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La tassazione dei compensi reversibili

La fiscalità dei compensi riversati nel contesto domestico e internazionale, la tassazione in presenza di Convenzioni

di Tommaso Landi*


Un particolare sistema di remunerazione dell'opera svolta da un Amministratore in una determinata società A può consistere nel versare il compenso al soggetto giuridico, società B, per conto del quale l'Amministratore svolge funzioni di amministrazione della società A.

1. Condizioni necessarie

Affinché la fattispecie in oggetto sia legittima è necessario che l'Amministratore prescelto sia lavoratore subordinato della società B.
La società che eroga l'emolumento (anche società controllata o società A), deve assegnarlo direttamente alla società datrice di lavoro dell'Amministratore (anche società controllante o società B), la cui opera viene remunerata.
Ai fini della rilevanza fiscale della remunerazione reversibile è, anche, indispensabile il rispetto di una serie di formalità di seguito elencate:
•Accordo scritto tra la società controllante e l'Amministratore, dal quale risulti l'obbligo della reversibilità del suo emolumento;
•Accordo scritto tra la società Controllata e la Controllante circa l'ammontare del compenso dell'Amministratore da versare direttamente alla Controllante. Dall'accordo si deve evincere che il pagamento effettuato direttamente alla Controllante sia liberatorio per la Controllata;
• Contratto di lavoro subordinato in essere tra la controllante e l'Amministratore della controllata;
• Comunicazione formale e scritta, da parte della Controllante alla Controllata, dell'esistenza dell'accordo con l'Amministratore,
•Documentazione dell'effettivo pagamento del compenso reversibile direttamente alla Controllante;
• Delibera assembleare della società Controllata di attribuzione del compenso al soggetto controllante invece che all'Amministratore.
Presenti tali presupposti e data per assodata, ad esempio, la possibilità che l'Amministratore possa svolgere profittevolmente per la Controllata:
•funzioni di coordinamento delle strategie;
•analisi dei numeri e predisposizione dei relativi budget;
• analisi dei risultati mensili con correzioni da apportare alle strategie in atto;
•visite ai principali clienti e/o possibili clienti nel mondo del contract e/o del lusso, per cui la sua personale presenza risulta essenziale;
• coordinamento con le altre filiale,
non si vedono preclusioni alla possibilità di adottare una forma di retribuzione definita compenso riversato.
Considerando, però, il fatto che l'erogazione, potrebbe aver luogo verso un soggetto giuridico non residente sarà necessario, di seguito, analizzare il trattamento fiscale di tale compenso in un caso del genere, il seguito scritto, quindi, si articolerà come segue:
•Breve analisi della fiscalità dei compensi riversati in un contesto domestico, utile per inquadrare i principi generali da calare nel caso in oggetto;
•Analisi della fiscalità nel contesto internazionale con speciale attenzione al coordinamento tra le norme italiane e le norme convenzionali.

