Penale

Aggravamento della misura cautelare nullo senza traduzione per l’imputato alloglotto

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 14657/2024, accogliendo il ricorso di un cittadino onduregno contro l’ordinanza che disponeva il passaggio dagli arresti domiciliari al carcere e facendo un passo avanti rispetto alla informazione provvisoria n. 15/23

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di Francesco Machina Grifeo

L’ordinanza di aggravamento di una misura cautelare personale nei confronti di imputato alloglotto, che non abbia conoscenza della lingua italiana, deve essere tradotta in una lingua a lui nota a pena di nullità, in quanto incide sensibilmente sulla libertà personale. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 14657/2024, accogliendo il ricorso di un cittadino onduregno contro l’ordinanza che disponeva il passaggio dagli arresti domiciliari al carcere.

Nel ricorso, l’imputato aveva dedotto di non conoscere l’italiano e di aver necessità di un interprete di lingua spagnola. Al contrario, il provvedimento di aggravamento della misura non gli era stato tradotto. A supporto della tesi richiamava una decisione delle Sezioni unite.

Per la Seconda sezione penale il ricorso è fondato. La decisione ricorda che sul tema della traduzione dei provvedimenti giurisdizionali si è pronunciata di recente la Cassazione “nella sua più autorevole composizione (udienza del 26/10/2023)”, e “sebbene ad oggi la motivazione non sia stata ancora depositata, dalla informazione provvisoria n. 15-23 risulta che è stato affermato il principio di diritto secondo il quale, qualora dagli atti sia già emerso che l’imputato o l’indagato non conoscano la lingua italiana, l’omessa traduzione dell’ordinanza di custodia cautelare personale ne determina la nullità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen.”.

Così, tornando al caso di specie, dagli atti del procedimento “risulta evidente” la mancata conoscenza della lingua italiana da parte del ricorrente, considerato che nel verbale di arresto si dava atto che “necessita interprete di lingua spagnola”. Inoltre, all’udienza di convalida era presente l’interprete di lingua spagnola, che provvedeva a tradurre oralmente l’ordinanza cautelare. Quanto poi alla rinuncia del ricorrente alla traduzione scritta degli atti del procedimento, la Corte precisa che questo “non implichi la rinuncia anche alla traduzione orale”.

Vi è stata dunque la violazione dell’art. 143 cod. proc. pen. e la conseguente nullità dell’ordinanza di aggravamento della misura cautelare, a norma dell’art. 178, comma 1, lett. c), con riferimento alla sua omessa traduzione. Del resto, argomenta le decisione, l’art. 143, comma 2, cod. proc. pen. (nel testo attualmente vigente come modificato dal Dlgs n. 32 del 2014 in attuazione della direttiva 2010/64/UE) indica espressamente nel novero degli atti di cui l’autorità giudiziaria deve disporre la traduzione scritta entro un termine congruo per l’esercizio dei diritti di difesa «i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali». E allora, “evidenti ragioni di analogia in bonam partem ”, considerata l’identica incidenza sulla libertà personale dell’interessato, impongono di ricomprendere sotto l’àmbito di operatività di tale regola anche i provvedimenti che - come quello impugnato - aggravano la misura cautelare, posto che hanno sensibili ricadute sulla libertà personale”.

In conclusione, l’ordinanza di aggravamento della misura cautelare andava tradotta, almeno oralmente. La Corte ha così deciso per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e di quella di aggravamento della misura cautelare pronunciata dal Tribunale di Roma, “con il conseguente ripristino della misura cautelare degli arresti domiciliari”.

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