del Condominio, soltanto i proprietari di quest'ultime dovranno ragionevolmente intendersi obbligati a contribuire alle spese relative, sia ordinarie che straordinarie: in attuazione, pertanto, di un principio di evidente ragionevolezza, per l'appunto, che deve avere di mira la realizzazione di un rapporto di proporzionalità tra il godimento della cosa e l'onere delle spese che questo rende necessario.

Problemi applicativi ed esempi pratici

L'applicazione concreta di questo principio ha, come anticipato, spesso, portato con sé dei problemi applicativi.

Manutenzione delle scale

A titolo esemplificativo, si consideri il caso, piuttosto frequente nella pratica quotidiana, di quei condomini che ritengono di non dover pagare le spese di pulizia delle scale perché, abitando a piano terra e avendo anche un ingresso indipendente, le usano poco.

La Corte di Cassazione, come vedremo anche in seguito più approfonditamente, è intervenuta però sulla materia in numerose occasioni precisando che ripartire le spese sulla base dell'uso che ciascuno può fare dei beni comuni significa verificare l'oggettiva struttura dell'immobile e la relazione tra l'unità di proprietà esclusiva e il bene o servizio comune cui si riferisce la contribuzione. A nulla vale, pertanto, l'uso soggettivo più o meno intenso fatto dal singolo condomino (Cass. n. 13161 del 1991).

Questo principio, valevole in via generale, trova, sempre a titolo esemplificativo, due specificazioni legislative negli artt. 1124 e 1126 c.c.

In particolare, l'art. 1124 c.c., relativo alle spese per manutenzione e ricostruzione delle scale (applicabile in via analogica anche per le spese ascensore) prevede che: «le scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a cui servono.

La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo.Al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune».

Riparazione del lastrico solare

L'art. 1126 c.c., concernente le spese per la ripartizione del lastrico solare, prevede che: «quando l'uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico; gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno».

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Infine, va ricordato anche, sempre a titolo esemplificativo, il dettato di cui al terzo comma dell'art. 1123 c.c. che regolamenta l'ipotesi del c.d. condominio parziale, ossia di un edificio caratterizzato dalla presenza di parti (es. scale, ascensori, box) fruibili solo da una parte dei condomini.

È il caso di quegli stabili che, per la loro conformazione, hanno più scale, cortili o lastrici solari che non servono l'intero fabbricato ma solo una parte dell'edificio. Il c.d. condominio parziale si configura, secondo il costante l'orientamento giurisprudenziale, "ex lege" tutte le volte in cui un bene risulti, per obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto dell'edificio in condominio, oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene. In questo caso, alle spese relative alla manutenzione partecipano solo gli interessati. In simili ipotesi, è chiaro, oltre che del tutto ragionevole e di buon senso, che il condomino che abita in una scala debba certamente partecipare alle spese di manutenzione di quella parte di stabile; tuttavia è altrettanto logico che non sarebbe corretto imporgli di partecipare alle spese di manutenzione delle altre e diverse scale.

Anche in questo caso, come in tutti quegli altri che riguardano le spese comuni e come ribadiremo anche in seguito, è sempre possibile derogare al dettato normativo disciplinando le spese del c.d. condominio parziale con accordo interno tra i condomini.In tal caso, «le spese relative alla loro (cioè dei beni comuni solo ad alcuni condomini) manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità».

La concreta ripartizione delle spese condominiali: orientamenti consolidati

Da quanto detto deriva, come già accennato, che l'assemblea condominiale (art. 1135 c.c.), in sede di decisione circa la ripartizione delle spese condominiali, dovrà in primo luogo procedere alla individuazione dei condomini interessati a esse e, quindi, prendere in considerazione l'utilità che se ne trae da ciascuno di essi così da, in ultima analisi, stabilire concretamente la misura della loro partecipazione alle spese.

In estrema sintesi, se un condomino non può usare la cosa comune, logicamente non può essere ritenuto tenuto a concorrere nel pagamento delle spese relative al godimento e alla conservazione della cosa medesima.In tal senso vi è del resto un consolidato orientamento, oltre che dottrinale (SaliS, «Il condominio negli edifici», in Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1956; Peretti-Griva, Il condominio delle case divise in parti, Utet, 1960; corona, «Il regime di ripartizione delle spese nel condominio», in Studi economico-giuridici, Giuffrè, 1969; Branca, «Comunione-condominio negli edifici», in Comm. c.c., a cura di Scialoja-Branca; terzaGo, Il condominio, Giuffrè, 2003), anche giurisprudenziale della Suprema Corte: si vedano, tra le tante, Cass. n. 5179/1992; Cass. n. 9833/1991; Cass. n. 8484/1987; Cass. n. 1352/1968.

