Civile

Debiti fiscali, chance di taglio variabili in base al soggetto

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di Stefano Mazzocchi e Santo Viotti

Diverse sono le procedure di composizione di crisi da sovraindebitamento potenziate negli anni della crisi economica per consentire al cittadino – e non soltanto alla figura del contribuente – di estinguere, ridurre, dilazionare, i propri debiti nei riguardi del Fisco. Al contempo sono state rafforzate le possibilità di ridurre, se non estinguere, i debiti fiscali nell’ambito delle procedure concorsuali.

La prima tipologie di misure vedono come destinatario il cittadino-contribuente non fallibile, e quindi:
• il debitore, imprenditore individuale o collettivo (società) che non rientri nei parametri di fallibilità di cui all’articolo 1 della legge fallimentare (vale a dire l’imprenditore che non presenti le soglie numeriche di cui al comma 2 della legge fallimentare; l’imprenditore agricolo; le start up innovative; l’imprenditore cessato e/o defunto da oltre un anno; i singoli soci illimitatamente responsabili di una società cessata oltre l’anno);
• il debitore che sia tale fuori dei meccanismi di impresa, cioè il professionista;
• il debitore consumatore.

La seconda tipologia di misure, invece, si rivolgono all’imprenditore considerato fallibile, a prescindere dalla forma individuale o collettiva di esercizio della propria attività. Ad esempio, con la modifica introdotta dalla legge di bilancio 2017 (232/2016), dal 1° gennaio 2017 i debiti tributari o contributivi hanno trovato una più compiuta disciplina di stralcio e dilazione rispetto all’originaria previsione legislativa contenuta nell’articolo 182-ter della legge fallimentare (vigente sino al 31 dicembre 2016), nella quale si è disciplinata la transazione fiscale quale ipotesi facoltativa sottostante alla procedura di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione. In particolare, secondo il nuovo articolo 182-ter, il trattamento dei debiti tributari e previdenziali può avvenire, esclusivamente, mediante proposta presentata ai sensi della norma.

La disposizione prevede, dunque, l’obbligatorietà del ricorso alla transazione fiscale ogni qual volta si voglia ottenere lo scopo di poter pagare in modo parziale o dilazionato i debiti fiscali e contributivi. Rientrano tra questi debiti, anche quelli a titolo di Iva e di ritenute operate, ma non versate, che possono essere falcidiati e non soltanto dilazionati. Questa estensione è ricavabile dal nuovo dato letterale della norma che, recependo l’indirizzo della Corte di giustizia (causa C-546/14), ha omesso la locuzione «chirografaria» e l’eccezione «dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea con riguardo all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate».

È condizione per il pagamento parziale dei debiti fiscali, o anche dilazionato, la previsione nel piano di un attestato di risanamento (articolo 160, legge fallimentare) del soddisfacimento in misura non inferiore a quello realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avendo riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione.

In definitiva occorre, ai fini della falcidia o dilazione, la verifica e attestazione della non migliore capacità satisfattiva dei beni oggetto della prelazione del tributo (nella quasi totalità si tratta di privilegio generale su beni mobili, ex articolo 2752 del Codice civile).

L’attestazione dev’essere redatta a cura di un professionista in possesso dei requisiti descritti all’articolo 67 della legge fallimentare, che potrebbe essere coincidente (nel silenzio della norma) con il professionista attestatore del piano stesso.

Gli istituti di riduzione del debito fiscale, in conclusione, possono essere attivati dai soggetti fallibili, esclusivamente all’interno delle procedure di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione del debito. Procedure che consentono - con il ricorso alla procedura di concordato preventivo - all’impresa commerciale in stato di “crisi-insolvenza” di evitare il fallimento e di tentare il risanamento (con lo strumento del concordato in continuità) ovvero di liquidare il patrimonio (concordato con cessio bonorum) dietro placet della maggioranza del ceto creditorio e sotto il controllo del tribunale. Ovvero che consentono - con il ricorso all’accordo di ristrutturazione - il risanamento dell’impresa con l’approvazione di un accordo con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti.

Tale accordo – che dev’essere verificato da un professionista designato, il quale ne attesti la veridicità e l’attuabilità - è soggetto a omologazione del tribunale.

Le ipotesi relative al contribuente non fallibile (si veda l’articolo a destra) - disciplinate dalla legge 3/2012 (articoli 6-16) – contemplano le seguenti possibilità:
• procedura di accordo di composizione della crisi con il consenso della maggioranza qualificata dei crediti in generale (il 60% del totale dei crediti);
• procedura di liquidazione del patrimonio, mediante la nomina di un liquidatore che provvede alla liquidazione del patrimonio a soddisfacimento dei creditori;
• piano del consumatore inerente debiti contratti per scopi estranei all’attività di impresa o libero-professionali.

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