Casi pratici

Sanzioni e interessi con prescrizione breve

L'assetto normativo

di Giancarlo Marzo e Corrado Gallo

la QUESTIONE
Quale disciplina prescrizionale è applicabile alle sanzioni relative alle violazioni tributarie?
Quali sono i termini di prescrizione degli interessi che accedono alle obbligazioni tributarie?


L'art. 20, comma 3, d.lgs. n. 472/1997 dispone che "il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni. L'impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione, che non corre fino alla definizione del procedimento". La norma, sostanzialmente rimasta immutata nel corso del tempo, prevede al primo comma anche un analogo termine di decadenza di cinque anni (i.e. 31 dicembre del quinto anno successivo in cui è avvenuta la violazione o diverso termine previsto per l'accertamento dei singoli tributi). Tale norma, come osservato da dottrina autorevole, rappresenta la norma generale in tema di decadenza e prescrizione delle sanzioni tributarie e dei crediti derivanti dall'irrogazione di sanzioni tributarie. In materia, dunque, il Legislatore ha mantenuto l'impostazione tradizione, già disciplinata dalla L. 7 gennaio 1929, n. 4 (recante la prescrizione quinquennale della riscossione delle "pene pecuniarie"), di fatto riservando una disciplina autonoma alla prescrizione delle sanzioni tributarie, rispetto a quella prevista per i crediti nascenti dal rapporto tributario. Diversamente, il successivo art. 24 d. lgs. cit., rubricato "Riscossione della sanzione", non prevede alcuna espressa disciplina per la prescrizione (o decadenza) dei crediti nascenti da sanzioni, ma dispone unicamente che la riscossione delle sanzioni in fase esecutiva soggiace alle disposizioni in materia di riscossione dei tributi cui la violazione si riferisce.
A differenza delle sanzioni relative a violazioni di natura tributaria, per le quali, come detto, è prevista un'autonoma disciplina speciale nell'ambito dell'ordinamento fiscale, la prescrizione degli interessi accessori alle obbligazioni erariali è regolata dalla normativa civilistica, in particolare, dall'art. 2948, n. 4, c.c., a mente del quale l'obbligazione relativa agli interessi riveste natura autonoma rispetto al debito principale e soggiace al termine di prescrizione quinquennale previsto da tale norma.
La presenza di distinte discipline relative alla prescrizione di sanzioni e interessi che accedono a obbligazioni tributarie, ha costituito terreno fertile per la fioritura di orientamenti giurisprudenziali talora contrastanti. Pomo della discordia, nella maggior parte delle controversie riguardanti gli atti della riscossione, l'applicazione del termine di prescrizione ordinario decennale, in luogo di quello quinquennale, fortemente avallata dall'Amministrazione finanziaria.

La fattispecie al vaglio della Corte di Cassazione
La sentenza n. 2044 in commento esemplifica in maniera chiara gli ultimi approdi di legittimità in materia. Nella pronuncia dello scorso 24 gennaio, infatti, la Suprema Corte ha chiarito le ragioni alla base dell'individuazione della prescrizione della riscossione di interessi e sanzioni nel termine quinquennale dall'iscrizione a ruolo del credito.
Nel caso sottoposto al Giudice di legittimità, il contribuente aveva impugnato un'intimazione di pagamento fondata su nove cartelle esattoriali relative a tributi, deducendo, oltre all'omessa notificazione delle cartelle, altresì, la prescrizione quinquennale dei crediti relativi ai suddetti tributi.
I giudizi di merito si erano conclusi favorevolmente per il contribuente; in particolare, il giudice di secondo grado aveva ritenuto non applicabile, nella fattispecie, la prescrizione ordinaria all'intimazione di pagamento, in assenza di formazione del giudicato, non potendo estendersi alla definitività di un atto della riscossione il principio della conversione delle prescrizioni brevi in prescrizione ordinaria, quest'ultimo proprio dell'actio iudicati.
Contrariamente alla tesi del giudice di appello, ricorrendo per Cassazione, l'Amministrazione finanziaria aveva sostenuto che la prescrizione quinquennale per la riscossione delle sanzioni tributarie fosse applicabile solo agli atti di contestazione e di irrogazione sanzioni. Diversamente, qualora la sanzione fosse stata irrogata contestualmente al tributo, la prescrizione avrebbe dovuto ritenersi decennale.
In richiamo ad alcuni precedenti arresti autorevoli, la Cassazione ha rigettato la tesi erariale osservando, essenzialmente, come la disciplina speciale non consenta distinzioni del genere, fatta eccezione per le sanzioni riscosse in base a pronuncia passata in giudicato, rispetto alle quali, invece, opera il termine di prescrizione ordinario decennale.

