Civile

“Imputato” al posto di “indagato”, per il giornalista scatta la diffamazione a mezzo stampa

Le Sezioni unite della Cassazione (sentenza n. 13200/2025) hanno chiarito, sciogliendo un contrasto con le sezioni penali, che non è configurabile l’esimente del diritto di cronaca giudiziaria

di Francesco Machina Grifeo

Attribuire in un articolo, su carta o online, la qualifica di “imputato” invece che “indagato” integra il reato di diffamazione a messo stampa. Così come attribuirgli un “reato consumato” rispetto ad uno soltanto “tentato”. Con una lunga e argomentata sentenza (35 pagine), le Sezioni unite della Cassazione (n. 13200/2025) sciolgono un contrasto tra giurisprudenza civile e penale e procedono ad una accurata ricognizione della responsabilità civile del giornalista nell’ambito della cronaca giudiziaria.

Il caso parte da un articolo, pubblicato sul sito online di un settimanale, dal titolo “Truffa del superfinanziere”, dove la persona veniva indicata come imputata per truffa, mentre all’epoca era solo indagata, non essendovi stata la richiesta di rinvio giudizio, peraltro in relazione al diverso reato di tentata truffa. In primo grado, il Tribunale di Roma ritenne l’articolo non diffamatorio perché gli errori “non avevano scalfito l’aderenza al vero della ricostruzione complessiva dei fatti”. Di diverso avviso la Corte di appello che reputava falso l’addebito, aggiungendo che tale falsità non poteva ritenersi “sfumata e assorbita dall’essere effettivamente l’appellante indagato per un altro episodio meramente tentato”; anche considerato il prestigioso incarico ricoperto che si traduceva in un “attacco alla carriera e alla solidità della posizione ricoperta”.

Nella ordinanza di rinvio (12239/2024) viene ricordato che l’indirizzo prevalente delle sezioni civili è nel considerare insussistente in un caso simile l’esimente del diritto di cronaca giudiziaria; ma si rammenta anche la diversa posizione di alcune sentenze della Cassazione penale (15093/2020), secondo cui “la divulgazione di una notizia d’agenzia riportante l’erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari”, integra “una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico, che non intacca la verità della notizia principale”. E la stessa dissonanza tra le Sezioni civili e penali si ritrova, a parti rovesciate, anche nell’attribuzione di un reato consumato in luogo di quello tentato.

Per dirimere i dubbi le S.U. hanno affermato il principio di diritto per cui: «In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esimente del diritto di cronaca giudiziaria, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto, direttamente o indirettamente, la falsa posizione di imputato, anziché di indagato (anche per essere riferita un’avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415-bis c.p.p.) e/o un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (come anche nel caso di un reato consumato in luogo di quello tentato), salvo che il giudice del merito accerti che il contesto della pubblicazione sia tale da mutare, in modo affatto chiaro ed inequivoco, il significato di quegli addebiti altrimenti diffamatori».

Per addivenire a simile approdo, la Cassazione identifica anche il tipo di lettore prevalente, soprattutto su internet, che viene definito “frettoloso”; indicando come tale chi si sofferma a leggere soltanto i titoli o comunque i principali segni grafici. Del resto, spiega la Corte, proprio “il contesto dell’informazione digitale e telematica ha alimentato la tendenza dei lettori alla ricerca di un’informazione sintetica, poiché molto spesso il lettore, utente di un social network, accede alla notizia tramite la propria “homepage”, nella quale vengono raggruppati numerosi contenuti” che deve scegliere di voler approfondire cliccando sui link.

“Ed è in questo ambito – prosegue la corte - che si affronta anche la differenza giuridica esistente tra avviso di conclusione delle indagini preliminari e la richiesta di rinvio a giudizio, provvedimento attraverso il quale il pubblico ministero esercita l’azione penale” e che opera il vero e proprio cambio di status. L’avviso di conclusione delle indagini preliminari, infatti, “pur sottendendo l’intenzione del pubblico ministero di far evolvere la propria prospettazione accusatoria in una formale imputazione, non necessariamente viene seguita da una richiesta di rinvio a giudizio, in cui tale proposito effettivamente si materializza”.

Non si può, quindi, relegare, di per sé e in astratto, una infedeltà narrativa di tale portata all’ambito della mera marginalità, attribuendole impropriamente neutralità ai fini del riconoscimento del carattere diffamatoria della notizia propalata.

Riassumendo, “in ordine alla sussistenza dell’esimente del diritto di cronaca”, sono da considerare “marginali le imprecisioni che non mutano in peggio l’offensività della narrazione e, per contro, sono rilevanti quelle che stravolgono il fatto ‘vero’ in maniera da renderne offensiva l’attribuzione a taluno, all’esito di una valutazione del loro peso sull’intero fatto narrato al fine di stabilire se siano idonee a renderlo ‘falso’ e, oltre che tale, diffamatorio”.

Senza trascurare, e questa è un’altra osservazione interessante, che “il contesto narrativo, sotto lo spettro del quale scrutinare la portata diffamatoria dell’affermazione, può assumere anche una fisionomia diversa a seconda che si tratti di pubblicazioni on line o di stampa cartacea”.

Tornando al caso concreto, per il massimo, correttamente la Corte di appello ha escluso che l’errore “evidente e inescusabile per essere stato commesso proprio da un giornalista di ‘cronaca giudiziaria’ (e, dunque, da ritenersi culturalmente attrezzato sugli anzidetti concetti giuridici), potesse giustificare l’operatività dell’esimente del diritto di cronaca, collocandosi la pubblicazione oltre il limite della verità, anche ragionevolmente putativa”. Così come era idoneo a ledere la reputazione il titolo (“Truffa del superfinanziere”) dove si era indebitamente uniformato il reato per il quale pendeva un procedimento penale nei confronti di un terzo soggetto, indagato per truffa, e quello contestato alla persona offesa, indagato invece per truffa tentata, ignorando che dagli atti risultassero addebiti diversi e per fatti diversi.

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