Il caso specifico del condomino proprietario di un'unità separata dal "corpus" principale condominiale

Venendo al caso pratico oggetto della presente analisi, vale a dire l'analisi della posizione del condomino proprietario di un'unità immobiliare (per esempio un box) fisicamente separata dal corpus principale dello stabile condominiale, deve evidenziarsi come, rispetto a tale soggetto, assumano rilevanza centrale i concetti di uso e utilità: può costui essere chiamato a partecipare alle spese condominiali che si riferiscano a parti comuni di cui non faccia uso e di cui non benefici (si pensi, in caso di condomini con ingressi separati per l'accesso alle abitazioni e ai box, all'ingresso condominiale, all'androne, alla facciata e così via)? Concetti di uso e utilità, tuttavia, suscettibili di essere letti secondo accezioni diverse, a seconda che si ponga l'accento maggiormente sull'esigenza di una loro maggiore concretezza (con riferimento all'uso effettivo e utilità concreta della cosa per i singoli condomini), piuttosto che se li si intenda in termini più astratti, di mera potenzialità.

Orientamento prevalente: l'uso potenzialeIn materia si registra infatti un orientamento prevalente, per il quale i concetti di uso e utilità possono acquisire rilevanza se considerati anche solo in una prospettiva di mera "potenzialità", a prescindere dall'accertamento più mirato in concreto dell'uso effettivo e utilità reale per il singolo condomino.Secondo l'orientamento in parola «la ripartizione delle spese relative alle cose comuni suscettibili di uso in maniera diversa deve avvenire in proporzione all'uso potenziale da parte di ciascun condomino e non all'uso da parte dello stesso svolto in concreto» (Tribunale di Milano n. 13244/2005; Tribunale di Milano 18 novembre 1991 e Tribunale di Milano 4 luglio 1994).Come si vede, l'accento viene dunque posto sul profilo della mera potenzialità dell'uso e dell'utilità che legittimerebbe di per sé l'addebito delle spese condominiali, senza necessità di alcuna verifica in concreto sulle eventuali diverse posizioni dei vari condomini. Del resto, la legge parla di «uso che può farne» (comma 2 dell'art. 1123 c.c.) e non di uso che ciascuno ne fa: trattandosi di spese relative a cose comuni, il riferimento è da aversi allora, secondo questa impostazione, non al godimento effettivo, bensì a quello potenziale; che il condomino, potendo godere della cosa, non la utilizzi per scelte e ragioni sue, non lo esonera dall'obbligo di pagamento delle spese in questione. L'uso di cui parla il Legislatore, all'art. 1123, comma 2, c.c., non è allora quello personale e soggettivo di ogni condomino in relazione al proprio stile di vita. Facciamo un esempio pratico: se un condomino ha il proprio appartamento al primo piano di uno stabile e, per vari motivi, non utilizza l'ascensore, per ciò solo non potrà richiedere una diminuzione della propria quota di spesa in relazione ai costi di gestione dell'impianto. In questo caso, infatti, a rilevare è l'uso potenziale e astratto che ogni singola persona, che abita al primo piano di un edificio, possa fare dell'ascensore e non il fatto che quel determinato condomino per delle proprie scelte personali (e non per dati obiettivi) non usi il bene comune. L'uso di cui parla l'art. 1123, comma 2, c.c. è, dunque, riferito a una minore possibilità di fruizione del bene comune per ragioni strutturali dello stabile condominiale indipendenti dalla volontà del soggetto.

Accertamento "in concreto"

In ogni caso, la decisione circa la ripartizione delle spese condominiali non può comunque prescindere e, anzi, deve senz'altro fondarsi su un accertamento "in concreto" circa l'uso effettivo e l'utilità effettiva che il singolo condomino trae dalla cosa comune.