La posizione della Corte sulle sanzioni
Nella pronuncia in commento, la Cassazione ha dapprima premesso che la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non modifica il termine di prescrizione del credito oggetto della cartella che, ove non assoggettato a prescrizione breve, rimane quello prescrizionale ordinario,
Ciò posto, riguardo al "profilo sanzionatorio", gli ermellini hanno poi precisato che, secondo giurisprudenza costante, in caso di notifica di cartella esattoriale avente ad oggetto crediti per sanzioni non fondata su una sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione entro il quale va fatta valere l'obbligazione tributaria per sanzioni è quello quinquennale previsto dall'art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 (cfr., Cass., Sez. VI, 8 marzo 2022, n. 7486; Cass., Sez. VI, Cass., Sez. V, 22 luglio 2011, n. 16099), decorrendo la prescrizione dall'iscrizione a ruolo del credito, ovverosia, "dall'emissione dell'atto di irrogazione della (allora) soprattassa".
Detto principio, sottolinea la Corte, è stato avallato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 23397 del 2016 ove si è evidenziato che le sanzioni soggette a prescrizione quinquennale, possono tutt'al più beneficiare dell'effetto dell'allungamento delle prescrizioni brevi in forza dell'actio iudicati ai termini dell'art. 2953 cod. civ.. Tale enunciato, pacificamente radicato in seno alla Cassazione, sottintende l'esaustività della disciplina speciale prescrizionale di cui all'art. 20 d. lgs. n. 472/1997, stante il carattere speciale dell'illecito tributario.
Vieppiù, sottolinea la Corte al riguardo, che tale specialità è stata ritenuta conforme all'ordinamento contabile nazionale, attesa la maggiore garanzia offerta rispetto alla disciplina sancita dal diritto comune. Più nello specifico, come già osservato in taluni arresti (ex multis, SS.UU., sent. n. 25790 del 2009), la disciplina prescrizionale speciale "trova fondamento nei vincoli di competenza del bilancio della Stato, in forza dei quali l'amministrazione finanziaria deve potere, almeno per grandi linee, programmare e prevedere per ciascun anno il gettito fiscale ed i tempi della riscossione, tenendo conto anche delle proprie risorse di uomini e mezzi (bilancio di previsione)". Di converso, evidenzia la Corte, la generalizzata durata quinquennale obbedisce anche a esigenze di certezza e di tutela del contribuente, in ordine ai tempi di irrogazione della sanzione stessa.
A suggerire l'integrità di tale assunto sovviene, altresì, l'interpretazione fornita dall'Amministrazione nella Circolare del Ministero delle Finanze del 10 luglio 1998 n. 180, secondo cui il diritto alla riscossione delle sanzioni, quali che siano gli atti di contestazione o di irrogazione, si prescrive nel termine di cinque anni. Tale regime generalizzato, dunque, non può limitarsi alle sole sanzioni non contestuali all'atto impositivo, ma rappresenta principio generale dell'ordinamento.