2. La fiscalità dei compensi riversati nel contesto domestico

Al fine di inquadrare in modo corretto la problematica, il riferimento normativo è l'art. 50, comma 1, lettera b), del Tuir (D.P.R. 917/86), il quale recita:
‘‘sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità, ad esclusione di quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro e di quelli che per legge debbono essere riversati allo Stato''.
Quanto precede consente di affermare che le somme in questione (emolumenti corrisposti ad un Amministratore, ma riversati al soggetto con il quale egli intrattiene un rapporto di lavoro subordinato) non possono essere qualificate come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente.
Una condizione necessaria per qualificare un compenso come riversato è la circostanza secondo la quale il reddito in questione non deve entrare nella disponibilità dell'Amministratore, stante l'impegno contrattuale al riversamento sottostante al rapporto.
Inoltre, sempre all'art. 50, comma 1, lettera c-bis del Tuir, vengono esaminati i redditi conseguiti in relazione all'ufficio di Amministratore.
La circ. n. 326/E del 23 dicembre 1997 (ma la prassi si è pronunciata più volter sulla questione, vedi R.M. 17 maggio 1977, n. 8/166 - R.M. 15 Febbraio 1980, n.8/196 – C.M. 23 Dicembre 1997 n. 326/E), al punto n. 2.2.5, prende in considerazione i compensi reversibili, e afferma che i compensi reversibili di cui alle lettere b) ed f) del comma 1 dell'art. 47 del Tuir (ora art. 50), non devono essere compresi nelle somme da assoggettare a tassazione.
Al riguardo si ricorda che la richiamata lettera b) qualifica reddito assimilato a quello di lavoro dipendente le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità e precisa espressamente che sono esclusi quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro e quelli che per legge devono essere riversati allo Stato.
La citata lettera f), invece, qualifica redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente: le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni ed esclude espressamente quelli che per legge devono essere riversati allo Stato.
La disposizione in esame ha evidentemente lo scopo di chiarire espressamente che i compensi reversibili in questione non solo non costituiscono reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, come risulta dal tenore letterale delle norme richiamate, ma non devono essere assoggettati a tassazione neanche quali redditi di lavoro dipendente, in quanto sono imputati direttamente al soggetto al quale, per legge o clausola contrattuale (per quelli della lettera b) o soltanto per legge (per quelli della lettera f), devono essere riversati.
È appena il caso di precisare, pertanto, che detti compensi, in ambito domestico, devono essere esclusi anche dall'applicazione della ritenuta a titolo di acconto.

In definitiva manca il presupposto di cui all'art. 1 del Tuir: il possesso del reddito.

Non si può, infatti, configurare quale reddito imponibile di un soggetto un importo di cui il medesimo non ottenga la disponibilità stante l'obbligo contrattuale della sua reversibilità: è proprio il contenuto già riportato dell'art. 50, comma 1, lettera b) che di fatto sancisce il non possesso del reddito in capo al soggetto persona fisica obbligato, per contratto o per disposizione di legge, a riversare il compenso.

3. Individuazione della tipologia reddituale

A questo punto ci si domanda quale sia la qualificazione da attribuire al reddito in esame in ambito domestico.
L'AIDC (Associazione Italiana Dottori Commercialisti), con la norma di comportamento n. 169 ha statuito quanto segue, in materia di compensi reversibili attributi agli Amministratori:
•costo per il soggetto (impresa) che li eroga: deducibile per competenza. Il compenso è attribuito contrattualmente ad un soggetto titolare di reddito di impresa, e quindi non trova applicazione il criterio di cassa;
•ricavo per il soggetto (impresa) che li percepisce: per competenza.
Chiariti questi principi di massima, passiamo ad analizzare la fiscalità in un contesto internazionale, premettendo sin da subito, al fine di dare coerenza al presente lavoro, la necessità di analizzare prima un contesto internazionale non convenzionale, per poi passare ad un contesto internazionale regolato da convenzioni, fattispecie integrata nel caso che ci occupa, esistendo tra Italia e Svizzera una convenzione contro le doppie imposizioni.

4. La fiscalità in un contesto internazionale

Una corretta ed esaustiva disamina della problematica, qualora da uno scenario domestico si passi ad un contesto internazionale come quello in oggetto, deve prendere in considerazione i seguenti elementi:
•la normativa italiana, con riferimento ai redditi prodotti in Italia da soggetti non residenti;
• le Convenzioni (se presenti).

