Cpr, rischio paralisi se i giudici sollevano questioni di costituzionalità su “larga scala”
L’Ufficio del Massimario della Cassazione fa il punto sulle conseguenze della decisione n. 96/2025 della Consulta negando il potere di disapplicazione delle Corte di appello
C’è il rischio che una valanga di nuove eccezioni di costituzionalità blocchi il sistema dei CPR. A lanciare l’allarme è l’Ufficio del Massimario della Cassazione, che nella Relazione n. 65/2025 analizza le conseguenze della sentenza n. 96 della Corte costituzionale, e nega alle Corti di appello il potere di disapplicare direttamente le norme sui trattenimenti degli stranieri
Di fronte ad una “incostituzionalità accertata ma non dichiarata” dalla Consulta, infatti, i giudici investiti dell’istanza di convalida, potrebbero sollevare nuovamente (come è possibile in questi casi), e “su larga scala”, la questione di legittimità costituzionale con conseguente sospensione del giudizio a quo e le “inevitabili conseguenze sulla condizione della persona del cui trattenimento si discute”.
La Corte costituzionale pur avendo individuato un vulnus per la libertà dei migranti, nella assenza di una normazione primaria nella definizione dei “modi” con cui si svolge il “trattenimento” (affidato a fonti regolamentari), ha poi dichiarato l’inammissibilità della questione per l’impossibilità di rimediare, non rinvenendosi nell’ordinamento una soluzione adeguata.
La Cassazione prende invece le distanze dalla lettura fatta propria da alcune corti di Appello, e parte della dottrina, secondo cui sarebbe possibile procedere direttamente alla disapplicazione della normativa di fonte secondaria. Così facendo, affermano i giudici, si “rischia di creare un corto circuito nel sistema, finendo per risolversi in una sorta di controllo diffuso di costituzionalità”.
Se è vero, argomenta il “Massimario”, che la Consulta ha affermato la “inadeguatezza” della normativa primaria rispetto ai requisiti richiesti dall’art. 13 Costituzione, che richiede che siano in essa disciplinati «i casi» e «i modi» delle altre restrizioni della libertà personale; al contempo, “non ha parlato di una totale assenza della disciplina”, anzi ha più volte chiarito che i «casi» di trattenimento sono disciplinati e ha evidenziato come la disciplina dei «modi» del trattenimento sia affidata «pressoché esclusivamente a fonti subordinate ad atti amministrativi», con ciò – argomentano l’Ufficio - implicitamente ammettendo che una parte, sia pure lacunosa, si rinviene nella fonte primaria.
E allora, continua la Relazione, “sembra coerente concludere che esiste una disciplina di carattere primario della materia dei trattenimenti, sia pure inadeguata e non satisfattiva della riserva di legge assoluta rinforzata fissata dall’art. 13 Cost.”. Ne deriva che questa disciplina – pur lacunosa e manchevole e, per questo, “ritenuta” costituzionalmente illegittima dalla Consulta – continua a esistere nell’ordinamento e, fino a che non venga “dichiarata costituzionalmente illegittima” con una sentenza di accoglimento delle relative questioni, deve essere applicata dal giudice.
La Relazione ricorda che le Corti di Appello di Roma, Genova, Sassari (Cagliari) hanno rigettato alcune istanze di convalida del trattenimento, ma in base a motivazioni ulteriori o parallele, come: lo stato di salute e la vulnerabilità dello straniero non valutati correttamente; l’inesistenza dei presupposti di pericolosità sociale o rischio di fuga. In queste decisioni, tuttavia, hanno sempre richiamato la sentenza n. 96/2025 parlando di «considerazioni che non possono essere eluse dal giudice chiamato a decidere sulle convalide di intrattenimento e sulle relative proroghe». Ed affermando (Sassari) che “non può che riespandersi il diritto alla libertà personale, il cui vulnus è chiaramente espresso dalla Consulta”. Mentre per Roma e Genova la pronuncia, se lascia intatta la disciplina vigente, “deve trovare ad oggi un riscontro anche in sede di convalida del trattenimento, dovendosi evitare lesioni di diritti fondamentali».
Ma come visto la Cassazione ha bocciato tali letture troppo avanzate ricordando che “allo stato, in attesa dell’intervento del legislatore, al fine di assicurare tutela ai diritti fondamentali delle persone trattenute, è sicuramente possibile per i soggetti trattenuti fare ricorso agli strumenti cautelari atipici ex art. 700 c.p.c.”. A cui si affianca la tutela, di carattere riparatorio e compensativo, offerta dal generale principio del neminem laedere, prevista dall’art. 2043 c.c.
Si, tratta, conclude la Cassazione, di un “apparato di strumenti che non rappresenta una forma di tutela pienamente satisfattiva rispetto al vulnus ravvisato, restando, quindi, ferma la necessità dell’intervento del legislatore per porre rimedio alla ravvisata situazione di violazione dei valori costituzionali. Pur tuttavia, sono strumenti già previsti dall’ordinamento che possono apprestare una minima tutela ai diritti in gioco”. Oltre, come detto, alla possibilità di sollevare nuovamente la questione di costituzionalità.
La palla ora è nel campo del Legislatore chiamato a colmare il vulnus. In caso contrario la Consulta potrebbe, prendendo atto dell’inerzia del Parlamento, assumere direttamente una decisione.