…e sugli interessi
L'attenzione della Corte si è poi rivolta alle argomentazioni sollevate dall'Amministrazione riguardo alla disciplina prescrizionale applicabile agli interessi. Al riguardo, la ricorrente ha richiesto una rivisitazione dell'indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, la prescrizione degli interessi che accedono a obbligazioni tributarie è regolata da una norma di diritto comune, l'art. 2948, n. 4, cod. civ., per cui l'obbligazione relativa agli interessi riveste natura autonoma rispetto al debito principale e soggiace al generalizzato termine di prescrizione quinquennale fissato dalla norma.
La doglianza sollevata dall'Erario, in specie, attiene alla frammentarietà della disciplina tributaria in materia di interessi, rispetto a quella di diritto comune, attesa la presenza di diverse categorie di interessi, quali, ad esempio, gli interessi da ritardato pagamento delle imposte sino alla consegna dei ruoli (art. 20 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), gli interessi di mora per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo decorrenti dalla notifica della cartella (art. 30 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602) o, ancora, gli interessi di mora in materia di imposta di registro (art. 55, comma 4, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
In sostanza, secondo l'Amministrazione, ove i tributi siano soggetti alla prescrizione ordinaria (come i tributi erariali), anche l'obbligazione degli interessi dovrebbe essere assoggettata alla medesima disciplina prescrizionale.
Ebbene, nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto poco convincenti gli assunti erariali o almeno, non sufficientemente validi da per poter innescare un cambio di rotta in materia.
Al riguardo, la sentenza in commento ha chiarito che, a differenza delle sanzioni relative a violazioni tributarie, per le quali, si è detto sopra, sussiste una disciplina speciale in ambito tributario, la prescrizione degli interessi che accedono a obbligazioni tributarie soggiace – secondo la giurisprudenza di legittimità maggioritaria – ad una norma di diritto comune quale l'art. 2948, n. 4, cod. civ., che prevede un termine di prescrizione quinquennale per l'obbligazione relativa agli interessi (in tal senso, la Corte richiama i precedenti arresti, tra cui, i più recenti: Cass., Sez. VI, 14 settembre 2022, n. 27055; Cass., Sez. VI, 28 aprile 2022, n. 13258; Cass., Sez. VI, 8 marzo 2022, n. 7486; Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2022, n. 1980; Cass., Sez. V, 3 ottobre 2021, n. 31283; Cass., Sez. V, 15 ottobre 2020, n. 22351; Cass., Sez. V, 10 luglio 2020, n. 20955; Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30901).
La norma civilistica, in particolare, prevede che si prescrivano in cinque anni "gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi". È chiaro, dunque, che tale disposizione sia speciale rispetto alla prescrizione della sorte capitale ed applicabile ad ogni categoria di interessi.
A ciò si aggiunga, inoltre, che la rilevanza di una disciplina unitaria della prescrizione dell'obbligazione di interessi appare significativa anche in considerazione del fatto che il codice civile contiene diverse categorie di interessi quali, gli interessi corrispettivi, gli interessi moratori e gli interessi compensativi. Analoga impostazione, precisa la Corte, si rinviene in materia di collocazione nel grado ipotecario; l'art. 2855, comma 2, c.c., infatti, prevede che la collocazione privilegiata ipotecaria operi "qualunque sia la specie di ipoteca", collocando nello stesso grado gli "interessi dovuti".
Per cui, deve ritenersi che il Legislatore abbia sempre consapevolmente adottato una disciplina unitaria della prescrizione dell'obbligazione di interessi, applicabile alle diverse categorie di interessi, indipendentemente dalla fonte e dalla natura degli stessi. Tale scelta, ricordano i giudici, ha origini assai risalenti nel tempo, in quanto connessa all'esigenza degli antichi codificatori di "sganciare la riscossione dell'obbligazione «accessoria» degli interessi da quella del capitale".
In definitiva, secondo la Cassazione, la maturazione deli interessi fa sì che questi vadano a costituire un'obbligazione autonoma, rimanendo indipendenti dall'obbligazione principale dalla quale sono sorti, per cui sono suscettibili "di autonome vicende rispetto all'obbligazione tributaria configurata a carico del contribuente" (sul punto, Cass., Sez. U., 14 luglio 2022, n. 22281).
Da qui, la conseguenza che il termine prescrizionale è quello quinquennale stabilito dall'art. 2948 cit. il quale prescinde sia dalla tipologia degli interessi, sia dalla natura dell'obbligazione principale.

Considerazioni conclusive
Pur senza innovare in maniera incisiva il quadro giurisprudenziale in materia, la pronuncia in commento pare aver dato definitiva composizione alla questione. I principi enunciati dalla Corte non prestano il fianco ad alcuna obiezione ma, al contrario, risultano inconfutabili e definiscono minuziosamente i contorni di una vicenda che ancora oggi vede contrapporsi erario e contribuente all'interno delle aule di giustizia tributaria. Sebbene articolata, dunque, la sentenza in commento ha scandagliato in maniera chiara le ragioni alla base dell'individuazione della prescrizione della riscossione degli interessi e delle sanzioni nel termine quinquennale dall'iscrizione a ruolo del credito, precisando che le argomentazioni addotte dall'Amministrazione finanziaria difficilmente potranno condurre ad un repentino cambio di rotta in materia.