4.1. La normativa italiana da applicare in assenza di convenzioni

La norma da prendere in considerazione è l'art. 23 del Tuir, in particolare, nella parte in cui disciplina:
•il reddito assimilato al lavoro dipendente (Comma 1, lettera c), e comma 2, lettera b);
• il reddito di impresa realizzato per il tramite di una stabile organizzazione (Comma 1, lettera e);
•i compensi percepiti da imprese non residenti, a fronte di prestazioni artistiche o professionali effettuate per loro conto nel territorio italiano (Comma 2, lettera d)

Iniziamo ad esaminare i redditi assimilati al lavoro dipendente.
Il comma 1, lettera c) art. 23 del Tuir, afferma che si considerano redditi prodotti in Italia ‘‘i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato, compresi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 50'':
•in primo luogo il riferimento è al lavoro (dipendente od assimilato) prestato nel territorio italiano;
•quindi la norma non si riferisce ai compensi riversati, dato che non sono considerati redditi assimilati al lavoro dipendente.

Successivamente il comma 2, lettera b) art. 23 del Tuir, afferma che: ‘‘Indipendentemente dalle condizioni di cui alle lettere c), d), e) e f) del comma 1 si considerano prodotti nel territorio dello Stato, se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti:
[...]
b) i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui alle lettere c), c-bis), f), h), h-bis), i) e l) del comma 1 dell'articolo 50''.

In sintesi si afferma che, a prescindere ad esempio dal luogo in cui la prestazione è effettuata, comunque si considerano realizzati in Italia, con le conseguenze fiscali che ne derivano, i redditi di Amministratore, in quanto assimilati al reddito di lavoro dipendente.

Occorre, a questo punto, rispondere alla seguente domanda: il riferimento fatto ai redditi assimilati include anche i redditi riversati?

Come si è affermato in precedenza, il riferimento all'art. 50 comma 1, lettera b) del TUIR, non sembra includere i compensi riversati, stante che i medesimi non sono tali per definizione normativa. Alla medesima conclusione si potrebbe pervenire dal combinato disposto dell'art. 23, comma 2, lettera b) e dell'art. 50, comma 1, lettera c-bis).
In quest'ultimo caso, infatti, solo i redditi assimilati e rimasti tali (esempio: compensi agli Amministratori non riversati) sono tassati in Italia a prescindere dal luogo in cui l'attività è prestata.

Stante la validità delle riflessioni di cui sopra, in assenza di convenzioni, i compensi riversati erogati a soggetti (imprese) non residenti non sono tassabili in Italia.

Conclusione che rimane valida anche analizzando le seguenti due casistiche, calate nel caso in esame:
Redditi di impresa realizzati mediante stabili organizzazioni.
La lettera e) dell'art. 23, comma 1, afferma che si considerano prodotti nel territorio dello stato italiano, e sono quindi ivi tassabili, i redditi di impresa derivanti da attività esercitate nel territorio mediante stabili organizzazioni.
Nel caso in esame questa condizione non è soddisfatta, non verificandosi l'emersione di una stabile organizzazione imputabile all'Amministratore "reverso-retribuito".
Redditi di natura professionale.
Dato che la lettera d) dell'art. 23, comma 2, fa riferimento ai redditi di natura professionale conseguiti nel territorio italiano da imprese, società ed enti non residenti, è necessario verificare se il medesimo può concernere il caso in esame.
Se si ritiene che la prestazione, in senso oggettivo, sia una prestazione professionale di lavoro autonomo, si deve, infatti, prescindere, per la tassazione, dalla natura del reddito conseguito dal soggetto non residente: per presunzione assoluta la prestazione è soggetta alla ritenuta di cui all'art. 25, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, per l'appunto quello che tratta il lavoro autonomo.
L'accoglimento di questa tesi giustificherebbe, in un contesto non convenzionale, la tassazione in Italia, coerentemente all'art. 23, comma 2, lettera d) (Ovviamente in ambito convenzionale è necessario fare riferimento alla specifica Convenzione prevista), e l'assoggettamento a tassazione in Italia prescinderebbe dal fatto che esista o meno sul territorio una stabile organizzazione.
Ricollegandoci però a quanto detto in precedenza si giunge alla conclusione che il comma 2 dell'art. 23, lettera d), non concerne il caso in esame, limitando la propria sfera applicativa ai redditi di lavoro autonomo, redditi tra i quali non può essere catalogato il reddito corrisposto ad amministratori e riversato.
In caso di compenso corrisposto ad un amministratore riversato si perviene, in definitiva, alla conclusione che i redditi derivanti dai compensi reversibili non subiscono in Italia tassazione alcuna:
•sia in quanto sono stati esclusi dalla normativa interna dall'essere assimilati al reddito di lavoro dipendente;
• sia in quanto, pur essendo reddito di impresa, il medesimo non è stato realizzato per il tramite di una stabile organizzazione.
Da questa considerazione consegue il seguente effetto: sulla base della normativa domestica, ed in assenza di Convenzione, nessuna ritenuta sarebbe da operare sui compensi contrattualmente da riversare a soggetti non residenti, non essendo i medesimi tassabili in Italia in quanto i redditi in questione sono riqualificati come redditi di impresa, fuori quindi dal perimetro di cui all'art. 23 del TUIR per mancanza di stabile organizzazione in Italia.
Passiamo, infine, ad analizzare la fattispecie che preveda la presenza di convenzioni.