Significativa sotto questo profilo è la pronuncia del Tribunale di Milano n. 3825/1991, in un caso analogo a quello specifico oggetto delle presenti note, secondo cui «il condomino proprietario di un'unità immobiliare che costituisce corpo di fabbrica autonomo rispetto all'edificio principale (avendo accesso diretto dalla pubblica via) non usufruisce in modo pieno e diretto delle utilità prodotte dalle parti comuni destinate a rendere possibili il godimento delle porzioni comprese nell'edificio principale; pertanto le spese riguardanti la manutenzione di androne, scale e cantine devono essere ripartite non in misura proporzionale al valore delle singole porzioni di piano, bensì in proporzione all'uso che ciascuno può farne».

Ma ancor più significativa è la pronuncia Cass. n. 1255/1995 che ha negato che i proprietari dei box contenuti in un immobile che, benché posto all'interno del perimetro condominiale, era separato dall'edificio con le unità abitative, dovessero concorrere alle spese di manutenzione della facciata di questo edificio; ciò per l'appunto sulla base della considerazione che «l'obbligo di partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione ha il suo fondamento nel collegamento strumentale, materiale o funzionale, e, in altri termini, nella relazione di accessorio a principale, con le singole unità in proprietà individuale dell'immobile, per cui le cose, i servizi e gli impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unità immobiliari di una parte soltanto dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste e non ai proprietari delle unità immobiliari dell'altra parte rispetto alle quali manca quel rapporto di pertinenza che è il presupposto necessario del diritto di comunione.

Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute solo dai proprietari delle unità immobiliari di questa parte e non dagli altri secondo il principio generale del comma 3 dell'art. 1123 c.c.». Nel medesimo solco interpretativo, si veda anche Cass. n. 7077/1995 che «esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, può servire uno o più condomini, possano essere poste anche a carico di questi ultimi».

Il principio di proporzionalità fra spese e uso e utilità di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 1123 c.c. implica quindi che, laddove la possibilità dell'uso o dell'utilità sia esclusa in relazione alla destinazione di quote immobiliari di proprietà esclusiva per ragioni strutturali indipendenti dalla libera scelta del condomino, si deve conseguentemente escludere anche l'onere del condomino medesimo alla contribuzione alle spese relative (Cass. 29 aprile 1992, n. 5179).

Principio che, applicato alla fattispecie più specificamente oggetto della odierna analisi, determina allora che il condomino che sia proprietario di una unità immobiliare fisicamente separata dal corpo principale dello stabile condominiale non debba ragionevolmente essere ritenuto obbligato a partecipare alla ripartizione di spese che ineriscono a parti comuni di cui egli non faccia uso e da cui non tragga utilità.

Il caso tipico dei condomini composti di più fabbricati con entrate separate

Il caso tipico più evidente è quello, ad esempio, di condomini composti di più fabbricati, con entrate separate, all'interno dei quali, sempre a titolo esemplificativo, le spese di rifacimento della facciata o di manutenzione dei muri maestri fanno capo al solo gruppo di condomini che ne ha beneficio, non all'intera comunità (Trib. Catania 22 aprile 1969). Lo stesso valga in caso di spese di riparazione del tetto in condomini che raggruppino più fabbricati distinti; oppure, ancora, in caso di spese relative a lucernari che servono a dare luce e aria all'ultimo piano anziché alle scale o di spese relative ad abbaini che servono a dare luce e aria ai piani sottostanti piuttosto che ad accedere al tetto (Jannuzzi, Il condominio negli edifici, Giuffrè, 1988).

La formulazione generica della norma in parola di cui all'art. 1123, comma 2, c.c. richiede in ogni caso che la valutazione circa la corretta applicazione della disposizione in parola debba essere, lo abbiamo già accennato, fatta caso per caso. Cosicché, laddove il giudice di merito motivi adeguatamente la sua decisione, essa sarà anche insindacabile in sede di giudizio di legittimità (cfr. tra le altre Cass. n. 9263 del 1998).

La derogabilità dei criteri di ripartizione delle spese condominiali

Da ultimo, va altresì evidenziato che i criteri di ripartizione delle spese di cui al citato art. 1123 c.c. non costituiscono in ogni caso principi inderogabili.Resta infatti salva, per espressa previsione legislativa («salvo diversa convenzione»), la possibilità che i condomini, sia pure vincolati ad assumere la decisione all'unanimità, decidano, nell'esercizio della loro autonomia privata, una deroga all'applicazione dei ricordati criteri legislativi in favore di altri criteri di natura convenzionale, efficaci inter partes.

