Così si attesta un piano di risanamento che comprende la transazione fiscale
Le indicazioni fornite dal documento messo a punto dal Consiglio nazionale dei commercialisti
Il documento di revisione dei principi di attestazione dei piani di risanamento recentemente diffuso dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti (Cndcec) introduce un allegato sulla transazione fiscale, nel quale si occupa anche dell’attestazione in presenza di liti fiscali, affermando che, in tal caso, nell’ambito del concordato preventivo è applicabile la disposizione dell’articolo 176 della legge fallimentare, con la conseguenza che il contenzioso prosegue sino alla decisione con cui verrà definito (un emendamento al Dl 125/2020 permette al tribunale di omologare la transazione fiscale anche senza l’ok del Fisco).
Compito dell’attestatore è, pertanto, quello di verificare che il debitore abbia dato evidenza dell’esistenza dei crediti contestati e che abbia previsto le modalità del relativo soddisfacimento nel caso e nella misura in cui gli stessi risultassero dovuti, tramite la costituzione di fondi rischi (di importo corrispondente alla percentuale di soddisfacimento del credito contestato offerta nella proposta di concordato).
Le cause pendenti
La proposta di transazione fiscale può però avere a oggetto anche la definizione delle cause tributarie pendenti e in questa ipotesi l’attestatore dovrebbe verificare, non se è stato costituito un fondo rischi, ma se il piano di risanamento (o di liquidazione) prevede i pagamenti dipendenti dalla definizione di tali liti contenuta nella transazione fiscale.
Il documento ricorda che il debitore e l’amministrazione finanziaria possono negoziare la definizione delle controversie fiscali pendenti anche mediante la transazione fiscale e chiedere poi al giudice la declaratoria di cessata materia del contendere.
Le modalità di definizione
Occorre tuttavia considerare al riguardo che le liti fiscali pendenti possono essere definite:
mediante il ricorso a uno degli istituti deflattivi del contenzioso previsti dalla legge (accertamento con adesione, mediazione o conciliazione giudiziale) utilizzato in parallelo con la transazione fiscale, nel qual caso l’accordo ha effetto novativo e i termini di pagamento sono quelli stabiliti dalle norme che disciplinano l’istituto utilizzato;
direttamente attraverso la transazione fiscale, senza ricorso a uno dei predetti istituti deflattivi, concordando con le agenzie fiscali l’importo a tal fine dovuto alla luce, non solo del fondamento dell’accertamento tributario da cui il contenzioso è stato originato e delle possibilità di successo del Fisco nella causa, ma anche della reale capacità di pagamento - da parte dell’impresa in crisi - delle somme che risultassero dovute all’esito del contenzioso. In questa ipotesi la definizione non ha natura novativa e i termini di pagamento sono quelli previsti nella transazione fiscale, mediante la quale può essere concordata una dilazione più ampia di quella consentita dai suddetti istituti deflattivi.
L’oggetto dell’attestazione dovrebbe variare quindi a seconda del tipo di definizione.
La declaratoria di cessazione
Il documento ricorda infine, richiamando la circolare 16/2018 dell’agenzia delle Entrate, che a seguito della definizione delle liti le parti devono chiedere al giudice competente la declaratoria di cessazione della materia del contendere.
Ciò non pare tuttavia corretto quando la definizione ha luogo direttamente mediante la transazione fiscale. Proprio perché - come richiede l’amministrazione finanziaria - l’atto di transazione fiscale deve escludere effetti novativi, l’eventuale risoluzione della transazione fiscale per inadempimento comporta la reviviscenza del debito originario (ante transazione), al netto dei soli versamenti medio tempore eseguiti. Pertanto, fino a quando non sono completamente adempiuti gli obblighi assunti con la transazione fiscale, anche gli effetti dell’accordo relativi alle controversie tributarie devono rimanere sospesi.
Alla stipula dell’atto di transazione fiscale dovrebbe conseguire quindi, non la cessazione della materia del contendere, ma la sospensione dei relativi giudizi, la quale dovrebbe permanere sino all’integrale adempimento degli obblighi discendenti dalla transazione, che consentirà - essa sì - l’estinzione dei giudizi o, in caso di inadempimento, fino alla data dell’eventuale risoluzione della transazione, cui seguirà la riassunzione del giudizio.