5. Tassazione in presenza di Convenzioni

Differente potrebbe essere lo scenario convenzionale, dato che le regole in questione occupano gerarchicamente una posizione prioritaria rispetto alle norme interne.

Detto ciò è necessario tenere anche in considerazione il contenuto di cui all'art. 169 del Tuir, il quale stabilisce che se una norma del Tuir è più favorevole al contribuente rispetto all'esito convenzionale, è la prima a trovare applicazione.
La domanda alla quale, quindi, occorre dare una risposta è la seguente: la qualifica di reddito di impresa, sicuramente corretta dal punto di vista domestico e molto probabilmente corretta in un contesto internazionale non convenzionale, grazie alla quale si può escludere l'assoggettamento alla ritenuta in uscita del compenso riversato, è altrettanto valida in un contesto convenzionale?

Calando la domanda nel ad esempio in un caso in cui la società straniera sia svizzera gli articoli della Convenzione Italia-Svizzera, che vanno presi in considerazione sono i seguenti:
•art. 7: Utili delle imprese;
•art. 16: Dirigenti di società e membri dei consigli di amministrazione o dei collegi sindacali;
•art. 21: Altri redditi;

5.1. Utili delle imprese

In primo luogo il riferimento va fatto all'art. 7 della Convenzione, che tratta gli utili delle imprese non residenti.
Essi possono essere tassati in Italia solo se conseguiti da una stabile organizzazione ivi localizzata del soggetto non residente, principio coerente con quanto statuito all'art. 23, comma 1, lett. e), del Tuir.
Qualora il soggetto non residente, pur non avendo in Italia una stabile organizzazione, consegua degli utili, si rende però necessario verificare, sulla base del comma 7 dell'art. 7 della Convenzione, se il reddito in questione rientra nelle categorie trattate isolatamente in un altro articolo della Convenzione stessa.
Nel caso in esempio il possibile rinvio potrebbe essere fatto all'art. 16 della Convenzione, che per l'appunto è deputato a trattare i compensi erogati agli Amministratori.
Dato che la normativa interna, però, qualifica tali redditi come redditi di impresa, occorre anche verificare, come vedremo, se sia corretto il riferimento al comma 1 dell'art. 7 della Convenzione, il quale afferma che i profitti realizzati da una impresa sono tassabili solo nel luogo in cui la stessa è residente (a meno che non siano realizzati per il tramite di una stabile organizzazione).

