Alzheimer, la casa di riposo risarcisce se l’ospite “scappa” e muore per assideramento
Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza n. 26320 depositata oggi, sottolineando il perfezionamento di un “contratto atipico di spedalità”
La casa di riposo è responsabile per la morte dell’ospite, affetto da demenza senile, deceduto per assideramento dopo essersi allontanato dalla struttura. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 26320 depositata oggi, affermando che non hanno valore, ai fini risarcitori, i diversi regolamenti interni, né la dichiarazione della “parziale autosufficienza” fatta dalla figlia al momento dell’ingresso.
Il caso – Una donna anziana, riconosciuta invalida al 100%, perché affetta da demenza senile con gravi turbe di comportamento e parkinsonismo, era stata affidata alla Casa di riposo a fronte del pagamento di una retta mensile. Durante la permanenza, era scomparsa e, dopo varie ricerche, era stata trovata, il pomeriggio del giorno successivo, a 600 metri di distanza, deceduta per assideramento. A questo punto la figlia aveva chiesto la condanna della struttura, per omissione della vigilanza e custodia, al risarcimento dei danni biologico e per perdita del rapporto parentale, iure proprio, biologico terminale e morale catastrofale, iure hereditatis, nonché patrimoniale per spese funerarie e perdita del contributo materiale familiare.
Il Tribunale accoglieva la domanda e la Corte di appello di Palermo confermava il verdetto. Secondo i giudici di merito, infatti, la struttura si era impegnata, con contratto atipico di spedalità, alla cura sanitaria e salvaguardia della persona, “non incidendo, l’eventuale stato d’incapacità d’intendere e volere, sulla sussistenza di tali obblighi, bensì solo sulle relative modalità”. Né le difformi clausole del regolamento della Casa di riposo “potevano escludere obblighi nascenti dalla conoscenza dello stato fisico dell’assistita, affetta in specie da Alzheimer, tanto più in quanto la permanenza durava da un anno e otto mesi”. La condotta doveva dunque ritenersi “prevedibile”, per cui la struttura ne era responsabile.
Il ricorso - La società si è difesa sostenendo, tra l’altro, che l’operatore aveva vigilato sulla donna fino a pochi minuti prima della scomparsa. E che l’allontanamento doveva considerarsi come un fatto “imprevedibile” considerate le difficoltà di deambulazione del soggetto, ed aggiungendo che non erano state “contestate né riscontrate carenze strutturali nell’organizzazione e predisposizione della vigilanza da parte della Casa di riposo”. Aveva poi provato a scaricare la responsabilità sulla sola operatrice in servizio, affermando che non aveva compiutamente impedito l’allontanamento dell’assistita.
La motivazione - Per la Terza sezione civile il ricorso è da respingere. La Corte distrettuale – spiega la Cassazione - ha con chiarezza affermato, in coerenza con quanto statuito dal Tribunale, che si è trattato di responsabilità della struttura “per fatto proprio”, derivante infatti dal “perfezionato contratto atipico di spedalità”, che doveva ritenersi includere gli “obblighi di vigilanza”, “non ostandovi le inefficaci previsioni regolamentari interne né le dichiarazioni della figlia all’ingresso della madre, indicata come parzialmente autosufficiente e non pericolosa per gli altri, nella casa di riposo, posta la necessaria conoscenza da ritenere emersa in fatto e consolidatasi nel corso della non breve permanenza, dell’assistita, senza che fossero intervenute, all’esito, richieste di modifica del rapporto contrattuale da parte dei gestori del gerocomio”.
Correttamente, dunque, la responsabilità è stata ritenuta della struttura, dovendo qualificarsi la condotta della dipendente a mezzo della quale l’ente agisce, ai sensi dell’art. 1228, cod. civ..