Decisione dei condomini che, si badi, non trova alcun limite quanto al suo contenuto da parte del Legislatore, così che ben può ammettersi la legittimità non solo di una convenzione che si limiti a stabilire una diversa ripartizione delle spese, ma anche una convenzione che preveda l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall'obbligo della partecipazione alle spese (Cass. 5 dicembre 1988, n. 6578; Cass. 16 dicembre 1988, n. 6844).A tal proposito, poiché, nella pratica, può risultare difficile l'adozione di una delibera all'unanimità da parte dei condomini, ci si deve chiedere se la delibera assunta con la sola maggioranza da parte dell'assemblea condominiale relativa alla ripartizione delle spese condominiali con criteri diversi da quelli legali sia da intendersi nulla piuttosto che annullabile. La differenza non è, come di immediata percezione, di scarsa rilevanza: si consideri, infatti, che la delibera annullabile deve essere impugnata nel termine di 30 giorni dall'approvazione della delibera stessa, per i condomini dissenzienti, dalla comunicazione della delibera per i condomini assenti (art. 1137, ultimo comma, c.c.) e a pena di decadenza; al contrario, per impugnare la delibera nulla non è previsto alcun limite di tempo.

La Corte di Cassazione, in più di un'occasione, ha avuto modo di precisare che, tra le delibere aventi a oggetto la ripartizione delle spese comuni, occorre distinguere quelle con le quali sono stabiliti i criteri di ripartizione ai sensi dell'art. 1123 c.c., oppure sono modificati i criteri fissati in precedenza, per le quali è necessario, a pena di nullità, il consenso unanime dei condomini, da quelle con le quali, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall'art. 1135, numero 3, c.c., l'assemblea in concreto ripartisce le spese medesime: solo queste ultime, se adottate in violazione dei criteri già stabiliti, devono considerarsi annullabili e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza di 30 giorni previsto dall'art. 1137, ultimo comma, c.c.; le altre sono da intendersi nulle (Cass. civ. sentenze n. 1455/1995; n. 1213/1993; n. 4851/1988; n. 2301/2001). Sul punto il recente intervento delle Sezioni Unite ha definitivamente chiarito quando la delibera che viola le regole di riparto delle spese è nulla o solo annullabile, enunciando il principio secondo cui sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione da valere, oltre che per il caso concreto, anche per il fututo; mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato (Cass. Sez. Un. 14 aprile 2021, n. 9839).

Considerazioni conclusive

Il tema dei criteri di ripartizione delle spese condominiali assume un interesse pratico evidente laddove si tratti di considerare la posizione specifica di taluni condomini con riferimento alla loro relazione e rapporto rispetto alle parti comuni condominiali alle cui spese di manutenzione e conservazione, sia di carattere ordinario che straordinario, sono chiamati a contribuire.In particolare, di interesse è il disposto di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 1123 c.c. i quali introducono dei criteri di ripartizione delle spese condominiali ulteriori rispetto a quello di portata generale assunto dal comma 1 del medesimo articolo: laddove il comma 1 prevede una partecipazione del condomino alle spese condominiali in proporzione al valore della sua unità immobiliare, i commi 2 e 3 prevedono un criterio di ripartizione ulteriore e diverso, che tiene conto anche del differente uso o della diversa utilità che il bene comune in questione può rivestire per il singolo condomino in ragione di particolari caratteristiche della unità immobiliare di sua proprietà tali da porlo in una posizione differente e differenziata rispetto al generale assetto condominiale. E così si è visto come la giurisprudenza e la dottrina siano giunte a considerare legittima l'esclusione dell'obbligo di partecipazione alle spese condominiali del condomino proprietario di un'unità immobiliare che, per ragioni strutturali non dipendenti dalla sua volontà, si trovi a beneficiare in maniera diversa o, addirittura, a non beneficiare in alcun modo del bene comune interessato dalle spese in questione. Si è infine visto che i principi normativi appena richiamati non costituiscono in ogni caso norme inderogabili, ben potendo piuttosto essere derogati per volontà unanime dei condomini che decidano l'adozione di criteri di ripartizione delle spese diversi.

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