5.2. Compensi in questione e articolo 16 della Convenzione riferito ai compensi erogati a dirigenti di società e membri di cda o di collegi sindacali

Due sono gli scenari possibili:
1) il reddito in esame non rientra nella categoria dei compensi agli amministratori, trattata isolatamente dall'art. 16 della convenzione, stante il fatto che permane la qualifica di reddito d'impresa conseguito in ambito domestico e quindi:
• non è assoggettato a tassazione se non vi è in Italia la stabile organizzazione,
• è assoggettata a tassazione nel caso di presenza della stabile organizzazione;
oppure,
2) il reddito in esame, nel contesto convenzionale, rientra nella categoria dei compensi agli amministratori (art. 16 della Convenzione). Se si appurasse ciò, però, si solleverebbe un ulteriore dubbio: è corretto individuare nel soggetto societario, al quale il compenso è riversato, le funzioni di direzione o di gestione in una società residente in Italia? Le funzioni in questione non sono di fatto esercitate dall'Amministratore persona fisica residente all'estero? Se fosse così, la norma non potrebbe essere riferita ad un soggetto societario al quale semplicemente vengono riversati i compensi, mentre potrebbe, invece, riferirsi ad un Amministratore ‘‘società'', al quale ovviamente potrebbe competere la funzione di direzione o di gestione.
Da questa doppia possibilità (caso 1 e caso 2), scaturiscono effetti diversi:
•nel primo caso non si ha in Italia tassazione alcuna, stante il fatto che il soggetto non residente (l'Amministratore) non ha in Italia una stabile organizzazione, veicolo tramite il quale si configura sul nostro territorio una base imponibile
•viceversa nel secondo caso:
-- si ha la tassazione in Italia, concorrente con quella all'estero, se il testo convenzionale non limita il diritto impositivo dell'Italia;
--non si ha la tassazione in Italia se il testo convenzionale limita il diritto impositivo dell'Italia.
Nel caso in cui si accettasse l'assoggettamento a tassazione in Italia dei compensi agli Amministratori riversati, ci si dovrebbe domandare, infine, se il ricorso al richiamato art. 169 del Tuir potrebbe essere invocato, con l'intento di riservare un trattamento più favorevole al contribuente.
Occorre infatti considerare che, in effetti, il vero soggetto colpito da tassazione non sarebbe il contribuente italiano, bensì il soggetto non residente.
Nel caso in cui il Paese del soggetto percettore degli emolumenti riversati disconosca la recuperabilità della ritenuta operata in Italia, il potere di invocare il citato articolo 169 potrebbe effettivamente essere più favorevole, eliminando una doppia tassazione giuridica: come in un contesto domestico la ritenuta non è applicabile, così lo sarebbe in un contesto internazionale convenzionale o meno.
Per completezza si tratterà, di seguito, anche l'ipotesi in cui il compenso si ipotizzi rientrare nella generica categoria "altri redditi".

5.3. Altri redditi

L'art. 21 della Convenzione, infine, stabilisce che, qualora il reddito conseguito da un soggetto non residente non sia collocabile in nessuna delle categorie reddituali trattate nel testo convenzionale, il reddito in questione è tassabile solo nello Stato di sua residenza.
Potrebbe argomentarsi, quindi, che, in effetti, l'attività di amministratore è una attività professionale svolta in modo continuativo, ed il ricorso all'art. 21, norma residuale, potrebbe essere giustificato dal fatto che:
•il reddito in questione, in ambito domestico, è qualificato come reddito d'impresa;
• in ambito internazionale non convenzionale, rimarrebbe reddito di impresa;
• in ambito convenzionale potrebbe non mutare la sua qualifica di reddito di impresa;
• quindi tale reddito non rientrerebbe né nel perimetro di cui all'art. 7, né in una delle categorie residuali (art. 16), e quindi l'articolo convenzionale che regolerebbe il suo trattamento sarebbe l'art. 21.
Applicando, quindi, il contenuto dell'art. 21 all'esame della problematica in oggetto, si potrebbe pervenire alla seguente conclusione: gli elementi di reddito di qualsiasi provenienza di un residente di uno Stato, non trattati negli altri articoli della presente Convenzione, sono imponibili soltanto in quello Stato.

Ne deriverebbe, anche in questo caso, che nessuna tassazione sarebbe applicabile in Italia.

Ciò premesso, però, appare sconsigliabile invocare la non tassazione in Italia in forza dell'art. 21 della convenzione poiché:
•in riferimento alla normativa dello Stato estero di residenza del percettore è sempre molto complessa l'individuazione delle categorie reddituali qualificabili come redditi diversi o altri redditi;
• in riferimento alla norma di diritto interno, l'art. 67 del Tuir permette di affermare che i redditi oggetto di questa analisi non rientrano tra quelli in esso elencati.

6. Conclusioni

Se ci si limita all'esame della problematica in un contesto domestico o internazionale non convenzionale, sembrerebbe essere acquisita la definizione di questo reddito (emolumenti riversati) come reddito d'impresa, con le conseguenze fiscali sopra illustrate.
Ciò che, invece, risulta più problematica è la qualificazione reddituale in uno scenario internazionale convenzionale, presentando, tale fattispecie, dei margini di incertezza.
Tali incertezze sussistono, infatti, stante il fatto che il reddito qualificato in Italia quale reddito di impresa, potrebbe mantenere la sua qualifica anche all'estero e, quindi, rientrare nel perimetro di cui all'art. 7 primo capoverso.
Se tale interpretazione fosse corretta, nessuna tassazione potrebbe avere luogo in Italia, circostanza confermata dalla CTP Milano, con la lucida quanto isolata Sentenza n. 6357/2017.
Tutto ciò premesso, però, una interpretazione più prudenziale, se il compenso è percepito da una società non residente e non è relativo a una stabile organizzazione in Italia, prevede l'applicazione della ritenuta a titolo d'imposta di cui all'art. 24, comma 1-ter, del D.P.R. n. 600/1973.
Occorre, infatti, tenere presente che la posizione del Fisco Italiano è quella secondo cui, in base all'art. 23, comma 2, lett. b), del Tuir, tali compensi sono soggetti a tassazione in Italia anche se conseguiti nell'esercizio d'impresa, dovendosi prescindere dal contenuto dell'art. 23, comma 1, lett. e), dello stesso articolo.
Sempre secondo il Fisco Italiano, la convenzione stipulata dall'Italia, ad esempio, con la Svizzera non potrebbe portare a diversa conclusione, l'art. 7, comma 7, del Modello OCSE adottato per la convezione italo-svizzera, infatti, dispone che, se un'impresa non residente consegue redditi previsti da altre disposizioni del trattato, queste disposizioni non vengono modificate da quelle relative agli "utili delle imprese".
Non sarebbe quindi possibile sottrarre a tassazione in Italia redditi ivi tassabili secondo specifiche disposizioni del trattato, in base alla considerazione che si tratta di redditi conseguiti da imprese non residenti prive di stabile organizzazione in Italia.

In conclusione, ove il gruppo, o comunque il soggetto beneficiario non residente, non subisca una doppia imposizione, il contribuente italiano avrà la convenienza ad operare la ritenuta in quanto, di fatto, la medesima sarà poi recuperata all'estero, non determinando un doppio costo fiscale.
Ove invece, sempre nell'ipotesi di un rapporto italo-svizzero il gruppo subisca una doppia tassazione, problema che si potrebbe presentare se la Svizzera, Stato estero di residenza del soggetto datore di lavoro e beneficiario dei redditi, non riconoscesse il recupero delle imposte corrisposte in Italia (ritenuta del 30%) sulla base dell'affermazione che i redditi in questione, a suo avviso, non sarebbero tassabili in Italia, perché considerati redditi di impresa, sarebbe opportuno fare una riflessione sulla scelta di non operare la ritenuta in Italia, ed eventualmente difendersi in un contenzioso nazionale, valutando anche l'attivazione della procedura di composizione amichevole delle controversie internazionali.

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*A cura dell'avv. Tommaso Landi, Studio Legale Landi, Partner 24 ORE Avvocati

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